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Le perplessità dell’orientamento contrario: l’autotutela pubblicistica si inchina innanz

L’AUTOTUTELA INTERNA ED ESTERNA AL CONTRATTO: I CONTROVERSI RAPPORTI TRA REVOCA E RECESSO DELLA P.A.

8. La dicotomia tra revoca e recesso negli appalti pubblici.

8.2. Le perplessità dell’orientamento contrario: l’autotutela pubblicistica si inchina innanz

al contratto.

La giurisprudenza ordinaria si è da sempre posta in senso sfavorevole all’ammissione di un potere di revoca capace di incidere sul contratto già stipulato, ribadendo la netta separazione tra le due fasi in cui si dipana l’attività negoziale della p.a.

Il contratto rappresenta il punto di non ritorno dell’ agere pubblicistico dell’Amministrazione, e, una volta concluso segna irretrattabilmente l’ingresso in una fase dominata dalle regole privatistiche, in cui non può trovare spazio l’autotutela autoritativa.

La questione è stata affrontata più volte dalle Sezioni Unite che, in tema di giurisdizione, hanno costantemente ribadito l’assunto secondo cui “tutte le vicende successive alla stipulazione del contratto si sostanziano in questioni di validità o efficacia del medesimo, ancorché scaturenti dall’esercizio di poteri pubblicistici di autotutela”272.

L’orientamento della Corte è alquanto netto: l’attività contrattuale della p.a. è spaccata in due tronconi distinti ed afferenti ad ambiti diversi, il cui anello di congiunzione è rappresentato dal contratto; tutto ciò che accade successivamente alla stipulazione dello stesso appartiene alla dimensione esecutiva, in cui si stagliano diritti soggettivi affidati alla naturale cognizione del giudice ordinario.

Pertanto, anche le forme di scioglimento del rapporto non possono che essere quelle tipicamente privatistiche, o, al più possono riscontrarsi disposizioni speciali, che riservano poteri ulteriori all’Amministrazione, ma che devono interpretarsi restrittivamente e nell’ottica dei principi civilistici.

Ne consegue che una volta che il contratto sia concluso, l’eventuale ripensamento dell’Amministrazione per sopravvenuti motivi di opportunità va ricondotto al potere contrattuale di recesso, previsto in caso di appalto di lavori pubblici dall’art. 109 d.lgs. n. 50/2016 (prima disciplinato dall’ 134 d.lgs. n. 163/2006, che a sua volta ha sostituito l’art. 345 l. n. 2248/1865, All. F.).

272 cfr. ex pluris, Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2011 n. 391, cit., e Cass. Sez. Un., 9 luglio 2008, n. 18758, in Riv. Corte dei Conti, 2008, 4, p. 201.

Ciò in quanto la valutazione di opportunità compiuta dalla p.a., pur avendo ad oggetto interessi pubblici, si riverbera naturalmente sul contratto, e pertanto deve essere manifestata attraverso il potere contrattuale del committente di recedere dal contratto273.

Dopo la stipulazione, appare evidente ai giudici ordinari come la parte pubblica e quella privata si trovino in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi ed obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto.

Ne deriva che nonostante l’Amministrazione adotti un atto che formalmente integra una revoca in autotutela dell’aggiudicazione, esso finisce con l’incidere necessariamente sul sinallagma funzionale, determinando una lesione della posizione giuridica del privato che assume la consistenza del diritto soggettivo.

L’orientamento consolidato della giurisprudenza ordinaria, ha fatto breccia anche presso i giudici amministrativi, al punto da indurre il Consiglio di Stato nel dicembre 2013 a rimettere la questione all’Adunanza Plenaria274.

Alla base delle perplessità espresse dai giudici del Consiglio di Stato, vi è la presa di coscienza della confusione determinata dall’intreccio degli artt. 21 quinquies e 21 sexies l. n. 241/90, e dell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006, i cui piani applicativi sono destinati inevitabilmente a sovrapporsi.

In origine, la struttura del potere di revoca, come potere di modificazione unilaterale di un rapporto fondato su un precedente provvedimento amministrativo, escludeva possibili contrasti interpretativi: la revoca, infatti, non poteva che avere ad oggetto un atto ad efficacia durevole, che veniva rimosso con effetto ex nunc dal panorama dell’azione amministrativa. Ciò impediva automaticamente di concepire una revoca dell’aggiudicazione, come atto ad effetti istantanei, che esauriva la sua portata dopo la stipulazione del contratto, destinato ad assorbirlo.

Ma, con le modifiche all’art. 21 quinquies lo scenario si è certamente complicato: il riferimento espresso del comma 1 bis alla revoca di atti “ad effetti istantanei, incidenti su rapporti negoziali”, sembra forgiato proprio per ammettere la revoca dell’aggiudicazione definitiva.

Né può sottovalutarsi quanto stabilito dall’art. 1 comma 134 l. n. 311/2004, che seppur in tema di annullamento d’ufficio, dimostra la compatibilità tra autotutela pubblicistica e contratto.

Tali norme si sovrappongono a quanto statuito dall’art. 21 sexies l. n. 241/90, che in presenza di un contratto, consente alla p.a. il recesso nei soli casi previsti dalla legge o dal titolo negoziale stesso. È evidente, agli occhi dei giudici amministrativi, che la risoluzione dell’intricata questione non possa avvenire tramite un’interpretazione letterale, dal momento che non v’è dubbio che i piani applicativi delle disposizioni coincidano, almeno in apparenza.

273 cfr. Cass. Sez. Un. 26 giugno 2003 n. 10160, in Foro it., 2004, 7-8, pp. 2205 e ss. 274 cfr. Cons. St. 5 dicembre 2013 n. 5786 in www.giustizia-amministrativa.it.

La risposta deve essere allora ricercata nell’interpretazione sistematica delle norme che disciplinano il potere della p.a. di sciogliersi unilateralmente dal contratto, e degli istituti generali che orbitano attorno ad esse.

La presenza di disposizioni che prevedono ipotesi specifiche, quale l’art. 134 d.lgs. n. 163/2006, militano in senso sfavorevole al riconoscimento di un potere generale di revoca dell’aggiudicazione oltre la stipulazione del contratto: permettere alla p.a. di liberarsi dal vincolo negoziale mediante l’esercizio dei propri poteri di autotutela, significa privare di senso la figura del recesso, poiché la stazione appaltante sarà sempre indotta ad utilizzare lo strumento della revoca.

Anzi, sarebbe una scelta quasi doverosa alla luce dell’ interesse al contenimento della spesa pubblica: l’indennizzo ex art. 21 quinquies, limitato al solo danno emergente, si rivela infatti una contropartita molto più conveniente di quella di cui all’art. 134 d.lgs. n. 163/2006, ove il ristoro copre anche il lucro cessante (sebbene nella misura forfettaria del dieci per cento dei lavori non ancora eseguiti).

A sostegno dell’inammissibilità di un potere di revoca negli appalti pubblici, si adduce inoltre il raffronto con le stesse disposizioni del Codice dei contratti pubblici, ed in particolare con quanto previsto dall’art. 158 d.lgs. n. 163/2006: tale norma, nel disciplinare la risoluzione per inadempimento del concessionario, menziona e distingue espressamente la revoca per motivi di pubblico interesse, a conferma di come tale potere non possa identificarsi con le altre forme di risoluzione unilaterale del rapporto.

Un’analoga alternativa non si riscontra nell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006, che negli appalti di lavori fa salvo solo il potere di recesso, come forma esclusiva di ripensamento unilaterale del rapporto da parte della p.a., pertanto in base al criterio logico e constatativo dell’ubi lex volui dixit, si deve dedurre che il legislatore non abbia voluto preservare il potere di revoca solo nell’ambito delle concessioni.

Del resto, come si vedrà più approfonditamente in seguito, la previsione della revoca in autotutela in relazione alle concessioni si spiega per la peculiare natura di tali fattispecie negoziali: le concessioni rientrano nella categoria dei contratti ad oggetto pubblico, in cui l’accordo convenzionale accede al provvedimento concessorio, in funzione di regolazione degli aspetti economici discendenti da quest’ultimo, che resta l’unica fonte del rapporto.

Tra provvedimento e contratto si instaura un legame di interdipendenza necessaria, talché la revoca del primo determina la risoluzione del secondo.

Nelle concessioni di beni e servizi pubblici, il ricorso a moduli consensuali è sempre sostitutivo di potestà pubblicistiche, e quindi l’amministrazione concedente fa comunque valere le proprie

prerogative di persona giuridica pubblica, anche laddove faccia ricorso a strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo275.

Ciò sarebbe ulteriormente confermato dal raffronto con l’art. 11 comma 4 l. n. 241/90 che, come visto, sotto la denominazione di recesso prevede una forma di revoca coerente con la natura pubblicistica degli accordi contemplati dalla norma.

Per i contratti di diritto privato la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 21 sexies che sancisce la tipicità delle ipotesi di recesso e che trova nell’art. 134 d.lgs. n. 163/2006 un’ipotesi applicativa.

L’ordinanza di rimessione valorizza altresì la scissione tra aggiudicazione e conclusione del contratto sottesa all’art. 11 comma 7 del d.lgs. n. 163/2006 (presente anche nell’attuale Codice Appalti): l’accento che il legislatore ha voluto ribadire che l’aggiudicazione definitiva non equivale all’accettazione dell’offerta dimostrerebbe l’autonomia della fase dell’evidenza pubblica; una volta selezionato ed individuato il contraente, l’Amministrazione non potrebbe più rimettere in discussione la scelta effettuata, se non prima di aver stipulato il contratto, posto che da quel momento gli atti dell’evidenza pubblica perdono la loro autonoma rilevanza nell’ambito di pariteticità che governa il rapporto.

L’art. 1 comma 1 bis l. n. 241/90, nell’affermare che la p.a. nella contrattazione con i privati agisce secondo le regola proprie del diritto civile, si mostra direttamente connesso all’art. 21 sexies l. n. 241/90, norma parimenti dettata per un’Amministrazione-contraente, più che per un’Amministrazione-autorità, come invece appaiono gli artt. 21 quinquies e 21 nonies della l. n. 241/90.

Ne discende l’inapplicabilità delle forme di autotutela pubblicistica ai contratti di diritto privato, ancorché speciali.

Tale conclusione sembra avvalorata anche dall’esame degli artt. 121 e 122 del c.p.a., che delineano una figura di invalidità ( o meglio di inefficacia) a “geometrie variabili”, affidando al giudice amministrativo il compito di stabilire la caducazione o meno del contratto in presenza dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione276.

Ammettere il potere di revoca sul contratto, significherebbe prospettare la possibilità che l’Amministrazione, attraverso l’esercizio dei propri poteri di autotutela decisoria, possa ottenere un

275 cfr. Cass., Sez. Un., ord. 2 aprile 2007 n. 8094, in Giurisd. amm., 2007, III, p. 337, relativa ad una controversia in cui si dibatteva dell’esercizio da parte dell’ente locale di poteri pubblicistici, in ordine alla gestione di una stazione sciistica su un suolo demaniale, da parte di una società fallita; ebbene la Corte di Cassazione ha escluso la giurisdizione del giudice ordinario fallimentare proprio sulla base della fungibilità dei moduli convenzionali utilizzati rispetto a i poteri autoritativi dell’ente pubblico.

276 Sull’argomento, si vedano R. DE NICTOLIS, Il recepimento della direttiva ricorsi nel codice appalti e nel nuovo codice del processo amministrativo, 2010, in www.giustizia-amministrativa.it; M. A. SANDULLI, Il nuovo processo amministrativo. Studi e contributi, vol. II, Milano, 2013, pp. 368 e ss.; M. SANINO, Codice del processo amministrativo, Torino 2011, pp. 542 e ss.; S. RUSCICA, Inefficacia del contratto di appalto pubblico, Milano 2011, pp. 54 e ss.; R. CHIEPPA, Il processo amministrativo dopo il correttivo al codice, Milano 2012, pp. 659 e ss.

risultato in ipotesi superiore a quello ottenibile dallo stesso contraente privato in sede giurisdizionale, per giunta in assenza del riscontro di un vizio di legittimità277.

La tesi restrittiva appare, inoltre, ai giudici della quinta sezione del Consiglio di Stato, maggiormente condivisibile per talune considerazioni di carattere teleologico: il riconoscimento di una facoltà generale di revoca per la p.a. frustrerebbe troppo gli interessi del privato, che matura un affidamento ben più spesso in presenza di un contratto stipulato.

Se in presenza della revoca di un provvedimento favorevole l’interesse del destinatario si mostra cedevole rispetto agli interessi pubblici, l’esistenza di un vincolo contrattuale, accettato anche da ambo le parti, fa sorgere un’aspettativa circa l’esecuzione dell’operazione economica che merita una tutela più forte.

Il diverso spessore dell’affidamento del privato di fronte alla stipulazione di un contratto emerge nitidamente dal diverso trattamento economico, dal momento che la p.a. che voglia interrompere il rapporto è tenuta a versare alla controparte l’importo di cui all’art. 134 d.lgs. n. 163/2006, e non il mero indennizzo di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241/90.

Gli operatori economici devono poter contare su una relativa stabilità del contratto e dei suoi effetti nei confronti della p.a., pena la vanificazione della stessa apertura dell’attività amministrativa alle logiche negoziali: il riconoscimento di un’autonomia negoziale in capo all’Amministrazione, risponde anche all’intento di incentivare i privati ad instaurare relazioni commerciali con essa, e tale finalità sarebbe pregiudicata dalla sottrazione del contratto alle sue garanzie tipiche; le imprese intrattengono rapporti con la p.a. e programmano la propria attività anche confidando sulla stabilità dello strumento giuridico che le regola, posto che il contratto a differenza del provvedimento è soggetto alla regola della tendenziale irretrattabilità di cui all’art. 1372 c.c.

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