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L’orientamento favorevole all’immanenza del potere di annullamento d’ufficio.

ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DELL’AGGIUDICAZIONE E SORTE DEL CONTRATTO.

2. Il potere di annullamento in autotutela dopo la stipulazione del contratto 1 La visione pancivilistica della fase esecutiva del contratto.

2.2. L’orientamento favorevole all’immanenza del potere di annullamento d’ufficio.

Nonostante gli sforzi della dottrina e di una parte minoritaria della giurisprudenza, la tesi prevalente è incline a riconoscere alla p.a. un potere di intervento in autotutela decisoria anche dopo la stipulazione del contratto330.

L’ Adunanza Plenaria nella sentenza del 20 giugno 2014 n. 14 afferma in modo perentorio che la p.a. mantiene il proprio potere di annullamento d’ufficio anche dopo la stipulazione del contratto, giacché l’effetto limitativo derivante dalla disciplina del recesso si riferisce solo al potere di revoca. Non si verifica quel concorso apparante di norme tra l’art. 134 d.lgs. n. 163/2006 e l’art. 21 nonies l. n. 241/90, che giustificherebbe la prevalenza della disposizione speciale, con conseguente restrizione della previsione generale.

Anzi, a sostegno della tesi dell’ammissibilità del potere di annullamento tardivo militano precisi indici normativi: l’art. 1 comma 136 della l. n. 311/2004, contempla espressamente l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva dopo la stipula del contratto, circoscrivendo il periodo di intervento in tre anni331.

La norma, disciplinando il quomodo dell’annullamento d’ufficio che ricade su fattispecie negoziali, presuppone risolta la questione preliminare della sussistenza di tale potere in capo all’Amministrazione, preoccupandosi viceversa di regolarne le modalità di esercizio.

Una conferma proviene anche dall’interpretazione dei rapporti tra l’art. 1 comma 136 della l. n. 311/2004 e la disciplina generale di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/90; si poneva infatti un problema di coordinamento tra le due norme, poiché la prima individua un interesse pubblico specifico che possa consentire l’annullamento, riscontrabile nel fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari, e un limite temporale di tre anni, in luogo del termine ragionevole di cui all’art. 21 nonies. Ci si è chiesti allora se l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva dovesse sempre passare per le maglie di cui all’art. 1 comma 136 l. n. 311/2004, o se invece possa fondarsi anche sulla previsione generale della legge sul procedimento. La tesi prevalente attribuiva alla disposizione speciale carattere assorbente, con la conseguenza che l’annullamento d’ufficio, calato nel contesto contrattuale, avrebbe sempre dovuto rispettare il limite temporale di tre anni332.

330 si vedano in proposito ex multis Tar Puglia, Bari, 12 Gennaio 2011, n. 20, Tar Puglia, Bari, 27 Luglio 2011, n. 116 e Tar Lazio, Roma, 10 Settembre 2010, n. 32215 tutte in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St. 4 gennaio 2011, n. 11 cit., con il commento di G. DIRODI, Annullamento in autotutela dell’aggiudicazione: presupposti ed effetti, in Dir. Proc. Form., 2, 2011.

331 cfr. Cons. St. 23 maggio 2013 n. 2802, in www.giustizia-amministrativa.it. 332 Tar Toscana 21 febbraio 2013 n. 263, in www.giustizia-amministrativa.it.

La necessità di garantire un minimo di tutela all’interesse privato sulla stabilità del vincolo portava a prediligere questa impostazione, trascurandosi però l’oggettiva ampiezza del termine di cui all’art. 1 comma 136 l. n. 311/2004, che rischia ad ogni modo di legittimare interventi in autotutela decisamente tardivi.

Se alla base vi era l’affermazione di principio della permanenza di un potere pubblico nonostante l’interposizione di un momento privatistico (il contratto), allora sarebbe stato più coerente agganciarsi alla disciplina di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/90.

Ad ulteriore sostegno dell’indirizzo favorevole all’annullamento post-contratto si adduce la disposizione di cui all’art. 11 comma 9 d.lgs. n. 163/2006 (oggi riprodotta dall’art. 32 comma 8 d.lgs. n. 50/2016), che espressamente fa espressamente salvo l’esercizio dei poteri di autotutela dopo l’aggiudicazione definitiva; né può condividersi quell’interpretazione che limita la portata applicativa della norma alla fase intercorrente tra l’aggiudicazione definitiva e la stipulazione del contratto.

La medesima norma stabilisce che il contratto deve essere stipulato entro sessanta giorni dall’aggiudicazione definitiva, decorsi i quali, il contraente privato si può sciogliere da ogni vincolo, mediante una dichiarazione notificata alla controparte pubblica.

Ciò significa che trascorsi i sessanta giorni (o il diverso termine indicato nel bando), l’aggiudicazione o si trasfonde nel contratto o non è più impegnativa neanche per il privato, perdendo la sua efficacia.

Non si vede allora perché limitare il potere di annullamento a tale frangente, che va dall’aggiudicazione definitiva alla conclusione del contratto, dal momento che la p.a. potrebbe benissimo impedire il perfezionamento del vincolo non dando corso alla stipulazione, senza ricorrere all’autotutela.

Si è già visto che esiste una differenza tra la mancata stipulazione del contratto e la rimozione in autotutela dello stesso, e non può ritenersi che il legislatore abbia voluto fare espressamente salvi tali poteri solo per il suddetto periodo, altrimenti la previsione si rivelerebbe sostanzialmente inutile.

Deve invece reputarsi che la clausola di riserva abbia voluto proprio preservare l’operatività dei poteri di autotutela anche dopo la conclusione del contratto, in un momento in cui un’aggiudicazione definitiva che si riveli illegittima non può più essere privata di efficacia, se non ricorrendo all’annullamento d’ufficio da parte della stazione appaltante.

In verità, oltre ai suddetti indici normativi, le ragioni della permanenza della facoltà di annullamento per l’Amministrazione risiedono proprio nelle caratteristiche strutturali di tale potere, che ne segnano la diversità con la revoca ex art. 21 quinquies l. n. 241/90.

In primo luogo la retroattività dell’annullamento consente di superare l’ostacolo argomentativo della impossibilità di concepire l’autotutela in relazione ad un atto, come l’aggiudicazione, che perde effetto dopo la stipulazione del contratto.

La revoca presuppone il riesame di atti ad effetto durevole, ritirandoli ex nunc, laddove l’annullamento può avere ad oggetto anche atti ad effetto istantaneo, come sembra considerarsi l’aggiudicazione: proprio la portata retroattiva consente di recuperare l’atto trasfuso nel contratto, e di stigmatizzarne l’illegittimità.

Un analogo effetto non può raggiungersi attraverso la revoca che si fonda su un’inopportunità attuale del provvedimento e non su un vizio pregresso di legittimità; in altre parole, l’Amministrazione non può valutare come inopportuno un atto ora per allora, ma può accorgersi di una latente illegittimità, verificatasi già nel corso della procedura ad evidenza pubblica.

La diversità di presupposti tra la revoca e l’annullamento spiega anche perché quest’ultimo non possa considerarsi assorbito nella facoltà di recesso riconosciuta alla p.a.: il diritto di recesso, infatti, nelle sue plurime sfaccettature rappresenta uno strumento di reazione a fattori sopravvenuti, o conseguente ad un ripensamento unilaterale del contraente, che non postula affatto il riscontro di un motivo di illegittimità.

Il suo utilizzo è consentito solo se previsto dalla legge o dal contratto poiché introduce un allentamento del vincolo negoziale, attribuendo eccezionalmente ad una delle parti il potere di sciogliersi unilateralmente dal rapporto.

Tale ratio non è esportabile all’annullamento d’ufficio, dal momento che in gioco non vi è una valutazione di convenienza circa la prosecuzione del rapporto negoziale, ma il riscontro dell’illegittimità della sua stessa genesi.

Escludere questa verifica dopo la stipulazione del contratto significherebbe, di fatto, negare che l’Amministrazione possa rimediare alle patologie della propria azione qualora essa si dipani attraverso moduli negoziali, con un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto al modello provvedimentale.

A livello sistematico, non può affermarsi che il potere della p.a. di verificare la legittimità del proprio operato sussista solo qualora essa agisca con l’adozione del provvedimento, sacrificandosi tale garanzia allorché la funzione pubblica venga esercitata in forma contrattuale.

L’autotutela decisoria, nel versante dell’annullamento d’ufficio, costituisce un potere di secondo grado immanente alla stessa funzione di amministrazione attiva, a prescindere dalla forma unilaterale o consensuale in cui venga attuata.

L’interposizione del contratto non basta per far decadere la p.a. da una prerogativa che l’ordinamento le attribuisce a tutela di un interesse superiore, che trascende la singola fattispecie negoziale posta in essere con il privato.

Sotto un profilo ponderale, anche la posizione di quest’ultimo tollera una tutela più flessibile in caso di annullamento d’ufficio; l’interesse alla stabilità del rapporto contrattuale non si confronta con un’opinabile valutazione di opportunità come avviene nella revoca, ma con l’obiettivo riscontro di una situazione di illegittimità, di cui egli non può giovarsi, essendo più difficile far prevalere il suo affidamento.

La giurisprudenza amministrativa, dal canto suo, si mostra particolarmente incline a distinguere tra revoca e annullamento nella dialettica con il contratto: ne consegue che mentre la stazione appaltante può procedere in ogni momento all’annullamento in autotutela ex art. 21 nonies l. n. 241/90 del provvedimento di aggiudicazione definitiva per un vizio originario dell’atto, in tal modo incidendo per la sua efficacia ex tunc, sul momento genetico del rapporto e, quindi, sui rapporti negoziali che a quell’atto sono legati da un nesso di presupposizione; lo stesso non può dirsi per l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies l. n. 241/90, in quanto la revoca, avendo efficacia ex nunc, incide sul momento funzionale del rapporto e non sul suo momento genetico e, quindi, presuppone che l’efficacia dell’atto oggetto di revoca continui a sussistere al momento della sua emanazione333.

Il provvedimento di aggiudicazione definitiva e la stipulazione del contratto non costituiscono dunque “un ostacolo giuridicamente insormontabile al suo stesso annullamento, anche in autotutela, oltre che all’annullamento degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto”334.

Si ribadisce la parità solo tendenziale delle posizioni nel rapporto contrattuale, riservandosi all’Amministrazione irrinunciabili momenti di esercizio di poteri pubblici.

Nel fenomeno negoziale dell’Amministrazione convivono allora pariteticità ed autoritatività, talché quest’ultima non scompare mai del tutto, rimanendo attaccata a quelle prerogative immanenti la stessa funzione pubblica.

Del resto, anche il diritto dei contratti conosce ipotesi di annullamento del contratto per vizi del consenso (artt. 1439 e s.s. c.c.), e dunque non si vede perché escludere rilievo ad un vizio di formazione della volontà pubblica, che si materializza proprio nella procedura competitiva.

Costringere la p.a. a far valere tale vizio solo in sede giurisdizionale significherebbe pregiudicare l’economicità ed efficienza dell’azione amministrativa qualora essa miri alla sua autocorrezione, onerandosi l’Amministrazione di attendere la rimozione dell’atto da parte del giudice.

Né ad escludere l’ammissibilità del potere di annullamento possono valere le argomentazioni teleologiche sopra evidenziate, anzi, quanto da ultimo affermato confuta a pieno tali rilievi.

333 cfr. Tar Lazio, Roma, 6 marzo 2013 n. 2432, in www.giustizia-amministrativa.it.

334 Così, Cons. St. 7 settembre 2011 n. 5032, cit.; nello stesso senso si colloca Cons. St. 14 maggio 2013 n. 2602, in www.giustizia-amministrativa.it., secondo cui “la stipula del contratto preliminare, ed invero nemmeno quella del contratto definitivo, non escludono affatto la legittimazione della stazione appaltante all’annullamento d’ufficio del provvedimento di aggiudicazione”.

È certamente vero che il Codice dei contratti pubblici e le sue evoluzioni abbiano elevato la stabilità del vincolo contrattuale a valore del sistema, e che il trend normativo sia tutto teso verso la concentrazione delle doglianze contro l’aggiudicazione definitiva entro un termine breve, talché essa non possa più essere messa in discussione, ma tali obiettivi non vengono frustrati dal riconoscimento del potere di annullamento in capo all’Amministrazione.

Sarebbe infatti certamente più problematico giustificare la soluzione che vede la p.a. costretta ad adire il giudice per rimuovere un proprio atto viziato, anziché procedere immediatamente alla sua caducazione d’ufficio.

A ciò si aggiungono perplessità di carattere processuale: se si esclude la possibilità per la p.a. di esercitare il potere di annullamento, la logica puramente paritetica delle posizioni coinvolte sposta inevitabilmente la giurisdizione verso il giudice ordinario.

Come è noto, ai sensi degli artt. 4 e 5 l. n. 2248/1865, quest’ultimo non ha il potere di annullare il provvedimento amministrativo illegittimo, dovendosi limitare alla sua disapplicazione; la p.a. allora a fronte di un illegittimità degli atti di gara, emersa dopo la stipulazione del contratto, dovrebbe adire il giudice ordinario che non potrebbe annullare gli stessi ma solo disapplicarli, determinando così una carenza dei presupposti del negozio tale da consentire il suo scioglimento.

Non può tacersi l’artificiosità di tale ricostruzione, che sembra forzare troppo i principi generali della materia, accostando impropriamente istituti sostanziali e processuali che non dialogano armonicamente.

E le perplessità in merito aumentano dal confronto della linearità della tesi che ammette l’annullamento in autotutela da parte della stessa p.a.

La finalità, certamente sottesa alla disciplina del d.lgs. n. 163/2006, e dell’attuale d.lgs. n. 50/2016, di abbreviare il periodo di precarietà dell’aggiudicazione, non può valere da sola a giustificare soluzioni estreme, che negano in radice predicati tradizionali del diritto pubblico, quali l’immanenza del potere di autotutela in favore della p.a., soprattutto quando essi ben possono coordinarsi con la suddetta esigenza.

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