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Le attività di pubblica utilità

Nel documento Lo jus variandi (pagine 182-190)

PARTE II: IL RIORDINO DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI SERVIZI PER IL LAVORO E DI POLITICHE ATTIVE

27. Le attività di pubblica utilità

Il d.lgs. n. 150/2015 abroga il d.lgs. n. 468/1997318, con ultrattività limitata ai progetti di LSU in corso319, che disciplinava il fenomeno dei LSU, oggetto di vasta riflessione a livello scientifico, per la peculiarità dello stesso320, ma al contempo fonte di precariato per il distorto utilizzo che di esso hanno fatto le pubbliche amministrazioni, onde sopperire a carenze di organico non fronteggiabili con i normali rimedi assunzionali, specie per effetto dei reiterati blocchi delle assunzioni.

Per smaltire il bacino dei LSU venne emanato il d.lgs. n. 81/2000 che prevedeva una serie di misure e di incentivi finalizzati al definitivo superamento del fenomeno.

Per la vastità dello stesso, si è creata una sorta di “riserva protetta” che ha prodotto una vera e propria qualifica, cioè quella di “ex LSU”, che ha inciso in maniera fortemente negativa sulla provvista di forza lavoro da parte delle PA, considerati i meccanismi (non) selettivi dei LSU, fenomeno distorsivo di gran lunga peggiore di quello del precariato pubblico, non foss’altro che i lavoratori assunti a tempo determinato da parte delle p.a. hanno comunque affrontato e superato una prova selettiva e sono stati adibiti in maniera fisiologica ad attività proprie delle PA, a differenza dei LSU, utilizzati senza aver effettuato alcuna selezione ed in maniera, come detto, distorta, in attività ben diverse da quelle che avevano giustificato il ricorso all’istituto

Un fenomeno, quindi, decisamente e totalmente negativo del quale pensavamo di esserci finalmente liberati.

L’art. 26 del d.lgs. n. 150/2015, sotto il titolo Utilizzo diretto dei lavoratori

titolari di strumenti di sostegno al reddito, una volta smaltito il vecchio bacino

dei LSU, ripropone lo strumento, che suscita perplessità non per le finalità perseguite, ma per il rischio che si riproduca un nuovo bacino di LSU, anche se proprio il fenomeno del precariato pubblico e dei suoi sviluppi a livello normativo e giurisprudenziale sembrano scongiurare un tale rischio321.

Anche per l’analisi di questo strumento si procede per profili.

I destinatari per eccellenza di tale misura sono i percettori di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro, e cioè di CIGO o CIGS (comma 1). La norma non fa alcun riferimento alle forme di integrazione del reddito a

318 Si veda l’art. 34, comma 1, lett. d, del d.lgs. n. 150/2015.

319 Cfr. circ. Min. lav. 22 ottobre 2015, n. 28.

320 Si veda R.SANTUCCI, op. cit.

321 Per una prima analisi della nuova disciplina dei LSU, ex art. 26, d.lgs. n. 150/2015, si veda

carico dei fondi bilaterali, pur se queste ultime sono riconducibili nell’ampia formula utilizzata dal legislatore. A questa categoria la legge di stabilità per il 2016, modificando l’art. 26, comma 1, del d.lgs. n. 150/2015, ha aggiunto quella dei lavoratori sottoposti a procedure di mobilità, colmando in tal modo una lacuna oggettivamente inaccettabile presente nella disposizione originaria322.

Inoltre, possono essere utilizzati nelle attività di pubblica utilità (da ora per brevità APU) i lavoratori disoccupati con più di 60 anni, che non abbiano ancora maturato il diritto al pensionamento di vecchiaia o anticipato.

A ben guardare proprio le categorie di destinatari sembrano scongiurare il paventato rischio di un riprodursi del fenomeno dei LSU, in quanto nel primo caso si tratta di lavoratori titolari di un rapporto di lavoro subordinato privato, sia pure sospeso o con orario ridotto; nel secondo caso, il requisito anagrafico dovrebbe scongiurare qualsiasi velleità di stabilizzazione alle dipendenze della p.a. che si avvale della prestazione di tali soggetti, considerato che il trattamento spettante per l’attività svolta è destinato a traghettare questi lavoratori verso la pensione.

Per queste due categorie di soggetti l’art. 26 del d.lgs. n. 150/2015 prevede l’«utilizzo diretto dei lavoratori titolari di strumenti di sostegno al reddito» in «attività ai fini di pubblica utilità», ma nelle due disposizioni di chiusura richiama le «attività di lavori socialmente utili» (comma 11) e «attività e lavori socialmente utili» (comma 12), sicché si pone il problema interpretativo se il legislatore delegato ha voluto individuare lo stesso fenomeno con espressioni diverse, oppure faccia riferimento a fenomeni distinti.

L’esigenza di risolvere questo problema interpretativo riconduce non solo alla individuazione delle attività che possono essere richieste ai soggetti destinatari di tali misure di workfare, ma anche alla legittimità dell’impiego in tali attività per le quali è esclusa l’instaurazione di un rapporto di lavoro.

Per la soluzione del problema può essere utile attingere alla disciplina dei due fenomeni adottata in passato dal legislatore e in particolare dalla l. n. 196/1997 che, non a caso, all’interno del riordino della disciplina del mercato del lavoro dettava ben due disposizioni per gli istituti dei lavori di pubblica utilità (LPU) e dei LSU; ai primi è dedicato l’art. 26 che prevedeva l’utilizzazione dei giovani inoccupati del Mezzogiorno in LPU nei settori dei servizi alla persona, della salvaguardia e della cura dell’ambiente e del territorio, del recupero e della riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali (art. 26, comma 2, lett. a); viceversa, l’art. 22 della l. n. 196/1997 individuava i «lavori

322 Si veda l’art. 1, comma 306, della l. n. 208/2015, che ha sostituito il comma 1 dell’art 26,

socialmente utili» con riguardo: «1) ai servizi alla persona: soprattutto con riguardo all’infanzia, all’adolescenza, agli anziani, alla riabilitazione e recupero di tossicodipendenti, ai portatori di handicap e ad interventi mirati nei confronti delle devianze sociali; 2) alla valorizzazione del patrimonio culturale; 3) alla salvaguardia dell’ambiente e alla tutela del territorio; 4) alla raccolta differenziata, alla gestione di discariche e di impianti per il trattamento di rifiuti solidi urbani; 5) alla manutenzione del verde pubblico; 6) alla tutela della salute nei luoghi pubblici e di lavoro; 7) al miglioramento della rete idrica; 8) all’adeguamento e perfezionamento del sistema dei trasporti; 9) alle operazioni di recupero e bonifica di aree industriali dismesse; 10) al recupero e risanamento dei centri urbani; 11) alla tutela degli assetti idrogeologici; 12) alle aree protette e ai parchi naturali».

Come si vede, tra i LSU sono ricompresi i LPU: quindi ai giovani inoccupati la legge Treu destinava solo alcune delle attività destinate ai LSU, salvo a non disciplinarli in maniera unitaria nel d.lgs. n. 468/1997, pur mantenendo in essa la diversa finalizzazione dei due istituti, destinati a creare occupazione i LPU e a riqualificare i destinatari i LSU323.

Il dualismo sembra riproporsi nell’art. 26 del d.lgs. n. 150/2015, che destina le APU ai percettori di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro con finalità di mantenimento e sviluppo delle competenze acquisite (comma 1), mentre destina i LSU ai disoccupati con più di 60 anni che non abbiano ancora maturato il diritto alla pensione di vecchiaia o anticipata, con corresponsione di una indennità in misura pari all’assegno sociale, eventualmente riproporzionato ove l’impiego scenda al di sotto delle 20 ore settimanali (comma 5).

Appare evidente l’esistenza di un nesso di corrispettività previdenziale tra entrambe le misure di workfare e il trattamento erogato ai destinatari: nel primo caso è la CIG, nel secondo è l’assegno mensile.

Un’ipotesi affine all’utilizzo in attività di pubblica utilità è quella del coinvolgimento dei beneficiari di ammortizzatori sociali324, ma anche dei detenuti e degli internati325, ovvero degli stranieri richiedenti asilo326, in

323Si veda l’art. 1, comma 1, lett. a e b, del d.lgs. n. 468/1998. 324

Si veda l’art. 1, comma 312, della l. n. 208/2015, che prevede la finalizzazione di tale attività in favore dei Comuni o degli enti locali.

325Si veda l’art. 1, comma 312, della l. n. 208/2015, che richiama l’art. 21, comma 4-ter, della l. n. 354/1975.

326Si veda l’art. 1, comma 312, della l. n. 208/2015, che subordina tale coinvolgimento al possesso del permesso di soggiorno, trascorso il termine di cui all’art. 22, comma 1, del d.lgs. n. 142/2015.

attività di volontariato a fini di utilità sociale (AVUS), con finanziamento in favore dell’Inail dell’onere connesso alla tutela antinfortunistica327

.

La disposizione sembra essere congegnata per i richiedenti asilo alla luce di recenti esperienze, per poi essere estesa anche alle altre due categorie di soggetti richiamate, rispetto alle quali la ricaduta pratica è tutta da verificare, in ragione della logica scambistica che connota il coinvolgimento di queste due categorie di soggetti in attività di pubblica utilità.

Le PA a favore delle quali possono essere svolte le attività di pubblica utilità sono «le comunità territoriali di appartenenza», sotto la direzione e il coordinamento di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, nel territorio del Comune ove i lavoratori siano residenti, in deroga al requisito territoriale previsto per la congrua offerta di lavoro. Queste amministrazioni, sulla base di una convenzione quadro predisposta dall’Anpal, devono stipulare specifiche convenzioni con le Regioni e le PATB.

Le modalità di utilizzo variano per le due categorie di soggetti. Per quanto riguarda i lavoratori sospesi o che lavorano a orario ridotto, l’utilizzo deve avvenire con modalità tali da non incidere sul corretto svolgimento del rapporto di lavoro in corso, cioè deve essere compatibile con l’attività che il lavoratore è comunque obbligato a prestare in favore del proprio datore di lavoro. Per quanto concerne, poi, la misura dell’utilizzo, la stessa viene collegata a due parametri: da un lato al trattamento di sostegno al reddito percepito e dall’altro lato al trattamento retributivo iniziale, al netto delle ritenute previdenziali e assistenziali, previsto per i dipendenti della PA utilizzatrice che svolgono attività analoghe; nello specifico, il limite massimo di orario settimanale corrisponde alla proporzione tra questi due parametri, nel senso che se, per ipotesi il trattamento di integrazione salariale fosse pari al 50% di quello retributivo spettante al lavoratore pubblico comparabile, la misura massima dell’utilizzo sarebbe pari al 50% dell’orario di spettanza del dipendente che svolge attività analoga. In buona sostanza in questo modo l’APU si pone in rapporto di sinallagmaticità con l’integrazione salariale. Per quanto riguarda i disoccupati ultra sessantenni, il loro utilizzo non può eccedere l’orario di venti ore settimanali, a fronte delle quali compete un’indennità di importo pari all’assegno sociale, eventualmente riproporzionato in caso di orario di lavoro inferiore.

Il trattamento è erogato dall’Inps previa certificazione delle presenze a cura dell’ente utilizzatore, secondo modalità fissate dall’istituto, e ad esso si applicano le disposizioni in materia di Naspi.

327 La copertura in favore dell’Inail, prevista in via sperimentale per gli anni 2016 e 2017, è a

Gli oneri finanziari connessi all’erogazione del trattamento restano a carico delle amministrazioni regionali e delle Province autonome che stipulano le convenzioni. Al trattamento si applicano gli artt. 10 e 11 del d.lgs. n. 22/2015, e quindi lo stesso è compatibile con lo svolgimento di attività lavorative in forma autonoma o di impresa individuale (art. 10) e soggiace al regime di decadenza, previsto per la Naspi (art. 11).

Il trattamento è incompatibile con qualsiasi trattamento pensionistico e per quello di inabilità/invalidità è consentita l’opzione; viceversa, è consentito il cumulo con gli assegni e le pensioni di invalidità civile, nonché con quelle privilegiate per infermità contratta a causa del servizio obbligatorio di leva. La norma contiene, infine, la disciplina dell’attività di pubblica utilità, con disposizioni in linea generale dettate per l’utilizzo dei disoccupati ultrasessantenni, ad eccezione di due norme comuni ad entrambe le categorie di destinatari: la prima esclude l’instaurazione di un rapporto di lavoro tra il lavoratore utilizzato e la p.a. utilizzatrice (comma 3); la seconda prevede l’obbligo dell’attivazione da parte della PA utilizzatrice dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali nonché per la responsabilità civile verso terzi (comma 8).

Che il resto della disciplina si riferisca ai disoccupati ultra sessantenni lo si deduce dal costante riferimento all’assegno, che come visto è riservato solo a questa categoria di lavoratori e non anche a quelli percettori di integrazioni salariale, pur se resta il dubbio circa la riferibilità di tali disposizioni anche a quest’ultima categoria.

La prima disposizione riguarda la concessione al lavoratore di un adeguato periodo di riposo, durante il quale è corrisposto l’assegno (comma 9). E qui emerge la prima lacuna riferita ai cassintegrati che hanno diritto al riposo, considerato che per il meccanismo di proporzionalità prima visto, costoro sarebbero impegnati a orario pieno, addizionando le ore di lavoro prestate in favore del proprio datore di lavoro a quelle svolte in APU. L’assenza di disciplina pone il problema di individuare su chi ricada l’onere dei riposi, sia settimanali che annuali, considerato che il datore di lavoro riceve comunque una prestazione ridotta in relazione alla quale v’è maturazione ridotta di ferie. Il problema si potrebbe risolvere se la norma, che attualmente prevede che «durante i periodi di riposo è corrisposto l’assegno», fosse integrata con un «ovvero l’integrazione salariale».

Identico problema si pone in relazione all’assenza per malattia ovvero per infortunio sul lavoro/malattia professionale; anche in questo caso la norma prevede che l’assenza per malattia non comporta la sospensione dell’assegno, salvo una incompatibilità con il buon andamento del progetto; nel caso di

infortunio o malattia professionale, l’assegno è corrisposto per le giornate non indennizzate dall’Inail, con diritto del disoccupato a riprendere l’attività al termine dell’inabilità.

Separatamente viene disciplinata l’assenza per motivi personali giustificati, che comporta la sospensione dell’assegno, salvo recupero delle ore non prestate senza sospensione dell’assegno; è facoltà del soggetto utilizzatore in caso di assenze protratte e ripetute, che compromettano i risultati del progetto, richiedere la sostituzione del lavoratore.

Per i cassintegrati evidentemente non si pone alcun problema, in quanto la mancata prestazione di APU, ove non intervenga decadenza dal trattamento di CIG, comporta la percezione di quest’ultima.

Sul piano contributivo non v’è contribuzione figurativa, pur se i periodi di APU sono utili ai fini dell’acquisizione dei requisiti assicurativi per il diritto al pensionamento328, salvo il riscatto ai sensi degli artt. 5 ss. del d.lgs. n. 184/1997.

28. La formazione professionale nel d.lgs. n. 150/2015

Di norme che si occupano della formazione professionale il d.lgs. n. 150/2015 è disseminato, pur se non è affatto agevole rendersi conto dell’approccio che il

Jobs Act ha assunto verso la politica formativa del nostro Paese, vista anche la

patologica deriva della formazione da misura di politica attiva, a favore dei lavoratori, a “misura passiva”, a tutela (del reddito) dei formatori329

.

Allo scopo di tentare una sistematizzazione di tali disposizioni, è possibile ricondurle a cinque diversi profili:

1. competenza; 2. strumenti; 3. destinatari; 4. misure o azioni;

328 Da registrare l’improprio richiamo dell’art. 7, comma 9, della l. n. 223/1991, abrogato dal

1o gennaio 2017, ex art. 2, comma 71, l. n. 92/2012.

329 Sulla formazione professionale “ammortizzatore sociale dei formatori” si veda E.

GRAGNOLI, op. cit., § 11. M.RICCI, op. cit., 119 ss., spec. 123, si chiede se «un intervento formativo per integrare e/o convertire le capacità professionali dei disoccupati (ma anche degli inoccupati) e dei lavoratori, beneficiari di indennità pubbliche, in procinto di perdere la loro occupazione, possa essere concretamente efficace, considerato non solo lo scarso funzionamento complessivo del sistema di formazione professionale nel nostro Paese, ma anche il mancato sviluppo dei servizi di orientamento professionale nell’intero territorio nazionale».

5. finanziamento.

Invero, il ruolo della formazione professionale nella riforma del mercato del lavoro potrebbe già ricavarsi dalla disposizione di apertura del decreto, là dove si afferma che la rete, sotto la regia dell’Anpal, promuove l’effettività del diritto alla formazione professionale e alla elevazione professionale ex art. 35 Cost. (art. 1, comma 3).

Le competenze in tema di formazione professionale sono distribuite tra Ministero del lavoro, Anpal, Isfol, Regioni e servizi per l’impiego privati. Al Ministero del lavoro compete, ex art. 3, comma 3, lett. c, l’indirizzo sul sistema della formazione professionale continua, anche se finanziata dai fondi interprofessionali ex art. 118, l. n. 388/2000330, ovvero dai fondi bilaterali ex art. 12, d.lgs. n. 276/2003; inoltre, definisce in Conferenza permanente le linee-guida per l’accreditamento degli enti di formazione (art. 3, comma 4). L’Anpal ha il controllo e la vigilanza sui fondi interprofessionali ex art. 118, l. n. 388/2000, ovvero sui fondi bilaterali ex art. 12, d.lgs. n. 276/2003331. L’Isfol mantiene il ruolo di studio, ricerca, monitoraggio e valutazione, degli esiti delle politiche statali e regionali in materia di istruzione e formazione332. Le Regioni hanno la competenza in materia di accreditamento degli enti di formazione, ma nell’ambito dei criteri definiti in Conferenza permanente dal Ministero del lavoro333.

I servizi per il lavoro privati hanno l’obbligo di raccordarsi con il sistema regionale di accreditamento degli organismi di formazione334.

Per quanto riguarda i fondi interprofessionali per la formazione continua, viene modificata la disciplina di riferimento prevedendosi che l’attivazione dei

330 L’art. 17 del d.lgs. n. 150/2015 ha modificato i primi due periodi dell’art. 118, comma 2,

della l. n. 388/2000, intervenendo sui criteri di gestione delle strutture di funzionamento dei fondi medesimi, che devono essere improntati al principio di trasparenza. Si pone, quindi, il problema se i fondi interprofessionali debbano rispettare la normativa pubblicistica in tema di appalti, pur essendo soggetti di diritto privato. La posizione del Consiglio di Stato, favorevole al rispetto di tale normativa, ha trovato conferma nella nota dell’Autorità nazionale anti-corruzione (c.d. Anac) 15 gennaio 2016, che pur ribadendo la natura giuridica di diritto privato dei fondi non esclude che essi siano organismi di diritto pubblico, tenuti al rispetto della normativa in tema di appalti pubblici e sono assoggettati alla vigilanza dell’Anac. Sul punto cfr. circ. Min. lav. 18 febbraio 2016, n. 10.

331

Si veda l’art. 9, comma 1, lett. m, del d.lgs. n. 150/2015.

332

Si veda l’art. 10, comma 2, lett. a, del d.lgs. n. 150/2015. Secondo M.MAROCCO, op. cit.,

208 e nota 24, l’affidamento all’Isfol (soggetto terzo) del compito di valutazione dell’azione dell’Anpal riflette un modello già adottato nei Paesi più maturi, pur se concretamente ostacolato dal taglio di risorse umane e strumentali operato ai danni dell’istituto.

333 Si veda l’art. 10, comma 2, lett. b, del d.lgs. n. 150/2015.

fondi è subordinata al rilascio di un’autorizzazione da parte del Ministero del lavoro con il ruolo di vigilanza attribuito all’Anpal335

.

Si tenta di raccordare il sistema di formazione professionale attraverso l’inserimento dei dati da parte dei soggetti che vi partecipano nel Sifop, disciplinato dall’art. 15 del d.lgs. n. 150/2015; in detto sistema, realizzato dall’Anpal in cooperazione con il Ministero del lavoro, le Regioni, il Miur, l’Isfol ed i fondi interprofessionali sono registrati i percorsi formativi svolti dai residenti in Italia, finanziati in tutto o in parte con risorse pubbliche. Il conferimento dei dati da parte dei soggetti che partecipano al Sifop è regolato dall’Anpal. Le informazioni contenute nel Sifop sono messe a disposizione delle Regioni e delle PATB.

Proiezione del Sifop è il FEL, in cui sono registrate, tra l’altro, le esperienze formative di ciascun lavoratore.

Un’altra novità è la previsione dello scambio tramite convenzione tra Anpal e

Miur dei dati individuali e dei risultati statistici, allo scopo di monitorare gli

esiti occupazionali dei giovani in uscita da percorsi di istruzione e formazione336.

I destinatari della formazione professionale sono i disoccupati, nonché i lavoratori a rischio di disoccupazione337.

Una quota congrua di accesso alla formazione professionale va poi riservata alle persone in cerca di occupazione identificate e selezionate dai CPI338. Le misure sono individuate dalla norma cardine in tema di tutela delle politiche attive del lavoro, attribuendosi un ruolo importante alla formazione

professionale in prospettiva della qualificazione, riqualificazione

professionale, dell’autoimpiego e dell’immediato inserimento lavorativo339

. Non mancano ovviamente i tirocini di formazione e di orientamento340.

L’attività formativa è individuata in base al fabbisogno di competenze necessario a dare risposta alla domanda di lavoro espressa a livello territoriale, nazionale ed europeo341.

335 Si veda l’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 150/2015.

336 Si veda l’art. 13 del d.lgs. n. 150/2015.

337 Si vedano gli artt. 18, comma 1, e 19 del d.lgs. n. 150/2015.

338

Si veda l’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 150/2015.

339

Si veda l’art. 18, comma 1, lett. e, del d.lgs. n. 150/2015.

340 Si veda l’art. 18, comma 1, lett. g, del d.lgs. n. 150/2015.

341 Si veda l’art. 18, comma 1, lett. c, del d.lgs. n. 150/2015. Sulla rispondenza della

formazione alle esigenze della domanda si veda T. TREU, Le tutele del lavoratore nel mercato

del lavoro, in DRI, 2002, 396 ss., che, a proposito della formazione, ricorda l’ammonimento di

Passando infine al profilo finanziario, va detto che l’efficacia e l’effettività di una politica formativa dipendono in gran parte dalle risorse finanziarie ad essa destinate, oltre che dall’adeguatezza del sistema formativo. I segnali che

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