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Il sud-est asiatico e il Golfo di Aden: cooperazione e missioni navali antipirateria Se nel breve periodo si ha un notevole aumento dei costi, sia nel caso che s

CAPITOLO VI: Il mare che unisce la terra La sicurezza del traffico mercantile e le misure di contrasto alla pirateria.

6.1 Il sud-est asiatico e il Golfo di Aden: cooperazione e missioni navali antipirateria Se nel breve periodo si ha un notevole aumento dei costi, sia nel caso che s

allunghino le rotte, sia che si paghi un premio assicurativo maggiore, a fronte di una maggiore sicurezza193; nel lungo periodo queste uscite negative saranno oscurate dal

beneficio di traffici marittimi sicuri e, di conseguenza, più prosperosi.

Negli ultimi anni, per reprimere il fenomeno della pirateria marittima sono stati applicati vari metodi nelle aree maggiormente interessate da questo. Il più efficace e rapido di tali strumenti si è rivelato essere l’investire nella cooperazione internazionale tra Stati, il quale permette ad essi di abbattere i costi delle azioni antipirateria e, nondimeno, di arrivare ad un’unica soluzione interpretativa sul concetto di pirateria marittima, ponendo gli atti di armed robbery alla stregua di quelli della pirateria marittima convenzionale194. Sebbene lo strumento della cooperazione, in via generale, sia presente anche all’art. 100 della UNCLOS, nella parte in cui si prevede l’obbligo di per tutti gli Stati di cooperare, nella misura del possibile, per reprimere la pirateria in alto mare o in qualunque altra area al di fuori delle giurisdizioni statali, esso presenta un limite: il presupposto per l’applicazione della citata disposizione è la stipula di specifici accordi internazionali tra gli Stati che intendono attuare le misure repressive195.

193 Oggi al termine sicurezza della navigazione si legano due termini distinti: Safety e Security. Con la prima

s’intende la sicurezza della navigazione in senso stretto e la salvaguardia della vita umana in mare, e pone al centro la nave con particolare riguardo alla sua costruzione, galleggiabilità, stabilità, propulsione e governo, servizi, armamento, dotazioni di sicurezza, protezione attiva e passiva contro gli incendi e preparazione degli equipaggi. La security riguarda, invece, la sicurezza intesa quale: combinazione delle misure preventive dirette a proteggere il trasporto marittimo e gli impianti portuali contro le minacce di azioni illecite intenzionali. Per maggiori informazioni v. l’Annual Report 2016 scaricabile dal sito ufficiale della Guardia costiera nel sito http://www.guardiacostiera.gov.it/stampa/Documents/annualreport2016.pdf

194 V. supra 4.3.

195 Art. 100 UNCLOS (Duty to cooperate in the repression of piracy): “All States shall cooperate to the fullest

possible extent in the repression of piracy on the high seas or in any other place outside the jurisdiction of any State”.

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Le azioni di cooperazione presuppongono a monte il monitoraggio e l’analisi del fenomeno della pirateria, attività che sono attualmente svolte a livello internazionale da due organismi contenuti in due importanti organizzazioni internazionali: il Maritime Safety Commitee dell’IMO (MSC) e il Piracy Reporting Centre dell’IMB (PRC)196. Entrambi gli organismi condividono le informazioni ricavate dai monitoraggi nelle aree in cui il rischio pirateria è elevato, cercando anche di coinvolgere i privati operanti nel settore nel raccogliere i dati nelle rotte che questi seguono, spingendoli a denunciare gli attacchi subiti, anziché, come accennato nel capitolo precedente, ad operare con omertà per paura di un incremento dei premi assicurativi.

L’area in cui si è arrivati a cooperare più efficacemente nel controllo del fenomeno della pirateria è quella del sud-est asiatico. I primi tentativi di una cooperazione a livello regionale si hanno già negli anni ’90, quando i Paesi in cui si presentava un elevato rischio pirateria, per mezzo dell’Association of South-East Asian Nations (ANSEAN)197, stipularono accordi con i quali si acconsentiva alla condivisione delle informazioni relative a tale crimine. Tuttavia, a questi scambi di informazione non fecero mai seguito pragmatiche azioni repressive.

Diversa, è più fortunata, fu la sorte della Dichiarazione adottata nell’ambito dell’ANSEAN Regional Forum (ARF) del 2003198, con la quale, in considerazione delle

raccomandazioni fornite dall’IMO, si è confermato l’impegno dei Paesi aderenti a incentivare la cooperazione regionale per la salvaguardia della navigazione marittima avverso gli episodi pirateria (compresi gli atti di armed robbery).

Altro accordo rilevante in materia di cooperazione regionale nel contrasto alla pirateria è il Regional Cooperation Agreement on Combating Piracy and Armed Robbery against Ships in Asia (ReCAAP)199, il quale all’art. 3 prevede espressamente che ciascuna delle parti contraenti si impegni (in accordo delle leggi nazionali e delle norme di diritto internazionale in materia di pirateria marittima): a) per prevenire e reprimere la pirateria e

196 Per maggiori informazioni sulle funzioni del MSC, e in più in generale sull’IMO v. sito http://www.imo.org;

per approfondimenti sull’IMB, e in particolare sulle attività svolte dal PRC v. sito http://www.icc-ccs.org.

197 L’organizzazione dell’ASEAN è stata istituita con la Dichiarazione di Bangkok dell’9 agosto 1967, il cui

scopo principale di promuovere la cooperazione e l'assistenza reciproca fra gli stati membri per accelerare il progresso economico e aumentare la stabilità della regione. In particolare tra i principi enunicati dalla Dichiarazione di Bangkok vi è la rinuncia alle minacce o all’uso della forza per la risoluzione di controversie. Per maggiori informazioni su compiti e finalità v. sito http://www.asean.org

198 L’ARF è un'organizzazione i cui obiettivi sono favorire il dialogo e la consultazione e promuovere la

diplomazia di rafforzamento della fiducia e prevenzione nella regione; il testo dell’ARF Statement è consultabile http://www.aseanregionalforum.asea.org

199 Il Regional Cooperation Agreement on Combating Piracy and Armed Robbery against Ships in Asia

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gli atti di rapina a mano armata contro le navi; (b) per arrestare i pirati o le persone che hanno commesso atti di rapina a mano armata contro navi; (c) per sequestrare navi o aeromobili utilizzati per commettere atti di pirateria o rapina a mano armata contro navi, per sequestrare navi prese da e sotto il controllo dei pirati o persone che hanno commesso atti di rapine a mano armata contro le navi e per sequestrare i beni a bordo tali navi; e (d) per salvare le navi e le vittime di atti di pirateria o di rapina a mano armata contro le navi. Inoltre, mediante il trattato è stato istituto il ReCAAP Information Sharing Centre (ReCAAP ISC), la cui funzione è quella di condividere con l’IMO e gli Stati contraenti i dati circa gli atti di pirateria in alto mare, ma anche quelle nelle acque territoriali200. Pur avendo un notevole limite all’art 2, rappresentato dalla mancanza di deroghe alle norme di diritto internazionale riguardo, in particolare, al diritto di inseguimento in acque territoriali, l’accordo in questione ha prodotto risultati positivi nel sud-est asiatico, tanto che, dopo la sua entrata in vigore, si è registrata una notevole diminuzione dei casi201.

Traendo spunto dal ReCAAP anche nel Golfo di Aden e nell’area occidentale dell’Oceano Indiano si sono sviluppate esperienze simili, come il Codice di condotta del Gibuti202. All’interno di questo codice, infatti all’art. 2 si promuove la cooperazione tra gli Stati nel contrasto alla pirateria tramite una migliore condivisione delle informazioni riguardanti gli attacchi di pirati perpetrati nell’area prospiciente le coste somale. Agli articoli 5 e 6 si disciplinano le misure di repressione degli attacchi da parte dei pirati occorsi rispettivamente in alto mare (dove è possibile intervenire mediante fermo, arresto dei

200 Le funzioni del ReCAAP ISC sono elencate dall’art. 7 (Functions) : The functions of the Center shall be:

(a) to manage and maintain the expeditious flow of information relating to incidents of piracy and armed robbery against ships among the Contracting Parties; (b) to collect, collate and analyze the information transmitted by the Contracting Parties concerning piracy and armed robbery against ships, including other relevant information, if any, relating to individuals and transnational organized criminal groups committing acts of piracy and armed robbery against ships; (c) to prepare statistics and reports on the basis of the information gathered and analyzed under subparagraph (b), and to disseminate them to the Contracting Parties; (d) to provide an appropriate alert, whenever possible, to the Contracting Parties if there is a reasonable ground to believe that a threat of incidents of piracy or armed robbery against ships is imminent; (e) to circulate requests referred to in Article 10 and relevant information on the measures taken referred to in Article 11 among the Contracting Parties; (f) to prepare non-classified statistics and reports based on information gathered and analyzed under subparagraph (b) and to disseminate them to the shipping community and the International Maritime Organization; and (g) to perform such other functions as may be agreed upon by the Governing Council with a view to preventing and suppressing piracy and armed robbery against ships.

201 V. L. MARINI, Pirateria marittima e diritto internazionale, cit. Dove l’Autore sostiene che più che

all’adozione di strumenti di cooperazione regionali, l’effettiva diminuzione della pirateria è da attribuirsi “all’evoluzione della politica interna di alcuni Stati, come nel caso dei successi conseguiti dall’Indonesia, a partire dal 2005 contro il Fronte Nazionale di Liberazione per l’Aceh-Sumatra”, ma anche a fenomeni naturali, come lo tsunami del 2004, il quale “avrebbe compromesso, con la sua tragica violenza ed almeno per un certo periodo, le capacità della flotta pirata nell’area geografica considerata”.

202 Il testo integrale Codice di condotta, attualmente sottoscritto venti dei ventuno Stati situati nell’area

dell’Oceano Indiano occidentale, Golfo di Aden e Mar Rosso, modificato il 12 gennaio 2017, è consultabile al dell’IMO al link http://www.imo.org./en/OurWork/Secutity/PIU/Pages/DCoC.aspx.

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responsabili e sequestro delle navi e dei beni oggetto di depredazione dei criminali), e nelle acque territoriali, dove i casi di armed robbery sono rimessi alla giurisdizione esclusiva dello Stato costiero.

Si possono notare dunque, le somiglianze tra il ReCAAP e il Codice di condotta del Gibuti, tanto da avere addirittura gli stessi limiti, in quanto vi sono in entrambi l’assenza di poteri repressivi all’interno delle acque territoriali di un altro Paese, senza il consenso di quest’ultimo, e la mancanza di un adeguato sistema di pattugliamento delle zone ad alto rischio. Tuttavia, il Codice di condotta del Gibuti pone parziale rimedio a tali criticità all’art. 15, prevendendo che gli Stati contraenti si impegnino ad adeguare la normativa interna per assicurare azioni di contrasto più efficaci alle attività illecite citate all’art. 1 dello stesso (tra cui rientra, naturalmente, la pirateria).

Altro strumento di contrasto alla pirateria, diverso, e sicuramente più oneroso dalla cooperazione internazionale e regionale, è rappresentato dalle missioni navali antipirateria. Tali attività molto complesse da organizzare sono demandate agli Stati esclusivamente per mezzo delle navi da guerra (o governative, ad esse comparate)203, poiché, come si è visto precedentemente, dopo l’abolizione della “guerra di corsa” nel 1856, non è più consentito l’uso della forza, in contesti marittimi non bellici, eseguito mediante mercantili armati da privati.

A largo del Corno d’Africa il primo grande dislocamento navale è avvenuto da parte dei Paesi interessati a seguito della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1816 (2008)204, in cui si recepivano le considerazioni già espresse precedentemente nella risoluzione 1814 (2008) in cui si manifestava una certa preoccupazione per la minaccia che la pirateria costituiva per gli aiuti umanitari, e si autorizzava, per un periodo massimo di sei mesi, ad entrare nelle acque somale e ad utilizzare tutti i mezzi necessari per reprimere questa minaccia. In particolare, l’Unione Europea si è mossa per prima tramite l’Azione congiunta (Joint Action) 2008/851/CFSP, nell’ambito propria Politica di Sicurezza e Difesa Comune, con la quale ha lanciato la missione militare EUNAVFOR Somalia – operazione Atalanta.

Con tale operazione l’Unione Europea intendeva assicurare protezione alle navi noleggiate dal Programma Alimentare Mondiale (World Food Program – WFP) per garantire il trasporto di aiuti umanitari per le popolazioni somale; b) si prevedevano inoltre, la deterrenza, la prevenzione e la repressione della pirateria; c) si garantiva, con una

203 V. supra nota 108

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valutazione caso per caso, protezione a tutto il naviglio vulnerabile navigante al largo delle coste somale; d) infine, si prevedeva il monitoraggio delle attività di pesca nella stessa zona. Successivamente, mediante le decisioni 2009/907/PESC e 2010/766/PESC del Consiglio, l’operazione si è rafforzata, consentendo il controllo delle imbarcazioni sospette, le quali uscivano dai porti somali; ma anche di quelle navi definite “madri”, le quali supportano le imbarcazioni pirata minori dall’alto mare.

Anche la NATO205 ha dato un contributo agli sforzi internazionali di contrasto alla pirateria marittima. Analogamente all’Unione europea le varie missioni navali hanno interessato le zone lungo le coste somale e del Corno d’Africa. La prima missione navale intrapresa dall’Organizzazione del Patto Atlantico fu Allied Protector, la quale venne sostituita da Ocean Shield, avente scopi identici. Ocean Shield entrò in vigore il 17 agosto del 2009 e terminò nel novembre del 2016, basandosi sulle stesse regole di ingaggio dell’operazione Atalanta, dando così ai corpi navali militari la forza necessaria per contrastare e reprimere gli atti di pirateria. Del tutto peculiare fu l’approccio adottato nell’ambito di questa missione: si poteva operare a livello regionale, su richiesta degli Stati, i quali avevano intenzione di cooperare allo scopo di sviluppare le proprie capacità di contrasto alla pirateria. In tal modo, Ocean Shield contribuì alla causa non solo coordinandosi con le altre operazioni navali antipirateria206, bensì anche contribuendo alla

crescita delle forze degli Stati regionali affinché potessero meglio contrastare autonomamente gli atti di pirateria marittima.

Tra gli interventi navali va ricordata la CTF 151, una task force, composta da volontari, la quale al comando degli Stati Uniti, della Corea del Sud e della Turchia opera, con scopi e modalità simili alle due operazioni prima menzionate, nelle vicinanze del corridoio internazionale di transito nel Golfo di Aden.

Infine, anche adombrate dagli interventi precedenti, meritano un cenno gli sforzi contro la pirateria somala compiuti soggettivamente da Cina, India, Iran, Giappone, Malesia, Corea del Sud, Russia, Arabia Saudita e Yemen.

Tuttavia, lo strumento delle missioni navali antipirateria si è rivelato meno efficiente del previsto, tanto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha promosso un nuovo strumento per il contrasto alla pirateria marittima, con le risoluzioni 1976 (2011) dell’11

205, Il trattato istitutivo della NATO (Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord, in inglese North Atlantic Treaty Organization), il Patto Atlantico, fu firmato a Washington il 4 aprile 1949, ed entrò in vigore

il 24 agosto dello stesso anno. Tale organizzazione ha sede a Bruxelles.

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aprile 2011 e 2015 (2011) del 24 ottobre 2011, ossia l’istituzione di tribunali speciali in Somalia, competenti a giudicare gli atti di pirateria compiuti a largo delle coste somale207.

L’intento delle risoluzioni è quello di denunciare la mancanza di un’effettiva tutela giurisdizionale nei confronti degli atti di pirateria, senza la quale i pirati continuerebbero ad agire, vanificando gli sforzi di reprimere il fenomeno condotti con gli altri strumenti precedentemente analizzati. Infatti, ad esempio, nella risoluzione 2015 (2011) il Codice di condotta del Gibuti viene citato come importante strumento di riferimento per la repressione del crimine nella parte occidentale dell’Oceano Indiano e nel Golfo di Aden, ma tale strumento risulta inutile se poi vi è l’assenza di un’adeguata legislazione con adeguate sanzioni per coloro che compiano atti di pirateria, o li finanzino e/o organizzino. Ecco che a riparare la falla il Consiglio di Sicurezza, tramite la stessa risoluzione, ha richiesto in termini espliciti al Governo Federale di Transizione somalo e alle autorità predisposte di innovare ed adeguare la normativa vigente sul tema, grazie anche all’assistenza dello United Nations Office for Drugs and Crime (UNODC)208.

A seguire anche il Parlamento europeo è intervenuto di nuovamente in tema, mediante la risoluzione del 10 maggio 2012. Con essa, oltre a ribadire la preoccupazione per la crescita del fenomeno e la necessità di irrobustendo le operazioni di contrasto alla pirateria, rafforzandone in particolar modo il coordinamento strategico, il Parlamento europeo ha evidenziato l’inefficacia delle misure coercitive nei confronti di coloro che abbiano commesso o che sia sospettati del compimento di atti di pirateria, incentivando alla collaborazione con l’INTERPOL e l’EUROPOL e al ricorso al personale armato privato a bordo del naviglio mercantile in transito nella zone ad alto rischio.

Il Consiglio dell’Unione europea, d’altro canto, è intervenuto con la decisione 2012/389/PESC, con cui si è lanciata la missione EUCAP NESTOR, con la quale si pone l’obiettivo di rafforzare le capacità giudiziarie, di addestrare le guardie costiere e di formare giudici competenti in materia in otto Paesi del Corno d’Africa e dell’Oceano Indiano occidentale.

207 Per i testi delle risoluzioni v. il sito http://www.un.org.

208 L'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine è un’agenzia delle Nazioni Unite, istituita nel

1997, come ufficio per il controllo della droga e la prevenzione della criminalità, avente come sede Vienna. In particolare, in materia di pirateria, da tale agenzia sono stati attivati vari programmi volti a contrastare il fenomeno e, in generale, a reprimere gli illeciti commessi in mare quali, ad esempio, il Counter Piracy

Programme (CPP) O il Maritime Crime Programme (MCP). Per maggiori informazioni si rinvia al sito

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Per concludere questa breve carrellata di atti internazionali si citano la risoluzione 2125 (2013)209 e la risoluzione 2446 (2015). Con la prima Consiglio di Sicurezza è

intervenuto nuovamente sul tema, ribadendo l’importanza della istituzione di Corti specializzate, con la presenza di personale straniero, competenti a giudicare coloro che hanno perpetrato atti di pirateria, ma anche coloro che ne hanno istigato il compimento; nel quadro di un più generale sostegno di tutti gli Stati che si affacciano sul Golfo di Aden, i quali si impegnino a processare all’interno delle proprie Corti interne i responsabili di tali atti. Con la seconda risoluzione, invece, oltre a ribadire quanto appena detto, si pone in evidenza la pratica del catch and release, ossia del rilascio di soggetti responsabili di atti di pirateria, subito dopo la cattura, senza processo, poiché risulta complesso individuare lo Stato nel quale i pirati debbano essere processati e, naturalmente, debbano poi scontare l’eventuale pena. Solo quando le istituzioni somale saranno abbastanza solide da poter contrastare in modo efficace la pirateria si potrà assistere ad un contenimento di questa pratica, la quale, attualmente, altro non fa che sminuire le misure di contrasto e repressione impiegate dalla Comunità internazionale210. L’evidente fragilità delle istituzioni somale infatti, va a colpire tutta la Comunità internazionale, poiché, al di là del vanificare tutti gli altri sforzi, comporterebbe un abbattimento di non poco conto delle spese delle azioni antipirateria, come pure quelle sostenute dagli armatori, per un maggior premio assicurativo, per il carburante necessario a discostarsi dalle zone ad alto rischio, ovvero anche per l’impiego di personale armato a bordo.