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Le ulteriori problematiche sottese alla nuova formulazione dell’art 21 nonies l n.

7. Le novità della l n 124/2015: una nuova veste per l’annullamento d’ufficio.

7.2. Le ulteriori problematiche sottese alla nuova formulazione dell’art 21 nonies l n.

241/90: tra obiettivi ammirevoli ed esiti discutibili.

La riforma della l. n. 124/2015 nonostante i dichiarati intenti di semplificazione e rafforzamento di tutela del legittimo affidamento, lascia numerosi dubbi irrisolti, innestandosi in un quadro normativo e giurisprudenziale che si era ormai consolidato nel delineare i tratti dell’autotutela amministrativa123.

L’introduzione di un termine perentorio per l’annullamento d’ufficio impone di interrogarsi sui profili ricostruttivi di contorno, ovvero sui risvolti di tale modifica normativa sull’intera disciplina del potere di autotutela.

Ci si chiede, innanzitutto, se il rispetto dei diciotto mesi renda il termine d’intervento in autotutela automaticamente ragionevole.

Secondo una prima impostazione, la p.a., qualora rispetti il limite indicato, non sarebbe tenuta a provare la ragionevolezza del momento temporale entro cui esercita il potere di autotutela che, nello spazio dei diciotto mesi sarebbe necessariamente legittimo.

In altre parole l’affidamento del privato circa la stabilità del provvedimento oggetto di ritiro si consolida solo una volta trascorso tale termine, mentre ogni intervento antecedente non troverebbe alcun ostacolo nell’aspettativa dei destinatari, attesa anche la brevità dell’ intervallo prescelto dal legislatore del 2015.

L’impostazione non appare condivisibile giacché parte da premesse eccessivamente astratte senza calibrarle sulle dinamiche concrete: il termine di diciotto mesi non può definirsi né ampio né ristretto in senso assoluto ma dipende dal singolo caso, nonché dalla tipologia di interessi coinvolti, dalla cui analisi può emergere la congruità o meno del tempo dell’intervento in autotutela.

123 Per una critica alla tecnica di redazione della l. n. 124/2015, che denota come il cambiamento normativo sia ormai un “valore in sé” più che un effettivo intervento funzionale all’attività amministrativa si veda S. STAIANO, Rapsodia legislativa, in www.federalismi.it., 2015, 10.

Nell’intervallo immaginato dal legislatore ben può essere che il privato abbia effettuato investimenti economici di rilievo sulla base del provvedimento abilitativo illegittimo, dal momento che lo spirito della riforma è proprio quello di fornire un incentivo all’iniziativa imprenditoriale mediante una maggiore certezza dei titoli autorizzatori.

Né può immaginarsi un potere di riesame automaticamente legittimo se contenuto nei limiti fissati, come una sorta di autocontrollo che consente alla p.a. una verifica postuma dei titoli rilasciati in forma semplificata, altrimenti verrebbe meno lo stesso senso delle riforme degli ultimi anni: gli istituti come la S.C.I.A., ed il silenzio-assenso verrebbero snaturati dalla loro funzione acceleratoria, laddove si attribuisse all’Amministrazione un controllo di legittimità ex post in via generalizzata, che sposterebbe di fatto la stabilizzazione del titolo allo scadere dei diciotto mesi. Una lettura astratta dell’art. 21 nonies muterebbe veste anche alla posizione giuridica del privato, sotto forma di interesse legittimo oppositivo nelle more del termine per l’annullamento d’ufficio, che di colpo diviene diritto soggettivo al suo scadere, denotando una variabilità troppo automatica tra situazione soggettive che dialogano con il potere pubblico.

Si ritiene preferibile allora assoggettare l’autotutela “tempestiva” comunque ad un sindacato di ragionevolezza e proporzionalità, al fine di stabilire se l’intervento risulti congruo rispetto all’assetto di interessi maturato medio tempore.

Ulteriormente, non è facile stabilire quale sia la patologia del provvedimento di autotutela adottato oltre la scadenza del termine di diciotto mesi, ovvero se possa ravvisarsi una forma di annullabilità o addirittura di nullità dello stesso.

La soluzione del quesito passa attraverso la nota dicotomia tra “carenza” e “cattivo esercizio” del potere124 dovendosi prendere posizione sull’esistenza o meno di un fondamento per

l’annullamento tardivo dell’atto.

Se davvero si ritiene che il potere di annullamento d’ufficio si consumi una volta trascorso il termine di diciotto mesi, la patologia del provvedimento non può che integrare una forma di nullità per carenza di potere, ovvero per difetto assoluto di attribuzione ex art. 21 septies l. n. 241/90; la nuova formulazione dell’art. 21 nonies configurerebbe, in tale ottica, una norma attributiva di un potere limitato nel tempo che cessa di esistere in capo alla stessa p.a. che prima ne era titolare, sconfessando la tradizionale concezione di inesauribilità del potere pubblico.

124 L. MAZZAROLLI, Sulla disciplina della nullità dei provvedimenti amministrativi, in Dir. proc. amm., 2006, pp. 546 e ss.; R. CHIEPPA, Il nuovo regime dell’invalidità del provvedimento amministrativo, in www.giustamm.it; S. DE FELICE, Della nullità del provvedimento amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; R. GIOVAGNOLI, Nullità ed inesistenza dell’atto amministrativo, in AA.VV., Atti amministrativi ed autotutela dopo le leggi n. 15 e 80 del 2005, Torino, 2005, pp. 276 e ss. In giurisprudenza, cfr. ex pluris Cons. St. Ad. Plen., 26 marzo 2003 n. 4, Cons. St., 2 novembre 2011, n. 5843, Tar Napoli, 12 settembre 2007 n. 7553, in www.giustizia-amministrativa.it.

L’annullamento in autotutela tardivo sarebbe allora nullo, e il privato leso dall’intervento dell’Amministrazione vanterebbe una posizione di diritto soggettivo, rendendo arduo anche il riparto di giurisdizione.

Tuttavia, l’idea che proprio un potere come quello di autotutela, da sempre considerato immanente all’azione amministrativa, possa consumarsi del tutto allo scadere di un termine perentorio ( e come visto non eccessivamente ampio), induce a preferire la tesi dell’annullabilità del provvedimento tardivo: l’art. 21 nonies, seppur con la limitazione che introduce, continua a valere come norma attributiva di un potere che viene male esercitato dalla p.a., non rispettandone il parametro temporale.

Si potrebbe parlare di un eccesso di potere in autotutela, ma in realtà il vizio che meglio spiega l’illegittimità dell’atto di annullamento fuori termine sembra essere la violazione di legge ex art. 21 octies, attesa la perentorietà del divieto normativo con cui impatta.

Tale soluzione risulta poi maggiormente coerente con l’esigenza di limitare la facoltà di impugnazione del privato dell’atto di autotutela, imponendo il rispetto del termine di sessanta giorni di cui all’art. 29 c.p.a., anziché esporre il provvedimento di secondo grado alla maggiore incertezza connessa al regime della nullità.

L’approdo alla tesi dell’annullabilità evita inoltre possibili dubbi in punto di giurisdizione, riunendo in capo al giudice amministrativo la competenza a conoscere di entrambi i provvedimenti, sia quello originario, che il successivo di autotutela.

Sul piano applicativo, infine, stante l’assenza nella l. n. 124/2015 di un regime transitorio, si pone la problematica dell’applicabilità della novella ai provvedimenti viziati adottati prima della sua entrata in vigore, e precisamente, decorso l’ordinario termine di vacatio legis, nonché resta da definire l’applicabilità del limite temporale in esame anche ai procedimenti di riesame già avviati a tale data.

Soccorre in proposito, il principio del tempus regit actum, secondo cui ogni atto resta soggetto al regime normativo vigente al tempo della sua emanazione, con la conseguenza che la sua legittimità va valutata con riferimento alle norme vigenti al tempo in cui è stato adottato; ciò comporta, secondo la giurisprudenza ormai prevalente125, che l’Amministrazione deve tener conto anche delle

modifiche normative intervenute durante l’iter procedimentale, essendo tenuta ad applicare la normativa sopravvenuta all’avvio del procedimento, ovvero vigente al momento dell’adozione del provvedimento fianele di secondo grado.

Sotto il profilo concreto, tale impostazione determinerebbe l’impossibilità di rimuovere provvedimenti, taciti o espressi, adottati da più di diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della

riforma del 2015, salvo l’emersione di dichiarazioni mendaci o di false rappresentazioni dello stato di fatto.

Tuttavia, una rigida definizione del regime intertemporale rischia di incidere anche su procedimenti di riesame avviati prima dell’introduzione del termine dei diciotto mesi ed attualmente in fase di conclusione, lasciando perdurare l’efficacia di atti di cui sia stata già disvelata l’illegittimità, così favorendo di fatto il privato che abbia assunto, in corso di istruttoria, un comportamento “ostruzionistico”126.

In tali ipotesi all’interprete si impone una complessiva ponderazione degli interessi, al fine di considerare, oltre il profilo viziante, anche l’interesse pubblico leso ed il comportamento assunto dal privato in sede procedimentale.

Ne consegue, secondo parte della dottrina, che se il riesame ha imposto una complessa attività istruttoria e sussiste l’esigenza di preservare un concreto interesse pubblico, il procedimento di secondo grado deve necessariamente concludersi, anche qualora l’adozione dell’atto di annullamento dovesse intervenire oltre i diciotto mesi; diversamente, qualora dall’esame dell’assetto concreto dovesse emergere la sussistenza di un affidamento legittimo, affiancato da un corretto comportamento in sede procedimentale del privato, il termine in parola impedirebbe l’adozione del provvedimento finale di annullamento.

CAPITOLO II

L’AUTOTUTELA INTERNA ED ESTERNA AL CONTRATTO: I CONTROVERSI

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