• Non ci sono risultati.

La capacità di collegamento con un’associazione criminale, terroristica o

8. L’art 41-bis ord pen come espressione di un diritto penale del nemico? 105

1.4. La capacità di collegamento con un’associazione criminale, terroristica o

Non è sufficiente, ai fini dell’applicazione del regime derogatorio, che il detenuto sia stato condannato per un reato “ostativo”. E’ necessario, infatti, l’accertamento di un quid pluris che giustifichi la meritevolezza di un meccan- ismo detentivo di particolare rigore.

Va così individuato il presupposto di applicazione dell’istituto relativo 42 alla capacità di collegamento con un’associazione criminale terroristica o ever- siva.

Originariamente, l’art. 41-bis faceva riferimento alla sussistenza di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica. Si trattava di un requisito connotato da particolare vaghezza e, pertanto, di difficile accertamento, dal momento che venivano richiamate situazioni estranee al carcere non facilmente desumibili da atteggiamenti endocarcerari del detenuto .43

Cfr. Trib. sorv. Torino, ord., 14 maggio 2008, con nota di F. FIORENTIN, in Corr. Merito, 2008,

41

pp. 295 ss., in cui si osserva come tra i soggetti cui il regime particolare può applicarsi rientrano coloro che hanno rivestito ruolo di vertice all’interno delle organizzazioni criminali o che co- munque, in forza di consolidati rapporti con i vertici e per le propria rete di conoscenze, siano in grado di trasmettere all’esterno dell’istituto penitenziario le istruzioni dei capi, assicurandone la pronta esecuzione. Ne consegue, nel caso di soggetto che, sulla base degli atti processuali, risulti non avere mai assunto ruoli direttivi o implicanti facoltà decisionali autonome sull’attività dell’or- ganizzazione, limitandosi a svolgere un ruolo gregario e comunque subordinato, non può dirsi sus- sistente il concreto pericolo di fuoriuscita di comunicazioni rilevanti, con la conseguenza che il trattamento differenziato non può, in questi casi, essere applicato.

S. ARDITA, Il regime detentivo speciale 41-bis, cit., p. 92, parla di presupposto funzionale. L.

42

CESARIS, Sub 41-bis o.p., cit., p. 454, parla invece di presupposto soggettivo in quanto ricollega

l’accertamento dei collegamenti con l’associazione criminale all’individuazione e selezione dei destinatari del regime derogatorio.

P. M. CORSO, Manuale dell’esecuzione penitenziaria, Milano, 2019, p. 165.

La novella legislativa del 2002 ha così specificato che i gravi motivi di ordine e sicurezza debbano essere desunti dalla presenza di elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale . 44

La riforma si inserisce perfettamente nel solco già tracciato dalla giurisprudenza costituzionale la quale, a partire ‘97, aveva escluso che potesse applicarsi il regime derogatorio sulla base del solo titolo di reato, e che andasse accertato, in una prospettiva funzionalistica, il pericolo della permanenza di col- legamenti con l’organizzazione di riferimento, di cui i fatti di reato in contes- tazione costituiscono solo una logica premessa . 45

Se dunque i gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, pur nella loro indeterminatezza, vanno desunti da quelle situazioni, tipicamente ricollegate ai fenomeni della criminalità mafiosa, che abbiano destato un particolare allarme nella collettività , ai fini della sospensione delle ordinarie regole di trattamento 46 è necessaria la ulteriore prova della sussistenza di collegamenti tra il detenuto e la propria associazione.

Viene così evidenziata a chiare lettere la finalità dell’istituto di prevenire la pericolosità individuale dei singoli detenuti, pericolosità che va intesa come probabile inidoneità del regime detentivo ordinario a precludere l’esercizio di attività criminali da dentro il carcere grazie alla sussistenza di collegamenti con

M. MONTAGNA, Il regime carcerario differenziato verso nuovi equilibri, in Dir. pen. proc., 2004,

44

p. 1288, rileva come, in seguito alla riforma del 2002 con la quale è stata prevista la facoltà di adottare “misure di elevata sicurezza interna ed esterna”, sia stata conferita una sorta di delega in bianco all’amministrazione penitenziaria, libera così di adottare provvedimenti di qualsivoglia ampiezza nei confronti dei detenuti speciali. Solo grazie all’individuazione della finalità di imped- imento dei collegamenti con l’esterno, è possibile fissare un limite alla discrezionalità amministra- tiva. Malgrado l’ampiezza della formula, essa costituisce pur sempre un parametro a cui il Tri- bunale di sorveglianza, adito per il reclamo, dovrà fare riferimento nel verificare la congruità delle singole misure imposte dal decreto ministeriale e impedire che siano superate quelle delimitazioni di tipo esterno e interno tracciate, a suo tempo, dalla Corte Costituzionale.

Corte Cost., 5 dicembre 1997, n. 376, cit.

45

P. CORVI, Trattamento penitenziario, cit., p. 138, precisa come il riferimento a fattori esterni al

46

carcere si spiega alla luce dei drammatici fatti di sangue perpetrati dalla criminalità organizzata e ai conseguenti effetti sulla coscienza sociale che hanno reso urgente l’intervento legislativo.

l’organizzazione, tenuto anche conto del ruolo rivestito all’interno di questa dal destinatario della misura . 47

Tuttavia, sebbene la lettera della norma sembri richiedere l’accertamen- to di collegamenti attuali e di effettivi contatti, potrebbe essere più coerente con la finalità dell’istituto fare riferimento, piuttosto, alla capacità di collegamento con le associazioni mafiose, da intendersi come «dedizione assoluta e disponi- bilità incondizionata» del detenuto verso una organizzazione operante all’ester- no . 48

Tale interpretazione risulta opportuna sulla base di due semplici consid- erazioni.

In primo luogo, il regime derogatorio potrebbe essere applicato sin dal- l’inizio della detenzione carceraria. In tal caso, stante l’immediatezza tra incar- cerazione e sottoposizione a 41-bis, eventuali contatti tra detenuto e associ- azione non potrebbero essere accertati.

In secondo luogo, il regime speciale di detenzione, come si è visto, non ha la funzione di sanzionare i collegamenti intrattenuti con l’esterno quanto quella di prevenirli, sicché verrebbe sostanzialmente elusa la funzione di pre- venzione se dovesse attendersi che effettivamente il detenuto intraprendesse contatti con la propria consorteria prima di poter sospendere l’applicazione delle ordinarie regole di trattamento penitenziario.

In altri termini, l’attualità del collegamento non deve essere confusa con l’attualità di veri e propri contatti. Infatti, scopo della misura è, e non può non essere, quello di impedire che il legame, potenziale e quiescente, si converta in una effettiva comunicazione . 49

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 225, precisa come il concetto di pericolosità sociale

47

alla base del regime detentivo speciale differisce da quella delineata dall’art. 203 c.p. Mentre quest’ultima fa riferimento ad una nozione molto ampia di pericolosità, detta appunto generica in quanto ricollegata alla commissione di un qualsiasi reato, il 41-bis presuppone una nozione di pericolosità sociale qualificata, in quanto circoscritta alla commissione dei reati di cui all’art. 4- bis, co. 1, ord. pen.

S. ARDITA, Il regime detentivo speciale 41-bis, cit., p. 93.

48

Ibidem, p. 94. L’A. osserva, inoltre, che dal mancato verificarsi di contatti attuali con l’esterno

49

non si desume automaticamente l’insussistenza dei presupposti della sospensione delle ordinarie regole di trattamento, quanto, piuttosto, l’efficacia del regime speciale.

Quali sono, dunque, gli elementi da cui desumere siffatta capacità? Innanzitutto, è necessario accertare la presenza di una organizzazione criminale operante sul territorio . E’ evidente che il detenuto sarà indotto a 50 comunicare con l’esterno fintantoché persista un gruppo ancora attivo . Ne 51 consegue che, laddove le operazioni di polizia avessero sgominato la presenza mafiosa sulla zona geografica di riferimento, ciò sarebbe indice sufficiente per dimostrare la insussistenza di tale capacità di collegamento stante l’assenza di referenti esterni . 52

Poi, poiché è soprattutto l’organizzazione medesima ad avere interesse a interagire con il detenuto e a tenere viva la sua capacità di continuare a fornire il proprio contributo allo sviluppo degli interessi mafiosi , ai fini dell’accerta53 - mento della capacità di collegamento, rilievo fondamentale assume anche il ruolo posseduto da questi all’interno del gruppo criminale . Quanto più rile54 - vante sarà il ruolo rivestito all’interno dell’organigramma associativo, tanto più

Ibidem, p. 93.

50

S. ARDITA, Il nuovo regime dell’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario, cit., p. 10, individua,

51

ai fini della distinzione dei presupposti di applicazione dell’istituto, una stretta analogia tra la dis- ciplina dell’art. 41-bis e quella della custodia cautelare per i reati di associazione mafiosa, ex art. 275. lett. c), c.p.p. Quest’ultima fattispecie porrebbe, infatti, una presunzione di pericolosità che svolge una funzione di prevenzione analoga a quella svolta dal regime derogatorio. In entrambi i casi, è la dimensione collettiva e dinamica del delitto associativo di tipo mafioso a provocare l’ap- plicazione di misure restrittive della libertà del singolo su base presuntiva, purché, in base alle conoscenze provenienti dalle attività investigative, risultino ben presenti gli indici da cui desumere l’esistenza e l’operatività di un gruppo criminale con le caratteristiche indicate dall’art. 416- bis c.p.

L’assenza di una organizzazione criminale da un determinato territorio potrebbe desumersi, al

52 -

tresì, dalla trasformazione nel tempo del contesto mafioso. E’ noto infatti che la mafia è un fenom- eno storico e in evoluzione, che conta, in ciascun territorio, una pluralità di gruppi tra loro con- trapposti o alleati. Pertanto, l’eventuale disgregazione di uno di essi non è sempre idonea a deter- minare il venir meno delle attività mafiose dal territorio geograficamente rilevante. Tuttavia, ciò potrebbe essere idoneo a circoscrivere, fino ad annullare, la capacità di collegamento del singolo detenuto, non esistendo più una famiglia di riferimento ma solo altre famiglie contrapposte. In- oltre, anche il rinnovo generazionale del gruppo criminale, spesso favorito dagli arresti e dalle uc- cisioni degli esponenti della “vecchia guardia”, potrebbe realizzare lo stesso effetto, considerata la tendenziale avversione dei nuovi esponenti nei confronti dei predecessori, identificati come possi- bile minaccia alla loro nuova egemonia sul territorio. Tali considerazioni suggeriscono, pertanto, di considerare la presenza di un gruppo mafioso sul territorio come elemento tendenziale a cui fare riferimento ai fini del giudizio di pericolosità sociale del detenuto. In definitiva, sebbene si tratti di un presupposto certamente utile e di grande rilevanza, in quanto indice evidente della capacità di mantenere vivi i contatti con i consociati, tale giudizio non potrà prescindere da una corretta indi- viduazione del contesto mafioso di riferimento.

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 226, osserva come il 41-bis serva non solo a con

53 -

trastare un pericolo che dal carcere si rivolge alla collettività, ma anche un pericolo che proviene direttamente dall’esterno.

Cfr. par. 1.3.

elevato sarà il rischio che i consociati in libertà sentano l’esigenza di instaurare con questi un canale di comunicazione, e dunque tanto più evidente sarà la sua capacità di collegamento . 55

Discorso a parte merita, invece, la valutazione della condotta del detenu- to.

Un comportamento esemplare non è necessariamente indice di avvenuta dissociazione, dal momento che il recluso potrebbe adottare un atteggiamento del tutto irreprensibile e rispettoso delle autorità proprio al fine di sottrarsi al- l’applicazione del 41-bis e così eludere le connesse esigenze preventive . 56

Tuttavia, precludere a priori la valutazione del comportamento peniten- ziario dell’interessato potrebbe allo stesso tempo rappresentare una violazione dell’art. 27, co. 3, Cost. Pertanto, se questo elemento non potrà rivestire un ruo- lo determinante nel giudizio sulla capacità di collegamento, d’altro canto dovrà comunque essere oggetto di adeguata ponderazione.

Qualora, però, la condotta del detenuto sfoci nella collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter ord. pen., questa scelta può incidere in maniera decisiva sull’accertamento dei presupposti in esame. Infatti, il mero stato di de- tenzione non determina, per ciò solo, la recisione del legame con l’organiz- zazione di provenienza, atteso che, in determinati contesti delinquenziali, perio- di di reclusione sono accettati dai sodali come prevedibili eventualità non im- peditive della partecipazione alle vicende del gruppo e alla programmazione delle sue attività . E’ innegabile, dunque, che la scelta collaborativa, richieden57 - do uno sforzo volto alla ricostruzione dei fatti e alla individuazione o alla cat- tura degli autori dei reati, sia idonea a dimostrare, per facta concludentia, la ef- fettiva rottura dei legami con l’organizzazione criminale di riferimento . Per58 -

A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 228. Cfr. altresì, Trib. sorv. Torino, ord. 14 maggio 2008,

55

cit.

Ibidem, p. 229.

56

Cass. pen. Sez. I, 7 novembre 2014, n. 46103; Cass. pen. Sez. II, 24 gennaio 2017, n. 8461;

57

Cass. pen. Sez. II, 22 marzo 2011, n. 17100, in Pluris.

Corte Cost., 5 luglio 2001, n. 273, in Foro it., 2002, p. 21, con nota di G. LA GRECA.

tanto, per quanto vadano scoraggiati pericolosi automatismi , tale scelta appare 59 idonea a impedire la sospensione delle ordinarie regole di trattamento nei con- fronti del detenuto che l’abbia compiuta . 60

Va però precisato che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto come dal comportamento opposto, ossia dalla mancata collaborazione, non pos- sa trarsi una valida presunzione di segno contrario, nel senso, cioè, che essa sia indice univoco di mantenimento dei legami di solidarietà con l’organizzazione criminale . Così come le motivazioni che inducono alla collaborazione pos61 - sono essere le più varie, comprese valutazioni prettamente utilitaristiche , allo 62 stesso modo le scelte che inducono a non intraprendere il percorso possono es- sere altrettanto diversificate, e non necessariamente incompatibili con la rottura del legame associativo e con il percorso di risocializzazione del condannato . 63

Pertanto non potrà desumersi la sussistenza di contatti con l’esterno dal- la semplice assenza di collaborazione con la giustizia , dovendo in tal caso 64

Infatti la collaborazione con la giustizia esclude automaticamente solo la revoca dei benefici

59

penitenziari ex art. 4-bis, ma non preclude per ciò solo l’applicazione del regime detentivo spe- ciale, dovendosi comunque accertare nel caso concreto se vi sia il rischio, anche se remoto, di pos- sibili collegamenti con l’esterno. In tal senso, vd. P. CORVI, Trattamento penitenziario, cit., p. 139.

Secondo, S. ARDITA - M. PAVARINI, Opinioni a confronto, cit., p. 254, l’affiliato che agisce nel

60 -

l’associazione molto spesso non può esprimere opzioni individuali, ma il più delle volte è agito dalla stessa, e comunque mai può scegliere volontariamente di revocare la propria appartenenza. Pertanto se vuole realmente distaccarsene deve, a sua volta, agire contro di essa. La scelta della collaborazione rappresenta dunque l’unico strumento a sua disposizione per segnare il distacco dall’organizzazione mafiosa, piuttosto che atteggiarsi come una conseguenza indotta dalla esclusi- va volontà di uscire dal regime di cui all’art. 41-bis.

Corte Cost., 11 giugno 1993, n. 306, cit.

61

Ibidem.

62

Viola c. Italia (n. 2), n. 77633/16, Corte Edu 2019, §§ 115 ss., in cui si evidenzia come la scelta

63

collaborativa possa essere determinata dal timore di rappresaglie nei propri confronti e nei con- fronti della propria famiglia, così come anche dalla convinzione di essere innocenti.

Dubbiosa al riguardo, L. CESARIS, Sub art. 41-bis o.p., cit., p. 455. Nel senso invece di non ri

64 -

conoscere alla mancata collaborazione l’automatica sospensione delle ordinarie regole di tratta- mento penitenziario, P. CORVI, Trattamento penitenziario, cit., p. 139; A. DELLA BELLA, Il “carcere duro”, cit., p. 229.

l’Amministrazione penitenziaria comunque motivare nel provvedimento impos- itivo circa la sussistenza di una capacità di collegamento effettiva . 65

Quanto, infine, alle fonti da cui ricavare le informazioni su cui fondare il giudizio di pericolosità sociale, lo stesso art. 41-bis, co. 2-bis, richiede, ai fini dell’emanazione del provvedimento, la preventiva audizione del pubblico min- istero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e l’eventuale acquisizione di ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva . 66

Sul punto, sorgono perplessità circa l’individuazione del principale ref- erente informativo nel P.M. che procede, il quale, rivestendo la qualità di parte, si trova in una posizione di conflitto di interessi, anziché di terzietà e imparzial- ità . 67

Sarebbe forse opportuno, acquisiti gli atti del procedimento — necessari per vagliare la gravità dei fatti e la pericolosità del detenuto —, circoscrivere le fonti informative alla D.N.A. e agli organi di polizia giudiziaria.

Questo onere di motivazione dovrebbe essere oggi ulteriormente rafforzato in seguito alla sen

65 -

tenza della Corte Costituzionale con cui è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 4- bis nella parte in cui non consente la concessione ai detenuti per reati ostativi dei permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia. La Corte è pervenuta a tale declaratoria riconoscendo che il divieto di concessione di benefici penitenziari ex art. 4-bis avesse il carattere di presunzione assoluta, in quanto tale incompatibile con il principio di uguaglianza e con la funzione rieducativa della pena. Ad avviso della Corte l’assenza di collaborazione con la giustizia dopo la condanna non può tradursi in un aggravamento delle modalità di esecuzione della pena, in conseguenza del fatto che il detenuto esercita la facoltà di non prestare partecipazione attiva a una finalità di politi- ca criminale e investigativa dello Stato. Pertanto, se la mancata collaborazione con la giustizia non può essere ragione sufficiente per il divieto di concessione di benefici penitenziari, allo stesso tempo, anche in sede di valutazione della capacità di collegamento con l’organizzazione criminale, essa non potrà essere desunta solo dall’assenza di collaborazione, ma anche dagli ulteriori e diversi profili già evidenziati. Cfr., Corte Cost., 4 dicembre 2019, n. 253, in Dir. pen. proc., 2020, p. 632, con nota di M. BORTOLATO, Il futuro rientro nella società non può essere negato a chi non collab-

ora, ma la strada è ancora lunga, ivi, il quale tuttavia osserva come con questa pronuncia sia stato introdotto, in capo al soggetto richiedente il beneficio, un onere di allegazione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con l’esterno e il loro eventuale ripristino in futuro, onere che, avendo ad oggetto un fatto inesistente sia nell’oggi che nel domani, diventa difficilmente realizz- abile. Ne consegue, ad avviso dell’A., che la pronuncia in oggetto perde gran parte della sua inno- vatività.

M. MONTAGNA, Il regime carcerario differenziato, cit., p. 1290.

66

L. CESARIS, Sub art. 41-bis o.p., cit., p. 455; G. FRIGO, Videoprocessi e «carcere duro»: a

67

regime il trattamento penitenziario «di rigore». L’eccezione che diventa regola. Commento alla L. 23 dicembre 2002, n. 279, in Dir. pen. proc., 2003, p. 416.