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5. Il potere di revoca nella codificazione della l n 15/

5.2. Gli atti revocabili e la dimensione temporale degli effetti.

L’art. 21 quinquies l. n. 241/90 limita testualmente il suo campo di applicazione ai provvedimenti “ad efficacia durevole”, escludendo in origine la revocabilità degli atti ad effetto istantaneo, ovvero di quegli atti che esauriscono la produzione dei loro effetti nel momento stesso in cui vengono emanati, e sui quali la revoca non potrebbe aver alcuna incidenza concreta.

La norma allora mostra di aver accolto l’orientamento giurisprudenziale che affermava l’efficacia non retroattiva della revoca, facendo discendere da tale atto la sopravvenuta inidoneità del provvedimento a produrre effetti per il futuro, in senso speculare ed opposto all’annullamento ex officio la cui efficacia è tendenzialmente retroattiva.

La distinzione tra provvedimenti ad efficacia durevole ed istantanea implica necessariamente una parentesi sulla dimensione dell’efficacia dell’atto amministrativo, e sulla relativa nozione.

Autorevole dottrina65, considerando l'efficacia dal punto di vista del momento in cui essa

interviene, determinando il passaggio dalla condizione di atto inefficace a quella di atto efficace,

64 V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino 2006, p. 454.

rileva come l'efficacia del provvedimento sia sempre istantanea, nel senso che essa si produce tutta in un determinato istante, che è appunto il momento di acquisizione dell'efficacia.

Pertanto, posto che dal punto di vista del momento in cui si produce l'efficacia del provvedimento è sempre istantanea, quello che può cambiare è il rapporto tra l'oggetto del provvedimento, inteso come suo contenuto dispositivo, e la dimensione temporale.

A seconda delle circostanze muterebbe, cioè, la qualità di questo effetto, consentendo così una più precisa distinzione degli atti amministrativi nel tempo.

Si riscontrano in primo luogo provvedimenti relativi a fattispecie prive di dimensione temporale, ovvero produttivi di autonome qualità giuridiche, cioè di qualità che non esprimono una disciplina propria del provvedimento66, e provvedimenti che si riferiscono a fattispecie dotate di dimensione

temporale. Quest’ultimi riguardano, consentendoli, vietandoli o prescrivendoli, comportamenti che debbono svolgersi nel tempo, mediante una attività in senso lato di attuazione o almeno di uso del provvedimento cui risultano collegati67.

Meno frequente è la distinzione tra provvedimenti che riguardano una singola e determinata azione o evento, e provvedimenti che disciplinano tipi o classi di azioni.

Nella prima categoria rientrano quei provvedimenti che regolano comportamenti o fattispecie specificamente e concretamente individuati, costituenti un unicum: si pensi al permesso di costruire un determinato edificio in un determinato luogo, o ancora a diversi provvedimenti autorizzatori, alla dichiarazione di pubblica utilità volta a consentire l’espropriazione di un determinato immobile, all’assegnazione di una determinata borsa di studio o sovvenzione, e finanche all'aggiudicazione di un determinato appalto o all’ordine di demolizione di un determinato edificio. In tali esempi, l’azione o il comportamento considerato può essere in se stesso istantaneo, o svolgersi a distanza di tempo dall'autorizzazione, o ancora può accadere che sia l’azione in se stessa a richiedere un tempo per la sua esecuzione.

Si prospetta così un’ulteriore distinzione tra atti ad effetti istantanei, atti ad effetto differito, e atti ad efficacia prolungata: per tutti, il problema comune si pone allorché la qualificazione che il provvedimento ha dato all’azione possa in seguito venire meno, sopratutto in relazione agli atti favorevoli al destinatario.

66 Si pensi ai provvedimenti attributivi di personalità giuridica o al decreto di esproprio che creano una qualità di persona giuridica o di nuovo proprietario destinata a protrarsi nel tempo, ma le cui azioni non sono più riconducibili al provvedimento.

67 In tale categoria pare collocarsi il permesso di costruire, provvedimento che seppur ad efficacia non espressamente durevole è idoneo a produrre effetti che si dipanano nel tempo.

Infatti, ove l'azione sia già stata compiuta, il mutamento di qualificazione potrebbe avvenire soltanto con un provvedimento retroattivo, categoria la cui ammissibilità è estremamente discussa in dottrina e in giurisprudenza68.

Tuttavia, molto spesso la legislazione si fa anticipatamente carico dell’intervallo temporale che possa intercorrere tra il provvedimento ed il verificarsi dell'azione in esso prefigurata, stabilendone fin dall'inizio i limiti massimi, ad evitare che l'effetto pratico del provvedimento, cioè lo svolgimento dell'azione consentita o prescritta, si svolga ad eccessiva distanza di tempo dal provvedimento stesso stabilendo che l’azione prefigurata dall'atto sia consentita solo in quanto si svolga entro un determinato termine, ovvero che essa debba essere compiuta entro un determinato termine.

A seguito del decorso del termine il destinatario del provvedimento decade dalla possibilità di compiere l'azione, affermandosi la cessazione dell’efficacia del provvedimento.

In realtà, come puntualmente notato, è proprio l’efficacia del provvedimento, nella sua specificazione temporale, a far sì che ove compiuta oltre il termine l'azione non sia più qualificata dal provvedimento stesso, e divenga perciò illecita.

L’efficacia durevole è certamente un predicato degli atti che si riferiscono a classi di azioni, ovvero a modelli comportamentali destinati ad essere ripetuti nel tempo69 che considerano una

determinata azione ma non nella sua unicità o determinatezza storica, bensì nel suo tipo.

In questi casi è evidente che l'efficacia del provvedimento ha una dimensione di durata o continuativa, legittimando azioni ripetibili in modo indefinito e prolungato nel tempo, ciascuna delle quali sarà lecita, anche a distanza di tempo, in quanto ricompresa nella legittimazione fornita dal provvedimento.

Gli atti c.d. “ad efficacia durevole” in senso proprio sono dunque atti che legittimano comportamenti ripetibili individuati nel tipo, ponendo in modo critico il problema del sopraggiungere di circostanze, in relazione alle quali la prosecuzione dell’attività consentita dal provvedimento risulta incompatibile con l’interesse pubblico.

Le modifiche apportate dal d.l. 31 gennaio 2007 n. 7 nonché dal d.l. 25 giugno 2008 n. 112 hanno tuttavia spinto l’istituto della revoca verso nuovi ambiti, sancendo con inconsapevole naturalezza dei criteri di quantificazione dell’ indennizzo, qualora la revoca di un “provvedimento ad efficacia durevole od istantanea incida su rapporti negoziali”.

68 R. GIOVAGNOLI, L’atto amministrativo retroattivo, in Magistra 2014, I, p. 138, nonché Cons. St. 4 maggio 2010, n. 2545, in www.neldiritto.it.

69 Esempi di tali atti sono rappresentati dalla patente di guida, dal porto d'armi, e in genere dalle autorizzazioni di polizia, nonché la licenza di commercio, la concessione di bene o di servizio pubblico, in cui si autorizza in generale il guidare l'automobile, il portare l'arma, il compiere attività commerciale (sia pure in relazione ad un determinato esercizio), l'usare un bene o il gestire un servizio pubblico.

La disposizione sembra dare per scontata un’affermazione radicalmente nuova rispetto al dibattito precedente, ammettendo la possibilità di revocare provvedimenti ad effetto istantaneo, nonché consentendo l’esercizio del potere di revoca anche in rapporti contrattuali.

Si tratta, evidentemente, di due novità di enorme portata: sotto il primo profilo, la possibilità di revocare atti ad efficacia istantanea, impone di riconsiderare la struttura del potere di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241/90, compresa la sua irretroattività.

Ed infatti, il ritiro di un atto che ha ormai prodotto integralmente i suoi effetti può essere alternativamente letto solo come un riesame demolitorio con effetto ex tunc, o come una nuova determinazione provvedimentale che ripristini in via autonoma lo status quo ante, ma non di certo come la revoca in precedenza descritta.

È innegabile che un provvedimento di ritiro che rimuova un atto che ha iniziato ed esaurito i propri effetti, ad onta di un’affermata irretroattività, non possa che operare con un effetto concretamente retroattivo nella realtà giuridica.

Difficile allora concepire un dialogo tra l’art. 21 quinquies e atti ad effetto istantaneo, salvo voler relazionare il potere di revoca autenticamente inteso non già all’atto precedente, ma all’assetto fattuale che ne è scaturito e si è protratto nel tempo, ovvero, seguendo la classificazione precedente, a quegli atti istantanei che si collocano pur sempre in una dimensione temporale. Non meno dirompente è stata l’introduzione di un possibile collegamento del potere di revoca con fattispecie negoziali, in cui maturano posizione soggettive che assumono lo spessore del diritto soggettivo, ben oltre l’interesse legittimo che solitamente si confronta con il potere di autotutela. Come si analizzerà di seguito, la semplicità della disposizione riformata nel 2008 non rispecchia affatto il panorama giuridico ed empirico, giacché la dialettica tra revoca in autotutela e vicende contrattuali appare quanto mai tormentata, soprattutto circa la stessa ammissibilità di tale relazione.

L’unico requisito, non menzionato ma sotteso all’art. 21 quinquies l. n. 241/90, che resta tendenzialmente indiscusso riguarda la natura discrezionale e non vincolata del provvedimento originario.

I presupposti che legittimano il potere di revoca, sia nel caso di sopravvenienze, che per jus poenitendi richiedono per loro natura l’esistenza di uno spazio di discrezionalità nel perseguimento dell’interesse pubblico, in cui la p.a. si è inizialmente mossa e di si rende necessaria una nuova valutazione.

Secondo l’orientamento prevalente, infatti, la revoca fondandosi su vizi di inopportunità originaria o sopravvenuta, attiene al merito dell’azione amministrativa, e dunque ad un predicato riferibile solo agli atti di natura discrezionale.

Non mancano, ad ogni modo, voci minoritarie che considerano la revoca esperibile anche a fronte di atti vincolati, dovendosi distinguere tra le varie ipotesi disciplinate dall’art. 21 quinquies l. n. 241/90: il ritiro del provvedimento per un mutamento della situazione di fatto rappresenta, infatti, una circostanza che ben può riferirsi anche agli atti vincolati, qualora si verifichino sopravvenienze che alterino la base fattuale su cui sono stati emanati, dovendosi riservare agli atti discrezionali le diverse fattispecie di revoca per nuova valutazione dell’interesse originario o per sopravvenuti motivi di interesse pubblico.

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