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La particolare disciplina dell’annullamento ex art 1 comma 136, l n 311/2004: l’inizio

6. L’annullamento d’ufficio nell’originaria disciplina della l n 15/2005.

6.2. La particolare disciplina dell’annullamento ex art 1 comma 136, l n 311/2004: l’inizio

di un difficile dialogo tra autotutela e rapporti negoziali.

L’art. 1 comma 136 della legge finanziaria del 2005 interviene introducendo una norma ricca di peculiarità e contraddizioni che, tuttavia, riveste un’importanza notevole nella sua evoluzione per l’analisi dei rapporti tra annullamento d’ufficio e fattispecie contrattuali in cui è parte la p.a.

La disposizione in esame assegna alla p.a. il potere di annullare d’ufficio provvedimenti amministrativi illegittimi “anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso” senza limiti di tempo ed indipendentemente dall’esistenza di un interesse pubblico all’eliminazione dell’atto, al fine di “conseguire risparmi o minori oneri finanziari”.

Emerge, sin da subito, l’assenza di ogni riferimento ai presupposti previsti in generale dall’art. 21 nonies, ovvero alla comparazione tra interessi confliggenti e al limite del termine ragionevole.

Sotto il primo profilo è evidente che l’introduzione della norma in esame abbia voluto esonerare la p.a. dalla necessaria comparazione dell’interesse al recupero di esborsi pubblici con la tutela dell’affidamento dei privati, sancendo l’automatica prevalenza del primo.

Si è discusso invece sulla portata vincolante della stessa, ritenendosi, secondo un primo orientamento99, che l’annullamento di un atto che comporti oneri finanziari per l’Amministrazione

costituisca un obbligo, rientrando nelle ipotesi di c.d. “autotutela doverosa” già citate100.

L’interesse a non procedere ad illegittime attribuzioni di denaro pubblico prevale sempre sull’aspettativa dei potenziali destinatari ad ottenere un beneficio illegittimo, e il suo perseguimento rappresenta un obbligo che la p.a. è tenuta a garantire in autotutela.

Secondo altra impostazione, la disposizione della legge finanziaria avrebbe solo introdotto una forma di interesse pubblico in re ipsa, già da tempo riconosciuta dalla giurisprudenza con riferimento agli atti che determinano illegittimo esborso di denaro pubblico, senza però alterare la natura discrezionale del potere di autotutela.

La p.a., pertanto, a fronte di atti illegittimi da cui derivano oneri finanziari avrebbe pur sempre il potere di decidere l’annullamento degli stessi, fermo restando l’esonero dal giudizio comparativo tra contrapposti interessi.

99 Cons. St. 14 maggio 2013 n. 2602 in Riv. Nel diritto, 2013, 6, p. 1145.

100 In realtà, la disposizione del comma 136 dell’art. 1 della L. n. 311 per lo più era stata interpretata alla luce dell’art. 21 nonies della l. n. 241/90: la direttiva del 17 ottobre 2005 del Ministero della Funzione pubblica, che aveva precisato il significato del comma 136 dell’art. 1 della l. n. 311/2004 in base alla considerazione che “la portata delle disposizioni contenute dal comma 136 dell’articolo 1 della legge n. 311/2004 può essere chiarita alla luce delle disposizioni della legge n. 15/2005 che hanno disciplinato in via generale l’annullamento d’ufficio”, e quindi aveva affermato che ai fini dell’annullamento per motivi finanziari “il legislatore si limita a richiedere che l’amministrazione, nel valutare se procedere o meno all’annullamento dell’atto ritenuto illegittimo, operi ‘tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati’, senza prevedere l’obbligo di corrispondere somme a titolo di ristoro dei pregiudizi eventualmente arrecati”; e da diverse sentenze di merito, tra cui si segnala T.A.R. Lombardia, Sez. III, n. 362 del 2007, in Urbanistica e Appalti, 2007, pp. 1433 ss.

A livello procedurale, tuttavia, l’Amministrazione non incontra alcuna semplificazione, dovendo da un lato rispettare il principio del contrarius actus, e dall’altro motivare specificamente quali risparmi economici intenda realizzare non essendo sufficiente il mero richiamo ad un’esigenza di contenimento della spesa pubblica.

Anche sotto il profilo temporale, si è fatta largo un’interpretazione restrittiva della norma che nelle sue applicazioni incontrava il limite dell’affidamento privato, considerato ormai un principio immanente dell’ordinamento.

Molto più discussa è stata la seconda parte dell’art. 1 comma 136 l. n. 311/2004, specificamente dettato per i rapporti negoziali, laddove stabiliva che “l’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.

Si osserva come la disposizione era destinata ad operare solo se l’autotutela sia finalizzata ad ottenere “risparmi o minori oneri” come depone il riferimento letterale all’“annullamento di cui al primo periodo”, tuttavia essa, afferendo non già ad atti autoritativi bensì a “rapporti contrattuali o convenzionali con privati”, investe un ambito oggettuale diverso da quello della statuizione contenuta nel periodo precedente, da quale si differenzia pure sotto i profili previsionali della tutela indennitaria del privato e del termine massimo di tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento decorsi i quali l’autotutela non può essere più esercitata.

È evidente come la disciplina assuma connotati di specialità rispetto al dettato dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990 acquisendo rilievo applicativo solo allorché la p.a., nell’esercizio della potestà di autotutela, persegua finalità di contenimento della spesa pubblica.

Il paradigma dell’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati, di cui all’art. 1 comma 136, l. n. 311/2004, deve essere sottoposto a tre condizioni: ovvero che l’annullamento sia disposto al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari, che non sia adottato oltre i tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, che sia garantito al privato un indennizzo per l’eventuale pregiudizio subito. La previsione di un termine fisso di tre anni per l’annullamento ha suscitato non poche perplessità, rilevandosi come tale decadenza impedisca il ritiro di atti anche affetti da illegittimità gravi, consolidando un assetto di rapporti in profondo contrasto con l’interesse pubblico.

E tale incongruità appare ancora più inspiegabile, laddove si consideri che il termine in esame opera anche a fronte di un affidamento del privato non meritevole di tutela, che rischia di stabilizzarsi per il solo decorso del tempo, in palese antinomia con la ratio di contenimento della spesa pubblica che ha animato la riforma della legge finanziaria del 2005.

In senso opposto, il termine di tre anni appare eccessivo a fronte di lievi illegittimità che non giustificano una precarietà dell’atto protratta per un tempo così ampio.

Anche la previsione di un obbligo di indennizzo non ha convinto la dottrina101, dal momento che

accorda al privato un ristoro patrimoniale in assenza della prova della sussistenza dei presupposti per il risarcimento del danno, prescindendo sia dalla colpa della p.a. sia dall’eventuale concorso colposo o addirittura doloso del privato, in contrasto con l’esigenza di contenere gli oneri economici per l’Amministrazione.

Infine, un aspetto di particolare interesse è rappresentato dalla possibilità che l’annullamento di cui all’art. 1 comma 136 l. n. 311/2004, incida su rapporti ad efficacia “perdurante”, senza pregiudizio per le prestazioni già eseguite: ciò determina la configurazione di un annullamento d’ufficio con efficacia eccezionalmente ex nunc, in contrasto con la naturale retroattività della caducazione dell’atto illegittimo.

La disposizione si inscrive da un lato nella tendenza ad affermare la flessibilità dell’annullamento, sia esso disposto dal giudice amministrativo, che dalla stessa Amministrazione, denotando una funzionalità di tale strumento calibrata sugli interessi coinvolti; dall’altro, dimostra, come si vedrà approfonditamente in seguito, come i poteri di autotutela mutino le proprie caratteristiche tipiche nel relazionarsi a fattispecie negoziali, in cui l’involucro della posizione giuridica del privato passa dall’interesse legittimo al diritto soggettivo.

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