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La risposta dell’Adunanza Plenaria 20 giugno 2014 n 14: un’ordinata sistemazione ma

L’AUTOTUTELA INTERNA ED ESTERNA AL CONTRATTO: I CONTROVERSI RAPPORTI TRA REVOCA E RECESSO DELLA P.A.

9. La risposta dell’Adunanza Plenaria 20 giugno 2014 n 14: un’ordinata sistemazione ma

non una soluzione sistemica.

Le perplessità espresse dall’ordinanza di rimessione sono riuscite solo in parte a persuadere l’Adunanza Plenaria che con sentenza del 20 giugno 2014 n. 14, fornisce una risposta chiara ma di strette vedute.

La Plenaria non prende una posizione sul problema più ampio del rapporto tra autotutela pubblicistica e contratto ma si limita ad affrontare la dicotomia tra revoca e recesso solo in relazione alla tipologia negoziale dell’appalto di lavori pubblici, rimanendo aderente al caso concreto che aveva generato la rimessione.

Si afferma infatti che “intervenuta la stipulazione del contratto per l’affidamento dell’appalto di lavori pubblici, l’amministrazione non può esercitare il potere di revoca dovendo operare con l’esercizio del diritto di recesso”278.

Ad ogni modo, i giudici dialogano con tutte le argomentazioni espresse dall’ordinanza di rimessione, consentendo di comprendere quali siano gli attuali umori attorno all’istituto dell’autotutela amministrativa, calata nella dinamica contrattuale.

Il punto di partenza del ragionamento seguito dall’Adunanza Plenaria è la netta distinzione tra la fase della scelta del contraente, conclusa con l’aggiudicazione definitiva e quella successiva, della stipulazione e conseguente esecuzione del contratto, pur costituendone la prima il “necessario presupposto funzionale”.

La distinzione trova piena giustificazione nelle disposizioni del d.lgs. n. 163/2006, considerato che l’ art. 11 comma 7, stabilisce che l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta e al successivo comma 9 che, pur divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, prima della stipulazione resta comunque salvo “l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti”.

Si precisa altresì che il vincolo sinallagmatico nasce perciò soltanto con il separato e distinto atto della stipulazione del contratto, talché prima di quel momento l’unico effetto è rappresentato dall’irrevocabilità dell’offerta dell’aggiudicatario.

Nulla di nuovo, rispetto a quanto già affermato dalla giurisprudenza prevalente, se non la premura con cui la Plenaria tiene a ribadire la separazione tra la fase di selezione del contraente, che ha carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri amministrativi attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente nella tutela della concorrenza, e quella contrattuale tout court che ha inizio con la stipulazione del contratto e prosegue con l’attuazione del rapporto negoziale, di cui si afferma il carattere privatistico, e la conseguente soggezione alle norme civilistiche.

Il passo ulteriore compiuto dalla Plenaria riguarda però la definizione del rapporto tra la p.a. ed il privato anche nella fase privatistica, rilevandosi come l’Amministrazione si pone quindi con la controparte in posizione di parità “che però è solo “tendenziale”, con ciò sintetizzando l’effetto delle disposizioni per cui, pur nel contesto di un rapporto paritetico, sono apprestate per l’amministrazione norme speciali, derogatorie del diritto comune, definite di autotutela privatistica”279.

Si rimarca, in altri termini, la considerazione secondo cui il processo di contrattualizzazione del diritto amministrativo non può dirsi completo: l’attività dell’Amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici, è sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico, con la

278 cfr. Ad. Plen. 20 giugno 2014 n. 14, cit. 279 cfr. Ad. Plen. 29 gennaio 2014 n. 6, cit.

conseguente previsione, su tale presupposto, di regole specifiche e distinte da quelle che governano i rapporti autenticamente privatistici.

La dimostrazione di tale assunto viene fondata sulle norme allora vigenti nel codice dei contratti pubblici: l’art. 134, già analizzato, che consente alla p.a. di recedere in qualunque tempo dal contratto di appalto di lavori pubblici; l’art. 136 che riconosce alla stazione appaltante il potere di disporre la risoluzione del contratto in caso di grave inadempimento dell’appaltatore; l’art. 158, in relazione alle concessioni di lavori pubblici, che fa salvo il potere del concedente di revocare la concessione per motivi di pubblico interesse; e, infine, gli artt. 158 e seguenti del regolamento di attuazione (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207), che disciplinano il potere di sospensione.

Il reticolo di norme citate tratteggia un quadro in cui emerge chiaramente tutta l’eccezionalità della disciplina del recesso, che presenta elementi di specialità non solo rispetto alle previsioni generali, di cui all’art. 1373 c.c. (e rationae materiae di cui all’art. 21 sexies l. n. 241/90), ma anche rispetto alla normativa dettata per la tipologia contrattuale dell’appalto, ex art. 1671 c.c.

Proprio la presenza di una norma speciale che disciplini così peculiarmente il potere di recesso ha costituito il presupposto fondamentale che ha condotto la Plenaria ad escludere la possibilità di esercizio del potere di revoca da parte della p.a. nella fase di esecuzione dell’appalto di lavori pubblici.

La premessa generale del sillogismo seguito dai giudici amministrativi, risiede nell’affermazione che “la posizione dell’Amministrazione nella fase del procedimento di affidamento di lavori pubblici aperta con la stipulazione del contratto è definita dall’insieme delle norme comuni, civilistiche, e di quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando l’Amministrazione, in forza di quest’ultime, in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo restando che le sue posizioni di specialità, essendo l’Amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono”280.

Tale asserzione rappresenta il riconoscimento di uno statuto a sé per l’attività negoziale della p.a., frutto della combinazione della disciplina civilistica e di quella speciale, in cui non trova spazio la normativa pubblicistica; l’asimmetria delle posizioni contrattuali può derivare allora solo da previsioni specifiche e puntuali, secondo una regola di tassatività, che nulla ha a che vedere con l’immanenza dei poteri amministrativi in capo alla p.a.

Ne consegue che deve ritenersi insussistente nella fase esecutiva del contratto il potere di revoca, poiché, “il presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze; il medesimo presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale

basato su sopravvenuti motivi di opportunità; la specialità della previsione del recesso di cui al citato art. 134 del codice preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca”.

La Plenaria costruisce allora la sua soluzione sulla base di un concorso apparente di norme, in cui fa prevalere la disposizione speciale del recesso prevista dall’art. 134 d.lgs. n. 163/2006 per gli appalti di lavori pubblici, non potendosi ritenere che sul medesimo rapporto negoziale la p.a. possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale).

Del resto, come già osservato dall’ordinanza di rimessione, quando il legislatore ha ritenuto di consentire la revoca per motivi di pubblico interesse a contratto stipulato, lo ha fatto espressamente, in riferimento, come visto, alla concessione in finanza di progetto per la realizzazione di lavori pubblici ex art. 158 d.lgs. n. 163/2006.

L’impostazione contraria finisce per privare di significato la norma sul recesso che risulterebbe inutiliter data, dal momento che l’Amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo una discrezionalità pura che non corrisponde all’intento del legislatore.

Né dalla limitazione del potere di scioglimento della p.a. al solo recesso può derivare una svalutazione dell’interesse pubblico: l’Amministrazione può sempre valorizzare, ai fini del recesso, circostanze che porterebbero alla revoca, con il corollario di una semplificazione procedimentale, non dovendo assicurare il contraddittorio né esternare compiutamente le motivazioni della scelta, essendo ciò bilanciato dal maggiore onere economico previsto dall’art. 134 d.lgs. n. 163/2006. Tuttavia, la nettezza delle affermazioni della Plenaria, non deve trarre in inganno, poiché la soluzione viene ancorata ad un criterio meramente formale, rappresentato dall’intersezione di norme che disciplinano la medesima materia, in cui si dà prevalenza alla disposizione speciale, sulla base dei principi di risoluzione delle antinomie normative.

Qualora manchi, una norma speciale come l’art. 134 d.lgs. n. 163/2006, lo scenario muta e non poco.

La Plenaria, abbandonando il settore degli appalti di lavori pubblici, ribadisce prontamente che “resta impregiudicata, nell’inerenza all’azione della p.a. dei poteri di autotutela previsti dalla legge, la possibilità: a) della revoca nella fase procedimentale della scelta del contraente fino alla stipulazione del contratto; b) dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva anche dopo la stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, nonché concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso “.

Allo stesso modo, “pure nel caso di contratto stipulato, sussiste la speciale previsione in ordine al recesso della stazione appaltante quando si verifichino i presupposti previsti dalla normativa antimafia che la giurisprudenza ha riferito alla nozione dell’autotutela autoritativa, poiché potere “del tutto alternativo a quello generale di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 345, all. F” (oggi art. 134 del codice dei contratti pubblici)”.

L’intricata questione interpretativa, viene allora risolta dai giudici amministrativi, limitando la propria soluzione al solo ambito degli appalti di lavori pubblici; tale self-restraint, consente di coordinare la previsione della revoca di cui al comma 1 bis dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/90, con il sistema dei contratti pubblici, poiché “dall’ambito di applicazione della norma risulta esclusa la possibilità di revoca incidente sul rapporto negoziale fondato sul contratto di appalto di lavori pubblici, in forza della speciale e assorbente previsione dell’art. 134 del codice, restando per converso e di conseguenza consentita la revoca di atti amministrativi incidenti sui rapporti negoziali originati dagli ulteriori e diversi contratti stipulati dall’Amministrazione, di appalto di servizi e forniture, relativi alle concessioni contratto (sia per le convenzioni accessive alle concessioni amministrative che per le concessioni di servizi e di lavori pubblici), nonché in riferimento ai contratti attivi”.

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