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Il peculiare regime delle concessioni amministrative al confine tra contratto e

L’AUTOTUTELA INTERNA ED ESTERNA AL CONTRATTO: I CONTROVERSI RAPPORTI TRA REVOCA E RECESSO DELLA P.A.

11. Il peculiare regime delle concessioni amministrative al confine tra contratto e

provvedimento.

I principi analizzati in materia di appalti pubblici, estendibili con le dovute cautele all’intero ambito dei contratti di diritto speciale, non possono essere facilmente trasposti nel settore delle concessioni amministrative.

Tale istituto, da sempre, ha conosciuto una tormentata interpretazione, oscillando tra il diritto pubblico e quello privato; i dubbi sulla natura giuridica si ripercuotono sull’individuazione della disciplina applicabile, che necessita spesso di compromessi ermeneutici, calibrati sulla peculiarità della fattispecie.

Le concessioni sono oggetto di un’alternativa ricostruzione, rispettivamente volta ad esaltarne l’accezione contrattualistica o quella provvedimentale, e storicamente284, rappresentano il primo

istituto in cui si è registrato una così forte interferenza tra diritto amministrativo e diritto privato. Le perplessità sulla natura giuridica risultano tutt’altro che superate, e dall’angolo visuale da cui si sceglie di leggere il fenomeno successorio dipende la spiegazione di una serie di disposizioni peculiari.

A livello definitorio è indiscusso che le fattispecie concessorie presuppongono l’attribuzione al privato cittadino di diritti o facoltà nuove, che originariamente esulano dalla sua titolarità285; il

carattere comune di tali provvedimenti è “l’effetto, che è loro proprio, di conferire a una o più persone estranee all’amministrazione nuove capacità o nuovi poteri, dai quali resta ampliata la loro sfera giuridica”286.

Esaurito il dato comune, lo scenario dottrinale e giurisprudenziale registra due macro-orientamenti volti ad attribuire all’ atto di concessione natura contrattuale o autoritativa.

All’intero del filone contrattualistico, alcuni sostengono che il rapporto nasca da un “contratto di diritto pubblico”287, avente ad oggetto materie di interesse generale, e frutto dell’incontro della

volontà del privato e della P.A., i quali agiscono su base paritetica.

Una diversa impostazione attribuisce al contratto di concessione natura strettamente privatistica288,

sottolineando il carattere accessorio del provvedimento contenente la manifestazione di volontà dell’Amministrazione. Quest’ultimo, infatti, rileva unicamente in funzione selettiva del contraente privato, o come schema di preventiva determinazione delle successive clausole negoziali.

L’opposto orientamento anti-contrattualistico ricollega l’effetto traslativo o costitutivo del diritto o della potestà esclusivamente al provvedimento abilitativo emanato dall’Amministrazione, in quanto unica vera forma di manifestazione del potere concessorio.

284 Agli albori dell’istituto, non vi fu un provvedimento unilaterale di concessione, ma esso veniva adottato solo successivamente rispetto alla stipulazione del contratto che approvava, incidentalmente, conferendogli efficacia. La consuetudine, nata alla fine dell’800, continuò a essere seguita anche nei primi anni del ’900, dopo la nascita della teoria delle persone giuridiche pubbliche. Pertanto, anche quando si iniziò a stabilire un nesso tra disposizione delle cose e attività pubbliche e adozione di atti amministrativi unilaterali, le pubbliche amministrazioni e, in particolare, i Comuni continuarono ad utilizzare la prassi ormai consolidata, ritenendosi sufficiente approvare con un provvedimento ciò che era già contrattato (sul tema di veda M. D’ALBERTI, Concessioni amministrative, in Enc. giur. Treccani, 1988, VII, pp. 2 e ss.). Per un illustre contributo, si veda O. RANELLETTI, Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Parte I: Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Giur. it., LVI, 1894, IV, p. 25.

285 Si ricorda che la dottrina tradizionale suole distinguere tra le c.d. “concessioni traslative” che prevedono il trasferimento di una potestà inizialmente attribuita alla P.A., e “concessioni costitutive” che determinano la creazione ex novo di una situazione giuridica in capo al soggetto concessionario ( sul punto si veda R. GAROFOLI – G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma 2014, p. 1020).

286 La definizione è di G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, Milano 1958, p. 261.

287 R. CHIEPPA – V. LOPILATO, Studi di diritto amministrativo, Milano 2007, p. 712; E. SILVESTRI, voce Concessione amministrativa, in Enc. Dir., VIII, Milano, 1961. La paternità della teoria del contratto di diritto pubblico sembra ad ogni modo da attribuire a U. FORTI, Natura giuridica delle concessioni amministrative, in Giur. it., 1900, IV, pp. 369 ss.

La componente volontaristica del privato si ridurrebbe così ad un mero presupposto, se precedente all’adozione dell’atto amministrativo, o ad una condizione di efficacia, se successiva alla costituzione del rapporto di concessione.

A sostegno di tale dottrina, i più estremisti hanno dedotto l’esistenza di fattispecie c.d. “provvedimentali pure”, in cui manca del tutto un negozio accessorio che disciplini convenzionalmente i profili esecutivi del rapporto.

L’opinione giurisprudenziale prevalente segue un’impostazione mediana, coniando la categoria della c.d. “concessione-contratto”289.

La fattispecie concessoria sarebbe, quindi, la risultante della combinazione di due distinti momenti: un primo di natura autoritativa che si concretizza nell’adozione del provvedimento di individuazione del concessionario e nel conseguente affidamento del bene o del servizio, ed un secondo “paritetico-negoziale” che si conclude con la stipulazione del contratto di concessione, contenente la disciplina dei profili patrimoniali del rapporto.

Dal punto di vista sistematico occorre rilevare come l’attuale evoluzione ordinamentale milita sempre più verso la conversione delle concessioni nel modello contrattuale.

Si è, infatti, evidenziato come l’introduzione del comma 1 bis all’interno dell’art. 1 della l. n. 241/90 sia stata dettata principalmente dall’intento di favorire il ricorso a strumenti negoziali nel settore dei provvedimenti concessori.

Ulteriormente dall’analisi del tessuto normativo del precedente Codice dei contratti pubblici emerge con chiarezza come le concessioni di beni e servizi presentino caratteristiche molto simili alle corrispettive figure contrattuali degli appalti.

La definizione delle concessioni veniva infatti ricavata de relato, dal momento che l’art. 3 commi 11 e 12 del d.lgs. n. 163/2006, stabiliva che tale istituto presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico, ad eccezione del fatto che il corrispettivo consiste unicamente nel diritto di gestione, o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

Ciò nonostante, è innegabile che la concessione si caratterizza per la costituzione di un rapporto sostanzialmente trilaterale che coinvolge amministrazione, concessionario ed utenti. È vero che le parti della convenzione sono solo l’Amministrazione e il concessionario, ma gli effetti della concessione stessa si riverberano direttamente nei confronti dell’utenza, “perché vi è una traslazione di poteri pubblici che passano dall’amministrazione concedente al concessionario; il quale, dunque, rende la prestazione oggetto della convenzione non direttamente

289 Tale impostazione è a dir il vero risalente, essendo già espressa dalla Cassazione nella sentenza del 12 gennaio 1910, in Riv. dir. Comm., 1910, p. 248, in cui si afferma che la concessione va considerata in due momenti giuridici: un “atto di sovranità”, e la stipulazione di un contratto, per la regolazione dei profili patrimoniali.

all’Amministrazione, bensì ai cittadini ed è legittimato, per questo, ad ottenere la remunerazione del servizio prestato, direttamente da essi, mediante il pagamento delle tariffe o canoni”290.

Il rapporto concessorio risulta fortemente intriso di componenti pubblicistiche, che emergono anche dalla relazione con i terzi, e ciò determina l’attrazione della relativa disciplina nell’ambito del diritto amministrativo più che contrattuale.

Tuttavia, per non svalutare l’importanza della componente pattizia si è tentato di ricondurre le concessioni allo schema di cui all’art. 11 l. n. 241/1990, evidenziandone la natura di “accordi procedimentali accessivi” al provvedimento finale, il cui contenuto viene preventivamente concordato tra l’Amministrazione e il cittadino291.

Si tratterebbe di pattuizioni che determinano l’oggetto discrezionale del provvedimento conclusivo, e ne specificano il contenuto in relazione agli aspetti economici ed accessori.

Parteciperebbero allora della stessa natura pubblicistica dell’atto cui accedono, in virtù dell’osmosi che si realizza tra contratto e provvedimento, al punto che il primo si spiega solo in relazione al secondo292.

Nella tripartizione dei contratti pubblici, in precedenza analizzata, le concessioni si inseriscono allora nell’ambito dei contratti di diritto pubblico, e segnatamente tra i “contratti accessivi al provvedimento”, come moduli convenzionali che si affiancano a provvedimenti che sono già fonte di effetti per la p.a. ed il privato293.

Tale impostazione è stata recepita anche dall’Adunanza Plenaria del 20 giugno 2014 n. 14, che giustifica la permanenza dei poteri di autotutela amministrativa in relazione alle “concessioni- contratto”, attesa la loro natura eminentemente pubblicistica.

Si ammette la revoca ex art. 21 quinquies l. n. 241/90 per quegli atti amministrativi che incidono su rapporti negoziali originati da una concessione-contratto, sia per l’assenza di una norma quale l’art. 134 d.lgs. n. 163/2006 disciplinante la facoltà di recesso, sia soprattutto per la natura giuridica, assimilabile ad una regolazione di tipo provvedimentale.

La soluzione non sarebbe diversa se si accogliesse pienamente la teoria della riconducibilità delle concessioni allo schema di cui all’art. 11 l. n. 241/90, dal momento che la facoltà di recesso di cui al comma 4, come visto, rappresenta una speciale forma di revoca pubblicistica del provvedimento294.

290 Così, Cons. St. 1 agosto 2007 n. 4270, in www.giustizia-amministrativa.it.

291 In dottrina, si veda S. D’ANCONA, La revoca e il recesso nelle concessioni amministrative, in M. CARFAGNO - A. BOTTO - G. FIDONE- G. BOTTINO, Negoziazioni pubbliche. Scritti su concessioni e partenariati pubblico-privati, Milano 2013.

292 M. SANTISE, op. ult. cit., p. 272.

293 M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, Milano 1993, pp. 356 e ss.

294 Per un’opinione contraria, secondo cui il recesso di cui all’art. 11 comma 4 l. n. 241/90 non sarebbe assimilabile alla revoca ex art. 21 quinquies, si veda M. CERUTI, Le concessioni tra contratto, accordo e provvedimento amministrativo, in Urb. e Appalti, 2016, 6, p. 640.

Il rapporto concessorio, a differenza di quello tra appaltatore e stazione appaltante, nasce in un’ambientazione autoritativa, ed è coerente che il riesame dello stesso si manifesti attraverso l’esercizio di poteri altrettanto autoritativi.

Ne consegue che la p.a. a fronte della stipulazione di una convenzione concessoria non perde la possibilità di esercitare le proprie facoltà di autotutela, nella duplice forma della revoca e dell’annullamento d’ufficio, ove sopravvengano ragioni di opportunità o si rivelino motivi di illegittimità.

L’affermazione della Plenaria, che accomuna sotto il medesimo ambito le convenzioni accessive alle concessioni amministrative e le concessioni di servizi e lavori pubblici, appare troppo netta, e frutto di una generalizzazione del fenomeno concessorio che non corrisponde alla realtà empirica e normativa, soprattutto a seguito delle influenze sovranazionali.

Non può negarsi che il diritto eurounitario spinga verso la visione contrattuale delle concessioni di servizi e lavori pubblici: l’art. 5, par. 1, lett. a) e b) della Dir. 2014/23/UE, definisce espressamente l’istituto come “un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori/forniture e la gestione di servizi ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori/servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo”.

Tale definizione è stata pedissequamente recepita dall’art. 3, lett. uu) e vv) del d.lgs. n. 50/2016, giungendosi per la prima volta ad una nozione di concessione autonoma e distinta da quella di appalto pubblico, che ne valorizza tuttavia l’essenza contrattuale, come tipologia caratterizzata dall’assunzione del rischio gestorio da parte del concessionario.

Ciò sollecita gli interpreti a prendere atto dell’esistenza di una dicotomia tra “concessioni-atto”, di natura prettamente provvedimentale, e “concessioni-contratto”, di natura contrattuale ed oggetto della disciplina specifica del Codice Appalti.

Ecco allora che la soluzione dell’Adunanza Plenaria comincia a mostrare delle crepe, non potendosi condividere la collocazione delle fattispecie di concessione di lavori e servizi nell’ambito dell’autoritatività dell’azione amministrativa.

La frattura diviene ancora più profonda se si considera l’estensione del recesso ex art. 109 d.lgs. n. 50/2016 anche alle concessioni, in forza del rinvio effettuato dall’art. 164 comma 2 del nuovo Codice.

L’applicabilità di tale norma induce a dubitare fortemente della permanenza di un potere generale di revoca da parte della p.a. a fronte della stipulazione di una convenzione di concessione, determinandosi altrimenti una disparità di trattamento rispetto alla fattispecie degli appalti, priva di un reale fondamento.

Se infatti, la Plenaria era giunta ad escludere la facoltà di revoca ex art. 21 quinquies l. n. 241/90, proprio per l’esistenza di una disposizione quale il vecchio art. 134 d.lgs. n. 163/2006 che poneva un concorso apparente di norme risolto in favore di quella speciale, ad analoga soluzione dovrebbe oggi pervenirsi alla luce dell’art. 109 d.lgs. n. 50/2016, applicabile indistintamente alle figure contrattuali degli appalti e delle concessioni.

Senonchè, la validità di tale affermazione si scontra con il dato normativo: l’art. 176 del nuovo Codice, riproducendo l’art. 158 del d.lgs. n. 163/2006, accanto alla risoluzione del rapporto per inadempimento del concessionario prevede la possibilità di una revoca per motivi di pubblico interesse.

La stessa rubrica della disposizione, “Cessazione, revoca d’ufficio, risoluzione per inadempimento, e subentro” dimostra la coesistenza di poteri eterogenei in capo all’Amministrazione: da un lato si pongono i rimedi negoziali avverso l’inadempimento di stampo puramente privatistico come confermato dal richiamo all’art. 1453 c.c.; dall’altro, vi sono facoltà di riesame tipicamente pubblicistiche, quali la revoca della concessione per sopravvenuti motivi di opportunità, o il suo annullamento d’ufficio per profili di illegittimità.

E proprio l’inserimento dell’autotutela amministrativa in una disposizione che regola patologie civilistiche del rapporto, rivela tutta “l’incertezza del diritto delle concessioni”295.

Affiancare la revoca per motivi di interesse pubblico alla risoluzione per inadempimento, significa di fatto equiparare uno strumento pubblicistico di autotutela ad un rimedio contrattuale civilistico. Emerge una natura quanto mai anfibia della concessione: nel primo caso essa sarebbe un provvedimento amministrativo, mentre nel secondo si vestirebbe da contratto.

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