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Le modifiche della l n 164/2014: una nuova conformazione per il potere di revoca.

5. Il potere di revoca nella codificazione della l n 15/

5.5. Le modifiche della l n 164/2014: una nuova conformazione per il potere di revoca.

La l. n. 164/2014, di conversione del d.l. n. 133/2014 (cd. “Decreto Sblocca Italia”), ha rimodulato i presupposti per l’esercizio del potere amministrativo di revoca del provvedimento, inserendosi perfettamente nel trend normativo e giurisprudenziale volto a limitare sempre più il ricorso al

80 c.f.r. Tar Sicilia, Palermo, 9 luglio 2007 n. 1775, in www.neldiritto.it. 81 G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino 2015, p. 316.

potere di autotutela della p.a. (come emerge chiaramente anche dalla riforma della l. n. 124/2015 in tema di annullamento d’ufficio, che si analizzerà in seguito).

La riforma ha avuto un impatto dirompente nel dibattito sui limiti dell’autotutela amministrativa e più di tutto, attesta un radicale mutamento del modo di intendere il potere in esame, e indirettamente del rapporto di fondo tra Amministrazione ed amministrati.

Per comprendere il significato delle novità introdotte occorre collocare la l. n. 164/2014 in un disegno normativo più ampio, in cui entrano politiche di liberalizzazione e semplificazione dell’azione amministrativa.

Non è un caso che le riforme che hanno toccato l’autotutela si sono succedute di pari passo alle modifiche dell’art. 19 l. n. 241/90, ovvero della S.C.I.A., archetipo dichiarativo e istituto paradigmatico del nuovo rapporto tra p.a. e cittadini nell’ambito delle attività economiche82, e del

silenzio amministrativo, modello emblematico degli obiettivi di semplificazione.

In origine l’ampliamento dei poteri di autotutela della p.a. svolgeva una funzione di bilanciamento degli interventi di liberalizzazione e semplificazione, soprattutto come compensazione dell’abolizione dei controlli amministrativi ex ante; in altre parole, il passaggio ad un modello di amministrazione ex post, che abbandonava il proprio potere di legittimazione preventiva in favore di un controllo successivo sulle attività dei privati, trovava uno strumento di garanzia di conformità all’interesse pubblico nel riconoscimento della possibilità di intervento postumo in autotutela.

In quest’ottica si spiega l’originario richiamo dell’art. 19 l. n. 241/90 ai poteri ex artt. 21quinquies e 21 nonies, una volta scaduto il termine per l’esercizio dei poteri inibitori83, nonché l’analoga

previsione di cui al comma terzo dell’art. 20 della l. n. 241/90 che esplicitamente consente l’autotutela sul provvedimento formatosi a seguito di silenzio assenso.

Da un canto limitare le facoltà di intervento della p.a. al solo riesame in autotutela, una volta formatosi il silenzio assenso o scaduti i termini inibitori per la S.C.I.A.84, significava riservare

82 M.A. SANDULLI, Il regime dei titoli abilitativi edilizi tra semplificazione e contraddizioni, in Riv. giur. edil., 2013, 301 ss.; Id. Le novità in tema di silenzio, in Il libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014. F. LIGUORI, Le incertezze degli strumenti di semplificazione: lo strano caso della d.i.a./s.c.i.a., in www.giustamm.it; E. ZAMPETTI, D.i.a. e s.c.i.a. dopo l’Adunanza Plenaria n. 15/2011: la difficile composizione del modello sostanziale con il modello processuale, in Dir. amm., 2011, 811 ss. e, soprattutto, G.GRECO, La SCIA e la tutela dei terzi al vaglio dell’Adunanza plenaria: ma perché, dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non si può prendere in considerazione anche il silenzio diniego?, in Dir. proc. amm., 2011, 359 ss.; Id., Ancora sulla s.c.i.a.: silenzio e tutela del terzo, in Dir. proc. amm., 2014.

83 M.A. SANDULLI, Semplificazione, certezza del diritto e braccia legate, inwww.giustamm.it, 2005 e Riforma della l. 241/1990 e processo amministrativo: introduzione al tema, M. A. SANDULLI, a cura di, Riforma della l. 241/1990 e processo amministrativo, in Quaderni de Il Foro amministrativo TAR, 2, Milano, 2006.

84 Sono note le enormi perplessità che il richiamo dell’art. 19 l. n. 241/90 ai poteri di autotutela ha destato, atteso l’orientamento prevalente che afferma la natura privatistica della S.C.I.A., escludendo che si tratti di un provvedimento tacito di assenso (cfr. Ad. Plen. 29 luglio 2011 n. 15, in www.neldiritto.it).

Il legislatore, del resto, intervenendo prima con il d.l. 13 agosto 2011, n. 138 e poi con la l. 7 agosto 2015 n. 124, ha espressamente ritenuto la S.C.I.A. un istituto privatistico, intervenendo anche a chiarire la portata del richiamo ai poteri di autotutela; per approfondimenti si veda M. A. SANDULLI, Gli effetti diretti della l. 7 agosto 2015, n. 124 sulle attività economiche: le novità in tema di s.c.i.a., silenzio assenso e autotutela, in www.federalismi.it.

stabilità all’atto abilitativo, dall’altro si garantiva comunque all’Amministrazione una forma di controllo postumo a tutela dell’interesse pubblico.

Tuttavia, si innesca una forte tensione tra gli istituti di liberalizzazione e semplificazione, che accrescono l’autoresponsabilità del privato eliminando il filtro istituzionale del provvedimento espresso, e l’autotutela della p.a. che rischia di divenire uno strumento eccessivamente disinvolto di esercizio della funzione di controllo pubblico in chiave successiva.

In altri termini, si prospetta il pericolo per il privato di vedersi revocare ed annullare il provvedimento formatosi in via autoreferenziale, anche a distanza di un tempo notevole rispetto a quello che avrebbe dovuto attendere per ottenere l’atto di assenso preventivo in via espressa. Ecco allora che l’autotutela da meccanismo di compensazione inizia ad essere vista come una minaccia all’effettività delle politiche di semplificazione, legittimando un (ri)esame tardivo dell’istanza del privato che culmina nel ritiro di un atto su cui egli ha ormai confidato.

Le preoccupazioni si accrescono in relazione ai provvedimenti autorizzatori o concessori, dal momento che essi costituiscono la base legittima su cui i cittadini edificano il loro affidamento, intraprendendo l’attività assentita con impegno di risorse organizzative ed economiche, e pertanto rispetto a quest’utlimi si registra il più evidente cortocircuito con i poteri di autotutela.

Certo, le esigenze di stabilità dei rapporti giuridici e di certezza del diritto sono presenti anche nella dialettica tra riesame e provvedimenti sfavorevoli, tuttavia è innegabile che l’effetto positivo che il privato riceve dal ritiro dell’atto svantaggioso compensa ampiamente la lesione dell’affidamento. L’interesse dell’ordinamento al c.d. “giudicato sostanziale”85 si coglie invece per quei

provvedimenti attributivi di vantaggi su cui il beneficiario costruisce un’attività economica, investendo energie e capitali, il cui repentino ritiro cagiona certamente un danno evento (come lesione all’affidamento incolpevole) e conseguenza (per le spese sostenute nell’intraprendere l’attività assentita).

Proprio per questo le maggiori limitazioni al potere di revoca introdotte dalla l. n. 164/2014 riguardano gli atti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, analogamente a quanto si vedrà per l’annullamento d’ufficio a seguito della l. n. 124/2015.

Il collegamento tra le politiche di semplificazione e la limitazione dell’autotutela emerge anche dall’esame dei lavori parlamentari, in cui già nel Disegno di Legge presentato dal Governo all’Aula del Senato in data 23 luglio 2014 (D.D.L. Atto del Senato n. 1577), infatti, veniva annunciato un pacchetto di riforme della disciplina del procedimento amministrativo, predisposto all'esito delle consultazioni sulla riforma amministrativa svolte nel mese di maggio 2014 e animato dall’intento di

“semplificare l'organizzazione della pubblica amministrazione rendendo più agevoli e trasparenti le regole che ne disciplinano i rapporti con il privato cittadino, le imprese e i suoi dipendenti”. L’obiettivo perseguito nel Disegno di Legge A.S. n. 1577 del 2014, quindi, era già “essenzialmente quello di innovare la pubblica amministrazione attraverso la riorganizzazione dell'amministrazione dello Stato, la riforma della dirigenza, la definizione del perimetro pubblico, la conciliazione dei tempi di vita e lavoro e la semplificazione delle norme e delle procedure amministrative”.

Tali obiettivi si sono tradotti, per gli aspetti di interesse, nella sostanziale riscrittura del comma primo dell’art. 21 quinquies l. n. 241/90.

Con riguardo alla revocabilità per il mutamento della situazione di fatto, la riforma stabilisce che il ritiro dell’atto può avvenire solo se tale mutamento “non risultava prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento”.

Il legislatore spinge certamente verso una maggiore responsabilizzazione della p.a. al momento dell’adozione di un provvedimento ad efficacia durevole, essendo essa chiamata ad un’indagine esaustiva e ad ampio raggio circa la situazione di fatto entro cui si innesta il provvedimento da adottare.

La modifica normativa va dunque letta nel senso di precludere all’Amministrazione un riesame con effetto suppletivo di eventuali carenze dell’istruttoria condotta per l’emanazione del provvedimento originario, onerando la stessa oltre che di un’adeguata attività conoscitiva di una ponderata valutazione prognostica circa lo sviluppo delle condizioni fattuali alla base dell’atto revocando.

Naturalmente, sarà la motivazione del provvedimento a svelare l’analisi dei fatti compiuta dall’Amministrazione al momento dell’adozione dell’atto, secondo quanto già previsto dall’art. 3, comma 2, della l. n. 241/1990. Nel caso in cui la p.a. decida di revocare il provvedimento originariamente adottato, quindi, dovrà guardarsi proprio alla motivazione dell’originario provvedimento per verificare, il modo in cui l’Amministrazione ha studiato la situazione di fatto originariamente sussistente al momento dell’adozione dell’atto; se la p.a. ha davvero compiuto diligentemente una esaustiva analisi dei presupposti fattuali posti a fondamento dell’adozione del provvedimento amministrativo; da ultimo se la p.a. ha sin dall’inizio previsto, o meno, un mutamento della suddetta situazione di fatto.

La riscrittura dei presupposti della revoca pone tuttavia il problema di stabilire il riparto dell’onere probatorio in caso di impugnazione del provvedimento di revoca: inevitabilmente, infatti, si aprirà il quesito se debba essere il privato ricorrente a dover dimostrare che il mutamento della situazione di fatto era prevedibile sin dal momento dell’adozione dell’atto, oppure sarà se sia la p.a. a dover dimostrare in giudizio che il mutamento della situazione fattuale era originariamente imprevedibile.

Nel dubbio si ritiene che non possa l’attribuzione al privato dell’onere di una probatio diabolica, onerandolo di allegazioni e prove attinenti al sostrato fattuale dell’interesse pubblico, che solo la p.a. può conoscere, attenuandosi in concreto la regola civilistica di cui all’art. 2697 c.c.

Si evidenziano pertanto almeno quattro ragioni per ritenere che spetti alla p.a. l’onere di dimostrare in giudizio la non prevedibilità del mutamento della situazioni di fatto.

In primo luogo, il fatto che l’art. 64, comma 1, c.p.a., pone a carico delle parti l’onere di fornire gli elementi di prova “che siano nella loro disponibilità”, prevedendo coerentemente, al successivo comma 3, il potere del giudice amministrativo di disporre anche d’ufficio, l’acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere, che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione. Si tratta, come è generalmente riconosciuto, della consacrazione in norme di diritto positivo della acquisizione dottrinaria e giurisprudenziale che ha qualificato il modello processuale proprio del giudizio amministrativo come dispositivo con metodo acquisitivo86,

generato dall’esigenza di correggere l’istituzionale disuguaglianza tra le parti al di fuori del processo.

In questo contesto, dunque, come pure di recente ammesso, dall’Adunanza Plenaria con sentenza del 20 novembre 2014, n. 32, al ricorrente è imposto di fornire non la prova della fondatezza delle pretese dedotte, bensì semplici elementi indiziari in merito all’esistenza dei vizi denunciati, in base ai quali il giudice, ritenutane la attendibilità, eserciterà i poteri istruttori previsti dal c.p.a.

In secondo luogo, ma in maniera strettamente connessa a quanto prima rilevato, rileva il generale principio della c.d. “vicinanza della prova”, per effetto del quale sarà la p.a. che, avendo un più agevole ed immediato accesso ai fatti, dovrà dimostrare l’imprevedibilità del fatto sopravvenuto posto a fondamento del provvedimento di revoca concretamente emanato.

In terzo luogo, il fatto che in tutti i casi in cui il Legislatore ha posto la prevedibilità di un certo fatto quale fondamento e presupposto del conseguente diritto o potere esercitato, ha sempre preteso che l’onere della prova circa l’imprevedibilità sia fornita dal soggetto che di tale imprevedibilità intende giovarsi nel giudizio. Il riferimento va in particolare alla disciplina dettata dall’art. 1225 c.c. in tema di prevedibilità del danno ed all’art. 30, comma 3, c.p.a., ove il regime della risarcibilità del danno conseguente al provvedimento illegittimo dell’Amministrazione risulta chiaramente ispirato alla prevedibilità-evitabilità del suddetto danno.

Per questa via, deve quindi ritenersi che, nel caso di revoca del provvedimento dovuta al mutamento della situazione di fatto, spetti alla p.a. l’onere di dimostrare l’imprevedibilità di tale mutamento della situazione di fatto, essendo per vero l’Amministrazione a volersi giovare della ritenuta imprevedibilità.

86 cfr. ex pluris Cons. St., 10 settembre 2014, n. 4602; 16 luglio 2013 n. 3875; Cons. St. 20 dicembre 2013 n. 6159; Cons.St., 22 dicembre 2005, n. 7343, in www.giustamm.it.

Infine, occorre considerare che già con riferimento alla disciplina dell’indennizzo da revoca del provvedimento, ex art. 21 quinquies, comma 2, l’indirizzo interpretativo prevalente opina nel senso che compete alla p.a. la dimostrazione del fatto che il privato conosceva (o poteva conoscere) la contrarietà dell’atto all’interesse pubblico.

La riforma del 2014 non ha intaccato la revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ovvero per sopravvenienza giuridica, che resta un potere ampiamente discrezionale seppur con l’unico limite dell’obbligo di indennizzo, proprio a voler salvaguardare la pienezza del potere di autotutela qualora l’atto revocando divenga irrimediabilmente contrastante con l’interesse pubblico, e ciò a prescindere dalla natura vantaggiosa o svantaggiosa del provvedimento per il privato.

La l. n. 164/2014 innova profondamente la revoca per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, escludendo che essa possa operare per provvedimenti di autorizzazione o attribuzione di vantaggi economici.

Rinviando al capitolo successivo l’analisi di come la modifica normativa possa incidere sulla dinamica negoziale, compresa la spinosa questione della revocabilità delle concessioni-contratto, si osserva preliminarmente come l’intento del legislatore militi chiaramente verso una restrizione dello jus poenitendi della p.a.

E segnatamente, la riforma ha voluto precludere il diritto di ripensamento a fronte di quei provvedimenti che più di tutti risultano edificanti per il legittimo affidamento del privato, e il cui ritiro unilaterale cagiona ingenti danni economici.

Inoltre, tra le righe della l. n. 164/2014 si legge l’intento politico di incentivare lo sviluppo economico, rassicurando il privato della stabilità del provvedimento sulla cui base intraprende ed organizza la propria attività, e ponendolo al riparo da improvvisi ripensamenti della p.a.

La portata innovativa della riforma si coglie maggiormente se analizzata in rapporto ai già citati fenomeni di liberalizzazione e semplificazione, dal momento che spesso gli atti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici vengono conseguenti dal privato mediante segnalazione certificata, o silenzio assenso.

Per essi dunque, si esclude la possibilità che la p.a. che non abbia esercitato per tempo i propri poteri inibitori o di rigetto, possa successivamente procedere ad un ripensamento unilaterale ad nutum, conferendo al titolo abilitativo quella stabilità necessaria ad instaurare rapporti d’impresa, anche con soggetti terzi.

Il potere di revoca esce dunque fortemente ridimensionato nei suoi presupposti che si fanno più stringenti, registrandosi un mutamento dei rapporti di forza con il principio di tutela dell’affidamento: quest’ultimo soccombe sempre più con minor frequenza rispetto all’interesse pubblico, sino a divenire una condizione ostativa al ritiro dell’atto qualora si traduca in un

provvedimento vantaggioso per il privato, al punto da far ritenere che la stabilità del rapporto tra Amministrazione e cittadini sia essa stessa interesse pubblico, riconosciuto implicitamente come prevalente dalla nuova formulazione dell’art. 21 quinquies comma 1 l. n. 241/90.

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