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CAPITOLO IV: La pirateria marittima Definizione e inquadramento giuridico

4.2 Cosa è la pirateria marittima: dai Romani al 1958.

Per contrastare la pirateria, da sempre minaccia delle attività commerciali, si è cercato nel corso del tempo di dare alla stessa una definizione giuridica, per poter poi attivare delle azioni di contrasto ad essa giustificate da un atto normativo, rendendole così legali.

Il primo tentativo nel dare una definizione giuridica di pirateria lo si trova presso gli antichi Romani intorno all’anno 100 A.C., quando venne emanata la Lex de provinciis praetoris77, a seguito delle grandi azioni di contrasto al fenomeno da parte di Pompeo78. In questa legge per la prima volta Roma prende una posizione sui pirati, ovvero li considera nemici per il popolo romano e per i suoi alleati, ma le sue definizioni e gli ambiti applicativi sono molto vaghi, tanto che è rimasta quasi del tutto inapplicata.

Il vero problema circa questo aspetto della pirateria è consistito nella mancanza di distinzione fra guerra da corsa e pirati propriamente detti, per molto tempo. A causa di ciò, spesso, questi ultimi venivano sfruttati all’occorrenza da alcuni Stati nelle loro guerre, ma soprattutto offrivano a questi Stati merci a prezzi più vantaggiosi poiché in tal modo i governanti non ne pagavano le tasse, ne sono un esempio i Cavalieri Cristiani a Malta o Lorenzo de’ Medici a Livorno79. Naturalmente, spesso i pirati eccedevano i limiti, e dunque

venivano prese delle misure repressive mediante l’uso delle forze militari, le quali però erano troppo onerose e costringevano talvolta il governante a lasciar perdere le loro scorribande. Dunque, agli inizi il fenomeno della pirateria era diffuso e accettato, con la condizione che quando si sorpassavano i limiti i pirati venivano combattuti con la forza militare, come fossero un qualsiasi nemico.

Punto di svolta vi fu grazie all’italiano Pierino Belli nel 1563. Egli nel suo De re militari & bello tractatus parla anche di pirati, distinguendoli dai fuorilegge, e non

77 Rinvenuta intorno al 1893 e il 1896 all’interno di alcuni blocchi incisi ritrovati a Delphi, assieme ad altre

disposizioni sull’organizzazione delle province dell’Asia e della Macedonia.

78 Cfr. PLUTARCO, Vita di Pompeo, 27.4.

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riconoscendo la loro attività come connessa alla guerra poiché “tutti li hanno come nemici, e a tutti spetta il compito di reprimerli”80.

In seguito un altro italiano, Alberico Gentili, col suo De iure belli del 1598, riuscì a mettere ordine nelle interpretazioni giuridiche della pirateria e a essere più convincente del Belli. Egli inizia la sua trattazione enunciando il principio di guerra giusta, la quale per essere tale deve essere dichiarata dal Principe (un’autorità costituita e riconosciuta come legittima), e sostiene che i pirati, essendo considerati nemici dell’umanità81, siano al di fuori delle regole

della guerra82. Qui appare molto chiaramente la stigmatizzazione della pirateria, diversa dalle attività belliche condotte in nome di qualche sovrano, ritenute giuste, e dunque legali, per mezzo di un’autorizzazione. Quindi, se la pirateria è fuori da un contesto di legalità, essa, per esclusione, si deve ritenere un’attività illegale, ed essendo un crimine contro l’intera umanità – giunge alle conclusioni il Gentili – ogni governo può estendere le proprie azioni a contrasto della pirateria al di fuori dell’area geografica su cui ha il dominio, al di fuori di quello che noi oggi chiameremo il Mare territoriale.

Successivamente nel 1625 l’olandese Hugo Grotio, uno dei massimi filosofi e giuristi dell’epoca, pubblica il De iure belli ac pacis, in cui precisa la definizione di pirata lasciataci dal Gentili83. Egli arriva alle stesse conclusioni del suo predecessore, guardando però il

fenomeno da un’altra angolazione, e cioè più che concentrarsi sul fenomeno di “guerra giusta”, il Grotio guarda allo scopo della comunità di pirati: mentre una società di persone talvolta può porre in essere atti illeciti, una comunità brigantesca, quale quella pirata, viene a formarsi con il preciso scopo di compiere atti illeciti, e dunque contro quest’ultima non valgono le regole della guerra, potendosi applicare in alto mare le leggi nazionali dello Stato che persegue tale crimine84.

Da questo momento in poi si ha una definizione giuridica di pirata e pirateria che costituiranno il presupposto fondamentale per poter emanare un efficace atto normativo, tramite il quale condurre legalmente una lotta sul mare contro quel crimine e i suoi autori. Infatti, sebbene l’Inghilterra avesse provato nel 1535 e nel 1536, tramite degli statuti, a

80 P. BELLI, De Re Militari et Bello Tractatus (1563 ed. photographically reproduced); II; XI: “ [piratae] qui enim omnes habent pro hostibus, debent ab omnibus expectare rependi vices.

81 Il Gentili qui si rifà agli scritti di Cicerone, sebbene quest’ultimo non utilizzi mai il termine “pirata”, bensì

il termine preadones. Cfr. A. P. RUBIN, The law of piracy, cit.

82 Il Gentili in questo passo si rifà agli scritti di due giuristi dell’epoca romana Ulpiano e Pomponio cum piratis et latrunculis bellum non est, vt ita Pomponius, et Ulpianus definierunt. Cfr. A.P. RUBIN, The law of piracy,

cit.

83 A.P. RUBIN, The law of piracy, cit.

84 Grotio qui cerca di dare una giustificazione all’espansionismo olandese, seguendo quell’idea dell’epoca

secondo cui la sovranità su una parte del mare, al di là dei confini del mare territoriale, si acquisiva attraverso un’effetiva occupazione ottenuta grazie alle flotte. A.P. RUBIN, The law of piracy, cit.

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reprimere il fenomeno riconducendolo ai reati comuni, perseguibile dunque da qualsiasi corte anziché da tribunali ad hoc opportunamente costituiti, i contorni sfumati delle definizioni lasciavano non pochi problemi applicativi, aumentati anche dall’usanza di farsi giustizia da soli, molto diffusa nel campo commerciale85.

Anche l’Inghilterra riuscì a contribuire alla formazione di una definizione giuridica di pirateria, grazie a Sir Leoline Jenkis, il quale nel 1680 conia quello che vedremo essere chiamato ai giorni nostri il “Criterio delle due navi”86, prevedendo che affinché si manifesti

l’attività di pirateria debbano essere coinvolte due navi, una delle quali deve battere la bandiera di uno Stato. In tal modo veniva estesa la giurisdizione inglese ovunque vi fosse un nave inglese, estendendo così il diritto nazionale nell’High Sea87.

Ciononostante, il contributo inglese non si esaurisce con la formazione di questo criterio, bensì in Inghilterra vengono anche elaborati concetti che troveranno seguito ed approfondimento in altre nazioni fino a diventare dei pilastri del diritto internazionale. Ad esempio, vengono elaborati i concetti di Animo Furandi e di Hostis Humanae Gentis: con il primo si intende l’intenzione di rubare per motivi privati (private ends), applicato alla pirateria perché derivato dalla concezione di rapina all’interno del Common law inglese; mentre con il secondo si ribadisce quando detto prima in merito alla collocazione dei pirati fuori dalle regole di un qualsiasi contesto legale, poiché in guerra con tutti. Gli Stati Uniti sono da annoverare tra coloro i quali meglio approfondirono questi temi, anche se il tema principale della discussione qui era rappresentato dal dubbio circa la sottoposizione della pirateria al diritto nazionale o al diritto internazionale, nonostante fosse oramai consolidata l’opinione che i pirati fossero “nemici dell’umanità”, e tutti gli Stati dovessero collaborare

85 A.P. RUBIN, The law of piracy, cit. 86 Infra 4.3

87 Per la corona britannica ogni mare era oggetto di interesse, come scrive il Jenkins: “Every Englishman

knows, that his Majesty hath an undoubted Empire and Sovereignty in the Seas that environ these his Kingdoms […] But besides these four seas, which are the peculiar Care, and as it were, part of the Domaine of the Crown of England, his Majesty hath a Concern and Authority (in Right of his Imperial Crown) to preserve the publick Peace, and to maintain the Freedom and Security of Navigation all the World over: So that not the utmost Bound of the Atlantick Ocean, not any Corner of the Mediterranean, nor any Part in the South or other Seas, but that if the Peace of GOD and the King be violated upon any of his Subjects, or upon his Allies or their Subjects, and the Offender be afterwards brought up or laid hold on in any of this Majesty's Ports, such Breach of the Peace is to be enquired of, and tryed […] in such Country, Liberty, or Place, as his Majesty shall please to direct. So long an Arm hath GOD, by the Laws, given to his Viceregent the King, and so odious are the Crimes of Piracy, Bloodshed, Robbery, and other Violences upon the Sea, that Justice observes and reaches the Malefactors, even in the remotest Corners of the World […] This Power and Jurisdiction which his Majesty hath at Sea in those remoter Parts of the World, is but in concurrence with all other Soveraign Princes that have Ships and Subjects at Sea”. Cfr. Al.P. RUBIN, The law of piracy, cit.

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per reprimerne gli atti, come risulta dal Elements of International Law del giurista statunitense Henry Wheaton88.

Anche il concetto di pirateria, come del resto qualsiasi concetto di diritto in generale, si è formato nel tempo per mezzo di interventi giurisprudenziali e dottrinali, più o meno incisivi a seconda dell’importanza e della gravità attribuita al fenomeno.

Nel secolo XX si è avuta un’ulteriore evoluzione del concetto di pirateria, questa volta in relazione alle mutate politiche militari: la guerra navale, utilizzata anche come strumento di distruzione dell’altrui commercio e di protezione del proprio, è stata da sempre ritenuta legittima, tuttavia, per essere legittima, ogni azione doveva essere certamente addebitata a uno Stato89, e tutto ciò che vi si poneva al di fuori non era considerato degno di protezione90.

Un fenomeno simile alla pirateria, non per le finalità perseguite, quanto più per i metodi utilizzati era il privateering, di cui si fa un breve accenno. Si era in presenza di questo quando i vari regni, primo fra tutti quello inglese, assoldavano al loro servizio i corsari, i quali agivano come “ausiliari” alle modeste flotte reali con il compito di attaccare le navi mercantili nemiche allo scopo di fiaccare il commercio degli avversari. Il sovrano, per far sì che alla cattura, costoro non venissero immediatamente impiccati, come accadeva per i pirati, dava loro come garanzia delle “Lettere di marca”. L’incremento di tale attività fu favorito dal fatto che i corsari versavano solo metà del bottino nelle casse della corona, il resto erano autorizzati a intascarlo. La “Guerra corsara” affidata a privati cittadini venne dichiarata fuori legge nella Conferenza di Parigi del 1856, al termine della guerra di Crimea91, su impulso del conte Walewski.

Solamente dopo il Primo Conflitto Mondiale si può parlare di definizione moderna della pirateria, in particolare, dalla Conferenza Navale di Washington del 1922, in cui si cercò di dare regole universali per la protezione di passeggeri e merci nel corso dei traffici mercantili mondiali, ma il Trattato non entrò mai in vigore in quanto fu firmato solo da 5 Stati92. Successivamente, nel 1924, vi fu la 5° Assemblea della Lega delle Nazioni, in cui tra gli argomenti cui si voleva mettere mano per ricavarne una codificazione di regole

88 Cfr. A.P. RUBIN, The law of piracy, cit.

89 Rifacendosi alle teorie di Weber, secondo cui lo Stato è l’unico ente legittimato all’uso della forza.

90 Questa posizione, come si è visto, è costante fin dai tempi più remoti, lo stesso Rousseau nel suo De contract social scrisse: “La guerre n’est donc point une relation d’homme a homme, mais une relation d’état a état,

dans laquelle les particuliers ne sont ennemis qu’accidentellement; non point comme hommes, ni même come citoyens, mai comme soldats; non point comme membres de la patrie, mais comme se défenseurs”

91 A. SANTONI, Storia e politica navale dell’età moderna, Roma, 2005

92 Vi parteciparono Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Giappone, Italia, Beglio e China, e fu firmato solo da

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internazionali vi era la pirateria. Nonostante vi fu un sottocomitato composto dal giapponese M. Matsuda e dal cinese Wang Chung-Hui, i quali presentarono gli otto articoli del Draft prevision for the suppression of Piracy, facendo ordine circa la confusione regnante sul termine e sulle giurisdizioni, a seguito delle dichiarazioni circa la non fondamentale importanza del fenomeno, da parte del rappresentante polacco Zaleski, l’Assemblea della Lega delle Nazioni ha deciso il 27 settembre 1927 di non far rientrare la pirateria nell’agenda dei lavori.

Solo l’Harvard Research in International Law, una prestigiosa organizzazione privata statunitense, rilevò l’importanza di una eventuale codificazione della materia, il cui studio venne condotto da esperti, il cui relatore fu il professore Joseph W. Bingham. I risultati della ricerca, ancora oggi di primaria importanza, confluirono in una bozza di Convenzione di 19 articoli, in cui si denota come la pirateria non veniva più considerata un crimine secondo il diritto internazionale, bensì un crimine perseguibile da qualsiasi Stato, estendendo la propria giurisdizione, e il cui mancato esercizio da parte di uno Stato non ne preclude l’esercizio ad un altro. Eppure, la bozza non venne mai utilizzata come base per un trattato internazionale.

Solo l’International Law Commission delle Nazioni Unite nel 1949, volle mettere mano alle leggi dell’alto mare e sviluppare modifiche circa il diritto marittimo internazionale, tanto che, utilizzando il lavoro della Harvard Research, dopo un lavoro di sette anni, presentò un progetto di riforma che includeva anche la pirateria, da utilizzare come base di partenza per una Convenzione nella Prima conferenza del mare che doveva tenersi a Ginevra nel 195893.

In tale occasione, conclusasi positivamente, vennero adottati quattro testi di quattro convenzioni94 le quali costituiscono ancora oggi il diritto convenzionale vigente tra gli Stati, malgrado le carenze, e, specificamente, nella Convenzione sull’alto mare all’art 15 viene data una definizione compiuta di pirateria95.

93 Cfr. A.P. Rubin, The law of piracy, cit.

94 Durante la Prima conferenza sul diritto del mare vennero adottate le convenzioni: sul mare territoriale e la

zona contigua; sull'alto mare; sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell'alto mare; sulla piattaforma continentale.

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