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Cosa è la pirateria marittima: definizione nell’ordinamento interno, il codice della navigazione e l’art 5 della L 12/

CAPITOLO IV: La pirateria marittima Definizione e inquadramento giuridico

4.4 Cosa è la pirateria marittima: definizione nell’ordinamento interno, il codice della navigazione e l’art 5 della L 12/

Per quanto concerne il nostro ordinamento il codice della navigazione dedica due articoli alle misure repressive della pirateria marittima.

L’art 1135, rubricato “pirateria”, detta la pena edittale per tale delitto: “Il comandante o l'ufficiale di nave nazionale o straniera, che commette atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera, è punito con la reclusione da dieci a venti anni”. Sono previste inoltre delle riduzioni della pena per gli altri componenti dell'equipaggio in misura non eccedente un terzo e per gli estranei fino alla metà, e sono previsti pure sia l’arresto obbligatorio in flagranza di reato che il fermo di indiziato di delitto.

Si noterà che all’interno della disposizione non sono citati quegli atti che si sostanziano nel sequestro di persona, per quali però si potrà applicare, in via complementare, la disciplina contenuta nel codice penale colmandone la lacuna.

Secondo il codice della navigazione dunque, la condotta tipica della fattispecie è costituita dagli atti di depredazione o violenza perpetrata a scopo di depredazione in danno di persone imbarcate su nave nazionale o straniera. Soffermandoci nello specifico sulla nozione di depredazione, essa ricorre in altre fattispecie criminose oggetto del diritto penale

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comune (per esempio il furto, la rapina, l’estorsione, etc.), ma nei limiti del 1135 la depredazione sostanzia solo il reato di pirateria. Tuttavia, rilevano maggiormente gli atti alternativi alla depredazione, ovvero quelli di violenza in danno di persone imbarcate su una nave nazionale o straniera commessa a scopo di depredazione, in quanto, secondo il dato letterale, questi atti devono essere indirizzati esclusivamente in danno delle persone per integrare la fattispecie, e non in danno del carico o di altri eventuali beni imbarcati. A ciò si è posto rimedio mediante un’interpretazione estensiva della norma, comprendendo anche l’ipotesi in cui a subire i danni sono le cose che si trovano a bordo112.

Ai fini sanzionatori il legislatore ha equiparato il tentativo al delitto consumato, applicando così la sanzione prescindendo dal fatto che la depredazione non sia giunta a compimento a causa di circostanze che abbiano inciso sulla volontà del soggetto agente113.

Intuitivamente si evince che l’oggetto materiale del reato è rappresentato dalla nave. Come accade per il diritto internazionale, anche in questo caso deve sussistere il “criterio delle due navi”, ossia per configurarsi il reato di pirateria devono essere presenti due navi (una pirata e l’altra vittima degli attacchi di violenza o depredazione da parte della prima). È quindi conseguenza necessaria che le persone e le cose danneggiate debbano essere imbarcate su un’altra nave rispetto a quella che ha eseguito gli attacchi, risultando persona offesa del reato l’armatore della nave o i proprietari del carico o dei beni su di essa trasportati e che sono oggetto di depredazione114.

A similitudine di quanto previsto con il diritto internazionale, l’elemento soggettivo si concretizza in un dolo specifico del soggetto agente: vi deve essere la compresenza della volontà e della piena consapevolezza di porre in essere un atto di depredazione in danno di un’altra nave, del carico o dell’equipaggio. A tal proposito alcuni autori hanno evidenziato che gli elementi dell’intenzionalità e della consapevolezza offrono un valore aggiunto alla condotta, la quale si estrinseca nella mera intenzione di impossessarsi di un bene di proprietà di altri (la nave o il carico)115.

Altra affinità con il diritto internazionale è la presenza nell’art. 1135 del criterio delle due navi, il quale assume rilevanza leggendo in chiave comparativa l’articolo 1138 del codice della navigazione, rubricato “impossessamento della nave o dell’aeromobile”, il quale presenta affinità sia in riferimento alle modalità di commissione del delitto (“per

112 V. F.M. TORRESI, La pirateria marittima del XXI secolo, in Dir. mar, 2007.

113 P. V. REINOTTI, Proprietà della nave, dell’aeromobile e del carico (reati contro la), in Dig. disc. pen., X,

Torino, 1995.

114 Cfr. G. TELLARINI, La pirateria marittima. Regime di repressione e misure di contrasto, cit. 115 Cfr. P. V. REINOTTI, Proprietà della nave, dell’aeromobile e del carico (reati contro la), cit.

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mezzo della violenza o della minaccia”) che in riferimento l’elemento soggettivo del soggetto agente. Tuttavia, mancando il suddetto criterio, dunque i soggetti agenti non sono esterni all’equipaggio ovvero sono persone già imbarcate sulla nave, il 1138 rappresenta una fattispecie diversa da quella di pirateria.

Nel terminare l’analisi dell’art. 1135 si evidenzia la mancanza di un locus commissi delicti. Nel nostro ordinamento, a differenza di quanto accade per l’art. 101 della UNCLOS, in assenza di specificazioni il reato di pirateria deve ritenersi integrabile sia in alto mare che nelle acque territoriali. Comunque, è lecito ritenere che il legislatore non abbia voluto affrontare appositamente la questione come si ricava da quanto precisato dallo stesso nella Relazione al Re sul codice della navigazione n. 739116

Il secondo articolo che si occupa di pirateria nel codice della navigazione è il 1136. Questo si occupa delle navi sospette di pirateria, e in particolare punisce con reclusione da 5 a 10 anni il Comandante di nave nazionale o straniera, la quale naviga senza carte di bordo. Per le diminuzioni della pena si ricalca il testo dell’articolo precedente.

Quando l’articolo 1136 menziona la fornitura abusiva di armi e la mancata regolarità delle carte di bordo, come premesse per l’integrazione della fattispecie, queste devono essere connesse con gli atti di pirateria e non dovute ad altre circostanze, e ciò è confermato dalla Relazione al Re sul codice della navigazione numero 739117.

Da quanto detto fin qui è chiaro che l’art. 1136 fa parte di quei reati cd. di attentato, ossia esso prevede un’ipotesi peculiare, in quanto la punibilità è estesa anche ai meri atti preparatori nonostante non sia portata a termine l’esecuzione del reato e come per l’art. 1135 nulla è detto in merito al locus commissi delicti. Ciò permette di dire, allineandosi alle opinioni della dottrina maggioritaria, che gli atti di pirateria consentono di derogare al principio della territorialità, così da poter applicare la legge italiana nei confronti di tutti coloro che hanno messo il crimine nel territorio dello Stato, ma anche all’estero, ex art. 7, n. 5, c.p. e ex art. 1080, comma 2, cod. nav, dal quale si ricava che le disposizioni penali di detto codice si applicano anche ai membri dell’equipaggio o ai passeggeri di nave straniera,

116 “Non ho ritenuto opportuno di porre come elemento costitutivo della pirateria il fatto di essere commessa

in un luogo che si trovi fuori della giurisdizione esclusiva di un determinato Stato. Questo problema di carattere internazionale non poteva essere risolto in questa sede, dovendo essere oggetto di quella elaborazione di un diritto penale internazionale e, in specie, delle norme dirette a punire i cd. delicta contra gentium, che può essere raffigurato attraverso convenzioni internazionali ed altri strumenti analoghi”. Relazione al Re sul cod.nav. n. 739

117 Si sottolinea che quando la nave è stata rifornita abusivamente di armi ma “per scopi delittuosi diversi dalla

pirateria (contrabbando, forniture illegittime a belligeranti, a rivoltosi, etc.), mancano i presupposti previsti dalla norma incriminatrice e i responsabili saranno sì punibile, ma per un reato diverso. Per un ulteriore approfondimento cfr. G. TELLARINI, La pirateria marittima. Regime di repressione e misure di contrasto, cit.; F.M. TORRESI, La pirateria marittima del XXI secolo, cit.

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qualora sia previsto da speciali disposizioni di legge ovvero da convenzioni internazionali, come nel caso in esame.

Inoltre, entrambi gli articoli circa il reato di pirateria del codice della navigazione, possono essere applicati, ai sensi dell’art. 10 c.p., pure quando gli illeciti sono stati commessi all’estero da stranieri al servizio di nave straniera, però in danno di nave nazionale e del relativo equipaggio, in ossequio al principio dell’universalità della giurisdizione per la repressione dei crimini contra gentium118.

Oltre agli articoli del codice della navigazione il legislatore ha emanato altre norme, in osservanza dell’art. 7 c.p., per risolvere alcuni problemi giuridici scaturiti dalla partecipazione dell’Italia alle operazioni navali militari promosse da NATO e Unione Europea in particolare nell’area del Corno d’Africa.

Una delle prime applicate è la legge n. 12 del 2004 che all’articolo 5, così come modificato dal decreto legge n. 61/2009, convertito in legge n. 100/2009, prevede la giurisdizione nazionale anche per reati di pirateria e di nave sospetta di pirateria, di cui agli articoli 1135 e 1136 cod. nav., e la possibilità di posticipare ad un momento successivo la tempestiva consegna all’autorità giudiziaria competente del soggetto arrestato o fermato119.

L’art. 5 della legge citata è stato utilizzato per la prima volta dalla Marina Militare italiana il 22 settembre 2009, quando la Fregata Maestrale sventò un attacco contro un mercantile liberiano catturando 9 pirati, successivamente messi a disposizione della Procura della Repubblica di Roma che ha chiesto al tribunale di processarli nel rispetto della disposizione normativa.

Così come modificato dal decreto legge n. 61 del 2009, l’art. 5 è stato applicato a seguito del sequestro da parte di un gruppo di pirati della MV Montecristo nell’ottobre del 2011, e a seguito dell’attacco al mercantile italiano Valdarno nel gennaio del 2012.

Nel primo caso si tratta di una nave battente bandiera italiana, appartenente alla società livornese Dalmare S.p.A., che venne assalita e sequestrata per un breve periodo

118 G. TELLARINI La pirateria marittima. Regime di repressione e misure di contrasto, cit.

119 L’applicazione di questa misura negli ultimi anni si è dimostrata efficace per contrastare la pirateria

marittima, rimanendo comunque conforme ai principi di diritto internazionale. Si prenda ad esempio il caso della Somalia dove le Nazioni Unite già avevano individuato l’importanza degli interventi della Comunità internazionale, non solo in alto mare, ma anche nelle acque territoriali somale per vincere questo fenomeno. Naturalmente un intervento così “invasivo” è giustificato dal fatto che altrimenti i pirati troverebbero rifugio nelle acque territoriali di uno Stato privo di mezzi navali e aeronavali per catturarli, come la Somalia, rimanendo così impuniti. La stessa Italia ha incontrato una serie di difficoltà nell’adeguarsi ai principi generali di repressione della pirateria, proprio per la natura invasiva dei provvedimenti normativi, a causa della quale la maggior parte degli Stati affetti da questo crimine ha cercato di evitare un coinvolgimento immediato e diretto sottoponendo alla propria giurisdizione penale i pirati eventualmente catturati. Cfr. C. TELESCA, Gli

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mentre navigava le acque del Golfo di Aden per dirigersi da Liverpool a Phu My (Vietnam). Come da prassi, l’equipaggio si rifugiò in una camera blindata (la cd. cittadella) fino al salvataggio a seguito dell’intervento delle forze speciali inglesi imbarcate sulla Fregata Fort Victoria in zona, poiché operativa nell’ambito della missione antipirateria della NATO nota come Ocean Shield. Una volta catturati, i pirati somali sono stati imbarcati in stato di arresto a bordo del Cacciatorpediniere Andrea Doria per essere poi portati in Italia e andare sotto processo presso il Tribunale di Roma.

Nel secondo caso, la Valdarno è stata protetta dalla Fregata Grecale, operativa anch’essa nell’ambito dell’Ocean Shield. In particolare il mercantile italiano ha subito un tentativo di abbordaggio a largo delle coste dell’Oman e seguendo la prassi di rifugiarsi nella cittadella si è evitato il sequestro, mentre la Fregata Grecale interveniva dapprima in suo ausilio con una ricognizione aerea, e in secondo luogo abbordando il peschereccio utilizzato dai pirati somali, così da poterli arrestare e poi sottoporli, mediante videoconferenza, ad interrogatorio di garanzia ed infine, applicando l’art. 5 della legge citata, è stata applicata la competenza del Tribunale di Roma120.

Nonostante le condanne inflitte in Italia nei confronti dei pirati somali siano segno di un’importante svolta nel contrasto alla pirateria marittima, i pirati catturati godono ancora dell’incertezza della pena nei loro riguardi, in quanto non vi è alcun Paese che voglia accollarsi l’onere di trattenerli e sottoporli a giudizio, e purtroppo, molto spesso, vengono rilasciati dopo la cattura.121