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I presupposti della revoca e l’instabilità dell’atto amministrativo.

5. Il potere di revoca nella codificazione della l n 15/

5.1. I presupposti della revoca e l’instabilità dell’atto amministrativo.

Sotto il primo profilo, la scelta legislativa accoglie la tesi che attribuisce massima ampiezza all’ambito applicativo dell’istituto, consentendo la revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto, o ancora, di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

Tali presupposti delineano un potere-dovere della p.a. di valutazione globale del rapporto che lega l’atto agli interessi pubblici che vi confluiscono, impendendo di concepire l’azione amministrativa come un sinolo statico e immutabile, quanto piuttosto una manifestazione dinamica della funzione.

È opportuno osservare come si tratti di una soluzione di grande impatto applicativo alla luce del dibattito giurisprudenziale precedente alla riforma del 2005, che non registrava affatto unanimità di vedute, soprattutto in relazione all’ammissibilità della revoca per c.d. jus poenitendi della p.a.

In passato, i giudici amministrativi affermavano che la revoca del provvedimento potesse aver luogo solo a seguito di una differente valutazione dello status che aveva condotto all’emanazione dell’atto revocando, riferendosi non già ad una diversa valutazione dell’interesse pubblico originario, rebus sic stantibus, ma ad una nuova valutazione in conseguenza dell’acquisizione da parte della p.a. di elementi di fatto di cui non si è avuta conoscenza in precedenza.

La legittimità della revoca veniva pertanto ancorata alla diversa considerazione dell’interesse pubblico originario, la cui valutazione risultava inficiata dalla mancata conoscenza di tutti gli elementi utili al momento della decisione, escludendosi ad ogni modo la validità di un semplice ripensamento unilaterale della p.a.

Accanto a tale impostazione, si diffuse l’affermazione della possibilità di revocare il provvedimento per l’intervento di fatti o ragione nuove dopo l’emanazione dell’atto da revocare45.

Si negava, ancora una volta, l’operatività del potere di revoca fondato su ragioni non obiettive, ma su un diverso apprezzamento della medesima situazione di fatto già regolata dallo stesso organo, osservandosi come una siffatta facoltà porrebbe nell’assoluta incertezza i rapporti giuridici sorti dal provvedimento, le cui stabilità sarebbe subordinata alla mutabile valutazione soggettiva dei fatti da parte delle diverse rappresentanze che si succedono nell’Amministrazione46.

Successivamente la giurisprudenza amministrativa, in parallelo alla maggiore considerazione dell’affidamento dei destinatari, ha richiesto come presupposto di legittimità la sussistenza congiunta di un duplice requisito, rappresentato dalla diversa valutazione della situazione esistente al momento dell’emanazione del provvedimento e nel sopravvenuto mutamento dello stato di fatto precedente.

45 Cons. St. 23 maggio 1972 n. 265, in Cons. St., 1972, I, p. 1142.

Il potere di ritiro restava necessariamente collegato alla nozione di “fatto sopravvenuto”, che progressivamente, diviene l’unica ragione sufficiente della riedizione della funzione amministrativa finalizzata al raggiungimento dell’interesse pubblico.

La revoca viene considerata legittima qualora abbia come presupposto un nuovo e diverso accertamento dei fatti, e la loro conseguente rivalutazione sotto il profilo dell’interesse pubblico, ma non anche qualora risulti finalizzata a riparare ad un errore originario47.

La legge n. 15/2005 irrompe nel dibattito con una soluzione di più ampia portata che sembra consentire la revoca del provvedimento per un mero ripensamento unilaterale della p.a., oltre che nelle ipotesi di sopravvenienze.

Ciò nonostante, il dettato normativo è tutt’altro che univoco, e ha dato adito a numerosi contrasti nell’interpretazione dei presupposti che giustificano il ritiro dell’atto, al punto da suggerire la necessità di un’analisi differenziata degli stessi.

L’art. 21 quinquies consente in primo luogo la revoca per “sopravvenuti motivi di interesse pubblico”, alla luce dei quali non appaia più opportuna la perdurante efficacia del provvedimento. Parte della dottrina sostiene che tale ipotesi sia riconducibile assieme al mutamento della situazione di fatto, ad un’unica fattispecie di “revoca per sopravvenienza”, rappresentando un’esplicazione della c.d. “teoria del fatto sopravvenuto”48.

Si evidenzia, in particolare, come il mutamento della situazione di fatto non possa che riflettersi in nuove valutazioni di interesse pubblico, ovvero, la modifica del sostrato fattuale di riferimento impone una rivalutazione degli interessi sottesi49, e dunque, la revoca del provvedimento non

avverrebbe mai per una sopravvenienza fattuale tout court, ma pur sempre per la sua incidenza sull’interesse pubblico.

In altre parole, la sopravvenienza di motivi di pubblico interesse viene considerata ex se un dato di fatto o un requisito coessenziale ad ognuno dei presupposti che o condizioni a cui l’art. 21 quinquies riconduce l’esercizio del potere di revoca. L’alternatività tra la revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico e per mutamento della situazione di fatto sarebbe, a ben vedere, solo apparente: se infatti, non è facile immaginare un’ipotesi di sopravvenienza di motivi di pubblico interesse cui non si accompagni anche il mutamento della situazione di fatto, risulta ancora più difficile configurare una revoca per mutamento della situazione di fatto cui non si colleghi anche la sopravvenienza di motivi di pubblico interesse50.

Secondo un diverso orientamento, più fedele alla lettera della legge, i tre presupposti che l’art. 21 quinquies della l. n. 241/90 pone a base del potere di revoca vanno tenuti necessariamente distinti;

47 Cons. St. 20 maggio 2008, n. 2364, in Foro amm. CdS, 2008, p. 1478 e Cons. St., 6 dicembre 2007, n. 6252, in Foro amm. Cds, 2007, p. 3435.

48 G. LA ROSA, La revoca del provvedimento, Milano 2013, p. 146. 49 G. FALCON, Lezioni di diritto amministrativo, Padova 2013, p. 146.

e, in tal senso, milita anche la giurisprudenza amministrativa che evidenzia costantemente l’alternatività degli stessi, affermando come non si possa prescindere dall’attribuire rilevanza concettuale autonoma ai sopravvenuti motivi di interesse pubblico51.

Con tale espressione deve intendersi il sopravvenire di fatti o circostanze che inducono la p.a. a rivedere la regolazione degli interessi pubblici e privati operata in prima istanza, rivalutando i presupposti di fatto che caratterizzano la fattispecie reale e, se del caso, provvedendo ad una rinnovata e diversa valutazione dell’interesse pubblico originario, previa motivata comparazione di tutti gli interessi coinvolti52.

Sotto il profilo concreto, la giurisprudenza più volte ha ricondotto all’area dei motivi di interesse pubblico, sopravvenienze di natura economica o finanziaria, giustificando la revoca del provvedimento qualora l’Amministrazione emanante subisca un’oggettiva e rilevante riduzione dei trasferimenti o delle disponibilità finanziarie, ovvero nel sopravvenire di nuovi bisogni da soddisfare, ritenuti comparativamente prevalenti rispetto alle necessità connesse al pubblico interesse sotteso all’atto da revocare, interesse per tale ragione non più attuale; ancora, si è ritenuta appartenente al sopravvenuto motivo di interesse economico, la rinuncia all’affidamento di un contratto non più conveniente al fine di attuare una più razionale gestione delle limitate risorse disponibili.

Tuttavia, il carattere sopravvenuto dell’interesse pubblico non è sufficiente a giustificare il ritiro dell’atto, richiedendosi altresì l’attualità dello stesso, e la sua concreta rilevanza anche a seguito della comparazione e bilanciamento con gli interessi privati eventualmente sacrificati.

Il criterio dell’attualità dell’interesse pubblico diviene allora un presupposto implicito e comune a tutte e le fattispecie previste dall’art. 21 quinques l. n. 241/90, facendo sì che le relative differenze, chiare in astratto, sfumano in concreto.

Ed infatti, sia nel caso di sopravvenuti motivi di interesse pubblico, che di mutamento della situazione di fatto, alla base del provvedimento di revoca si pone una valutazione circa l’attuale inopportunità della determinazione amministrativa precedente, che risulta non più coerente con il principio del buon andamento e con l’interesse pubblico obiettivato dalla legge53.

Nel concreto, pertanto, i nuovi motivi di pubblico interesse e il mutamento dei presupposti di fatto si intersecano e si intrecciano tra di loro, in termini e con modalità difficilmente scindibili o distinguibili, giacché spesso i motivi di pubblico interesse sopravvenuti si sostanziano in fatti verosimilmente nuovi che rendono non più attualmente opportuna la ponderazione e la comparazione degli interessi cosi come operata in origine dalla p.a.

51 ex pluris, cfr. Cons. St. 8 maggio 2013 n. 248, Cons. St. 31 maggio 2012 n. 3262 in www.neldiritto.it.

52 G. CATALDO SALERNO, La revoca dei provvedimenti amministrativi ed i principi della funzione, Milano, 2014, p. 78. 53 G. CATALDO SALERNO, op. ult. cit. p.79.

Entrambi i presupposti in esame devono condurre l’Amministrazione ad una valutazione più attuale, che raccordi la determinazione provvedimentale assunta in precedenza con il mutato contesto giuridico o fattuale, in cui ben possono registrarsi modifiche ai rapporti di forza tra interessi pubblici (invertendo il rapporto tra interessi primari e secondari) o tra interessi pubblici e interessi legittimi privati.

Le sopravvenienze fattuali di per sé non possono fondare un legittimo esercizio del potere di revoca se non si traducono ad ogni modo in una valutazione di pubblico interesse, che riveli come il provvedimento revocato non sia più attualmente inidoneo allo scopo originario, tanto più che l’interesse pubblico sempre meno viene colto nella sua dimensione astratta, sganciata dalla realtà empirica.

Più precisamente, il “mutamento della situazione di fatto” è l’evento tipico che, in punto di fatto, può determinare l’Amministrazione nel senso della revisione della relazione giuridica soggettiva instauratasi con i privati per effetto dell’emanazione dell’atto revocando.

È una condizione che si rapporta, come termine di paragone, ai presupposti di fatto che sono stati presi in considerazione e ritenuti rilevanti ai fini del provvedere dal soggetto pubblico che ha emanato l’atto revocando al momento della sua adozione.

Il mutamento della situazione di fatto rilevante ex art. 21 quinquies l. n. 241/90, pertanto, si ravvisa allorché il provvedimento “ha curato in modo ottimale il pubblico interesse, ma con il trascorrere del tempo sono intervenute mutazioni dello stato di fatto, onde è divenuta inopportuna una statuizione all’origine adeguata”54.

Il ritiro dell’atto si giustifica dunque poiché l’assetto provvedimentale è divenuto non più attuale, e non più coerente con il buon andamento amministrativo.

Ad ogni modo, nella disciplina dettata dall’art. 21 quinquies la fattispecie più problematica resta certamente la revoca per una nuova valutazione del’interesse pubblico originario, ovvero lo jus poenitendi della p.a., oggetto di numerosi dubbi interpretativi.

Si tratta di una clausola di chiusura del sistema, che consente di ricomprendere nei presupposti di esercizio del potere di riesame ogni fattispecie non contrassegnata da alcuna sopravvenienza oggettiva, integrando una condizione puramente soggettiva, connessa all’esclusiva volontà amministrativa dell’organo che ha emanato il provvedimento revocando.

Alcuni autori55 osservano come il legislatore non abbia previsto alcun limite allo spiegarsi del

potere di revoca basato sullo jus poenitendi, richiedendosi solo l’esplicitazione in motivazione delle ragioni che hanno condotto l’Amministrazione a mutare il proprio orientamento.

54 R. VILLATA – M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, Milano 2011, p. 588. 55 R. VILLATA – M. RAMAJOLI, op. ult. cit., p. 589.

La riforma del 2005 ha inteso attribuire alla p.a. il potere di revoca nell’accezione più ampia, senza alcun limite positivo, se non quello insito ad ogni forma di discrezionalità amministrativa.

Tale affermazione trova puntuale riscontro nella giurisprudenza amministrativa, ove si afferma costantemente che la p.a. nell’esercizio dello jus poenitendi attribuito dalla legge, gode di amplissima discrezionalità56; ed inoltre, la valutazione dell’interesse pubblico non deve necessariamente basarsi

sulla formale adozione di atti, essendo sufficiente che dallo stesso provvedimento di revoca emergano le ragioni, plausibili e concrete, che determinano un fondato mutamento di prospettiva. L’art. 21 quinques l. n. 241/90, nella lettura giurisprudenziale, denota tutta la sua portata innovativa, dilatando la nozione di revoca antecedente alla riforma del 2005, assorbendo le fattispecie della revoca in senso stretto, dell’abrogazione, nonché dello jus poenitendi, in passato ricondotte ad istituti eterogenei e non pacificamente ammessi.

La latitudine dei poteri di revoca è coerente, secondo parte della dottrina, con una visione “soggettivo-istituzionale dell’amministrazione pubblica”, ovvero, con una concezione secondo cui la p.a., come espressione del governo della cosa pubblica, è abilitata ad un ripensamento unilaterale della regolazione provvedimentale, atteso il carattere esclusivamente soggettivo della valutazione dei presupposti di interesse pubblico.

Il riconoscimento di un siffatto potere discrezionale per la p.a. ha suscitato numerosi dubbi di compatibilità con i principi comunitari e costituzionali, vanificando gli sforzi compiuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza per conferire stabilità agli atti amministrativi e di riflesso al rapporto che ne scaturisce, a tutela dell’affidamento legittimamente riposto dal privato, da valutarsi secondo regole di ragionevolezza e buona fede oggettiva.

L’ampia formulazione dell’art. 21 quinquies l. n. 241/90, e in particolare, del diritto di pentimento si pone contro i profili di certezza del diritto, integrando un presupposto meramente soggettivo, la cui arbitrarietà è acuita dall’assenza di un ragionevole limite temporale all’esercizio del potere in parola.

Non a caso, la dottrina57 sottolinea come questo “diritto di pentirsi non si distingue dal diritto

all’arbitrio o dal diritto al capriccio, ed è incompatibile con un ordinamento che annovera tra i suoi principi fondamentali l’affidamento del cittadino, ivi compresa la fiducia che un certo assetto instaurato dal provvedimento amministrativo abbia una certa stabilità”.

Allo stesso modo, è apparsa censurabile la scelta di non prevedere alcuna limitazione temporale a tale revoca per rivalutazione dell’interesse originario, evidenziandosi come se da un lato sia più che ragionevole la scelta di non arginare cronologicamente la revoca per sopravvenienze, che per loro natura non sono predeterminabili in un arco temporale, dall’altro, la medesima ratio non può

56 Cfr. fra le tante, Cons. St. 7 febbraio 2012 n. 662, Cons. St. 16 febbraio 2012 n. 833, Cons. St. 6 maggio 2011 n. 2713, in www.neldiritto.it.

riscontrarsi per lo jus poenitendi fondato su valutazioni soggettive per le quali sarebbe stato opportuno introdurre un limite temporale58.

E tale irragionevolezza è acuita dalla considerazione secondo cui il legislatore ha inteso circoscrivere temporalmente l’esercizio dell’annullamento d’ufficio (ancor più dopo la riforma della l. n. 124/2015), limitando la possibilità di rimuovere un atto comunque illegittimo, laddove invece tale limite non sussiste per il potere di revoca che dialoga con provvedimenti semplicemente inopportuni.

Le perplessità aumentano dalla lettura del comma primo dell’art. 21 quinquies con la previsione di cui al comma 1-bis, che consente la revoca di atti ad efficacia durevole o istantanea che incidono su rapporti negoziali, da cui possono derivare diritti quesiti, la cui definitività è scossa dal possibile ripensamento da parte della p.a.

L’impatto della revoca in autotutela sui rapporti negoziali sarà oggetto di approfondimento nel capitolo seguente, tuttavia è opportuno anticipare le preoccupazioni che sorgono dal riconoscimento di tale potere per l’Amministrazione: nei rapporti contrattuali, infatti, non vengono in rilievo semplici interessi legittimi dei privati ma maturano diritti soggettivi il cui spessore si consolida nel tempo, e che ingenerano una situazione soggettiva di affidamento che risente maggiormente dei danni cagionati dal ritiro dell’atto amministrativo.

In altre parole, riconoscere anche in ambito negoziale un diritto di pentimento tout court per la p.a. stipulante, significa allentare il vincolo contrattuale e rendere precari i diritti soggettivi che vi sorgono.

Come si vedrà, l’interpretazione letterale dell’art. 21 quinquies si pone quale fattore di instabilità del rapporto amministrativo ed eventualmente di quello negoziale che vi accede, la cui sorte rimane condizionata al mero apprezzamento potestativo della p.a.

Per tale ragione, autorevole dottrina59 ha proposto una risistemazione degli atti di ritiro,

distinguendo tra l’invalidità per vizi di merito, cui segue la generale possibilità dell’annullamento d’ufficio del provvedimento, e l’inopportunità non invalidante che può dar luogo ad un potere di revoca di carattere speciale, sussistente solo in presenza di un’apposita disposizione normativa che preveda lo jus poenitendi.

Il carattere speciale e non generale della revoca per inopportunità originaria dell’atto ragionevolmente adottato, eviterebbe di attribuire alla stessa Amministrazione un diritto di ripensamento di portata amplissima, notoriamente non compatibile con i principi di uno stato di diritto, limitandosi piuttosto il potere generale di revoca ai soli casi di sopravvenienza.

58 M. IMMORDINO, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Torino, 1999, p. 192. 59 A. ROMANO TASSONE, Sulle vicende del concetto di merito, in Dir. amm., 2008, pp. 552 e ss.

Tale interpretazione, seppur pregevole nell’obiettivo che si prefigge, si scontra con il dato letterale della norma introdotta dalla l. n. 15/2005, che nella sua formulazione originaria, configura la revoca di pentimento come una fattispecie generale e non eccezionale.

Non è un caso che il legislatore, con riguardo all’esercizio del potere di revoca, a differenza delle scelte effettuate per l’annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies l. n. 241/90, abbia omesso di codificare il doppio limite del termine ragionevole e della considerazione degli interessi dei destinatari, valorizzando la maggiore libertà che la p.a. incontra nell’esercizio del potere previsto dall’art. 21 quinquies.

Alcuni autori, propongono allora di condizionare l’esercizio dello jus poenitendi all’emersione di fatti nuovi o di circostanze non conosciute ab origine dalla p.a., finendo però per fa coincidere l’istituto con la revoca per sopravvenienze, disciplinato autonomamente dalla l. n. 241/90.

Ugualmente, non convince la ricostruzione secondo cui la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario debba essere limitata al mancato raggiungimento dello scopo, sottraendo l’esercizio del potere di revoca alle valutazioni meramente soggettive della p.a. sulla convenienza del mantenimento dell’atto, per ancorarla esclusivamente all’efficacia dell’azione espletata: il mancato raggiungimento dello scopo, infatti, è comunque un fatto obiettivo sopravvenuto, che è altro rispetto allo jus poenitendi vero e proprio60.

Entrambe le impostazioni citate finiscono per ricondurre la revoca di pentimento all’ambito delle sopravvenienze, negando di fatto l’ammissibilità autonoma dell’istituto, in palese contrasto con il dato normativo della riforma del 2005.

Anche a voler tentare un parallelismo con il potere legislativo, emerge come l’attribuzione di uno jus poenitendi del tutto discrezionale per la p.a., sollevi numerosi dubbi di compatibilità costituzionale: il legislatore può infatti dettare disposizioni che modifichino sfavorevolmente la disciplina in atto e che incidano parzialmente su diritti quesiti, ovvero che modifichino sfavorevolmente i rapporti di durata, tuttavia, tale potere non è illimitato ma soggetto ad un sindacato in termini di ragionevolezza.

La Corte Costituzionale, in più occasioni ha affermato che non può ammettersi un intervento legislativo che sia assolutamente discrezionale e che vanifichi le aspettative legittimamente nutrite dai soggetti interessati, in assenza di un’ “inderogabile esigenza” e, quindi, di situazioni o fatti oggettivamente valutabili61.

60 M. INTERLANDI, La revoca: prime riflessioni sulle novità introdotte dalla l. n. 15/2005, in G. CLEMENTE DI SAN LUCA, La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma sul procedimento, Torino 2005, p. 318.

Lo jus poenitendi in quanto tale, pertanto, non è consentito neanche al legislatore dalla giurisprudenza costituzionale, e a fortiori, secondo la dottrina non dovrebbe essere riconosciuto in capo all’Amministrazione62.

Ammettere un diritto di pentimento pienamente discrezionale significa, in altri termini, concepire il provvedimento amministrativo come contenente una sorta di condizione meramente potestativa implicita, in virtù della quale la p.a. può mantenerlo in essere o meno in base al suo arbitrio.

La stabilità dell’atto viene fatta dipendere formalmente e sostanzialmente dalla mera volontà soggettiva dell’organo o del soggetto pubblico competente, a prescindere da ogni mutamento obiettivamente evidente e riscontrabile dell’interesse pubblico o del rapporto di quest’ultimo con gli interessi coinvolti nel procedimento che condotto all’emanazione dell’atto revocando.

A fronte di un siffatto potere di revoca ad nutum, l’interesse legittimo torna ad essere una posizione giuridica soggettiva tutelata solo indirettamente o di riflesso, a discapito dell’evoluzione che ha riconosciuto dignità autonomo e sostanziale all’interesse legittimo.

Del resto, alcuni autori, prendendo le mosse dall’art. 1355 c.c. che sancisce la nullità della condizione meramente potestativa in ambito civilistico, giungono ad escludere l’ammissibilità di uno jus poenitendi puro, affermando l’applicabilità del divieto in parola anche al diritto amministrativo63.

In realtà, l’originaria ampiezza del potere di ritiro in autotutela sconta il progressivo rafforzamento delle esigenze di tutela degli interessi privati, e, come si vedrà in seguito, ha subito nel corso del tempo un costante ridimensionamento, introducendosi limitazioni, prima di natura pretoria, e da ultimo in chiave normativa.

Proseguendo nell’esame degli elementi che compongono il potere di revoca in autotutela, emerge come anche la concezione dell’ interesse pubblico che fonda il ritiro dell’atto si presenti alquanto

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