PARTE I: IL RIORIENTAMENTO DELLE POLITICHE PASSIVE
9. Il riordino della disciplina per il sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria
Questo pezzo della riforma, che ha preceduto quella della CIG, è affidato al d.lgs. n. 22/2015, primo decreto attuativo della l. n. 183/2014; per esso si può fare integralmente rinvio a quanto già detto in relazione al rapporto che intercorre tra la riforma Fornero e quella Renzi, costituendo il d.lgs. n. 22/2015 il completamento della riforma del sostegno alla disoccupazione involontaria avviata con la l. n. 92/2012 (si veda supra, § 2).
Fatta tale precisazione, v’è da chiedersi se la riforma Renzi abbia inciso solo sul quantum di tutela in funzione redistributiva della stessa oppure abbia modificato i connotati tipici della tutela contro la disoccupazione involontaria. Certo, mettendo a confronto i trattamenti vecchi e nuovi, colpisce una inversione di fattori. Partendo dai “vecchi” trattamenti e segnatamente dall’indennità di mobilità, quest’ultima, che scomparirà dal 1o
gennaio 2017, è caratterizzata da una durata dell’intervento sostanzialmente sganciata dall’anzianità contributiva (modesto è il requisito previsto dall’art. 16 della l. n. 223/1991, specie se rapportato alla durata del trattamento).
Quindi, si tratta(va) di un trattamento previdenziale ma con una torsione marcatamente assistenziale81.
Viceversa, con riferimento ai “nuovi” trattamenti, può dirsi che la Naspi ha uno strettissimo collegamento con la contribuzione (essendo pari al 50% della contribuzione dell’ultimo quadriennio)82
; non a caso, Franco Liso ha parlato di “corrispettività” contributi/prestazione, non dissimilmente dalle pensioni. Può allora sostenersi che il d.lgs. n. 22/2015 ha modificato i connotati tipici della tutela contro la disoccupazione involontaria83, operando una mutazione genetica della stessa.
80 Cfr. circ. Min. lav. 20 ottobre 2015, n. 27, che ha ribaltato l’opposta conclusione cui era
pervenuto lo stesso Ministero del lavoro e di seguito l’Inps con mess. n. 6024/2015, cit.
81
Cass. 16 marzo 2009, n. 6342, in MGC, 2009, n. 3, 461.
82 Per l’ammontare del trattamento di disoccupazione per gli anni 2014-2017 in favore dei soci
lavoratori di cooperative, ex d.P.R. n. 602/1970, si veda il d.m. 18 febbraio 2014.
83 Non è considerata disoccupazione involontaria quella conseguente a risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro con datore di lavoro avente meno di 15 dipendenti, intervenuta in sede di conciliazione, ex art. 410 c.p.c., in quanto l’opposta previsione opera soltanto all’interno del
Al fondo di questa scelta v’è l’esigenza del “pareggio di bilancio”84
: una spesa per tutelare l’evento disoccupazione sganciata dall’entrata contributiva pro-capite non è più sostenibile (questa è anche la ragione della scomparsa dell’indennità di mobilità). E questo è il motivo che possiamo chiamare diretto.
Vi è però un secondo motivo, non dichiarato, ma che può individuarsi se si riflette su un fenomeno ormai molto diffuso: quello del lavoro nero o irregolare.
Se ci si chiede qual era, in passato, l’interesse del lavoratore alla regolarità contributiva, si arriva alla conclusione che non era quello alla tutela antinfortunistica, ovvero della disoccupazione, perché assicurate a prescindere; non anche alla tutela della salute, perché totalmente sganciata dal rapporto di lavoro a partire dal 1978; l’interesse era, quindi, solo quello connesso al trattamento pensionistico, totalmente collegato alla contribuzione.
Se si conviene con questa prospettazione, va fatta una ulteriore considerazione e cioè che la parabola calante dei rendimenti della contribuzione a livello pensionistico iniziata nel 1996 con la riforma Dini è ormai chiara; basta consultare i rendimenti della tabella A allegata alla l. 8 agosto 1995, n. 335, per rendersi conto che, specie chi non ha continuità contributiva (leggi “i precari”), matura pensioni vicine a quella sociale, così facendo venir meno, per tali soggetti, l’interesse alla contribuzione.
Di questa situazione hanno ormai piena contezza il Ministero del lavoro e l’Inps e pertanto, anche al fine di “riattivare” l’interesse dei lavoratori alla contribuzione, si è collegato il trattamento di disoccupazione alla contribuzione, così rimbalzando sull’evento disoccupazione ciò che prima caratterizzava l’evento vecchiaia.
Questa è quindi una ulteriore ragione che si affianca a quella del pareggio di bilancio, sopra citata.
L’interrogativo se il d.lgs. n. 22/2015 realizzi una maggiore tutela del lavoratore nel mercato del lavoro per bilanciare la minore tutela nel rapporto conseguente al d.lgs. n. 23/2015, tocca un tema complesso e cioè quello del
meccanismo disciplinato dall’art. 7 della l. n. 604/1966, come novellato dalla l. n. 92/2012. In tal senso cfr. nota Min. lav. 12 febbraio 2016.
84
Sulla profonda differenza tra il principio del “pareggio di bilancio” e quello dell’“equilibrio di bilancio” (quest’ultimo effettivamente costituzionalizzato sub art. 81 Cost.) si veda C. SALAZAR, La Costituzione, i diritti fondamentali, la crisi: «qualcosa di nuovo anzi d’antico»?,
in B. CARUSO, G. FONTANA (a cura di), op. cit., 95 ss., spec. 111 ss., secondo la quale
«l’introduzione del pareggio di bilancio in costituzione non significa che l’Italia sia costretta a rinnegare il particolare equilibrio tra libertà, uguaglianza e solidarietà che connota la forma repubblicana disegnata dal Costituente».
collegamento tra politica attiva e passiva del lavoro, sicché qualsiasi riforma della prima non può prescindere dalla riforma della seconda85.
Rispetto a questo tema, la riforma dei trattamenti di disoccupazione operata con il d.lgs. n. 22/2015 è esplicita su alcuni aspetti e rinvia ad altre disposizioni su altri.
Certamente nel citato decreto vi sono diverse norme formulate al negativo o sanzionatorie o antielusive, in ogni caso impositive di obblighi a carico del percettore86. Si può dire che le norme immediatamente applicabili abbiano una chiara connotazione limitativa o impositiva.
Nel decreto si fa poi rinvio al riordino dei servizi per l’impiego e della condizionalità, strumento principe di raccordo tra le politiche attive e passive87. La condizionalità, criticata da una parte anche autorevole della dottrina lavoristica88, non può infatti prescindere da uno sbocco lavorativo congruo e concretamente raggiungibile89 e da un sistema efficiente di servizi per l’impiego, caratteristica che evidentemente non hanno quelli “regionalizzati”, “figli del federalismo” prima amministrativo90
e poi legislativo91.
La l. n. 183/2014 e la riforma costituzionale in itinere di revisione del titolo V, parte II, Cost. (d.d.l. cost. S 1429-D) prevedono sul punto un nuovo
85 Cfr. sul punto B.CARUSO, Tre quesiti di L. Mariucci, in corso di pubblicazione in LD, 2016,
spec. 1 del dattiloscritto, secondo cui «La tutela nel mercato (che si giustifica per altro in sé) ha una diversità sia funzionale sia strutturale rispetto alla tutela nel rapporto; costituisce un sottosistema regolativo per nulla comparabile al sistema di protezione nel rapporto di lavoro subordinato, a sua volta, come recenti proposte inserite nella nuova legge di stabilità dimostrano, diverso dal subsistema normativo di protezione del lavoro autonomo».
86 Si vedano gli artt. 4, comma 3, 9, 10, 11, 15, commi 5, 11 e 12, e 16 del d.lgs. n. 22/2015.
87 Si vedano gli artt. 7, 15, comma 10, e 16, comma 5, del d.lgs. n. 22/2015.
88 Sull’incostituzionalità della condizionalità, per violazione dell’art. 4 Cost., in ragione di una
supposta eccessiva compressione della libertà di scelta professionale del cittadino si veda F.
LISO, Brevi appunti sugli ammortizzatori sociali, in AA.VV., Scritti in onore di Edoardo
Ghera, Cacucci, 2008, I, 597 ss.; M. CINELLI, Gli ammortizzatori sociali nel disegno di
riforma del mercato del lavoro. A proposito degli artt. 2-4, della legge n. 92/2012, in RDSS,
2012, n. 2, 237 ss.; A.VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, 2012, 110 ss.;
V.BAVARO, Reddito di cittadinanza, salario minimo legale e diritto sindacale, in RDSS, 2014,
n. 2, 169 ss.; G.ORLANDINI, op. cit., 74.
89
Così M. CINELLI, Il welfare tra risparmio e razionalizzazione. Gli interventi di riforma
2011-2012 su pensioni e ammortizzatori sociali, cit., 425, secondo il quale va evitato «un
impegno senza costrutto, una gratuita, aggiuntiva forma di penalizzazione per chi ha già subito la perdita del lavoro, una fonte di stress personale, oltre che di spese inutili per la finanza pubblica».
90 Si veda il d.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469.
accentramento in capo allo Stato delle competenze in materia di mercato del lavoro92, il che fornisce esaurientemente risposta al quesito posto sul bilanciamento tra tutela del lavoratore nel mercato e tutela nel rapporto di lavoro.
L’unificazione dell’aspi e della mini-Aspi nella Naspi, unitamente all’estensione di quest’ultima all’area del lavoro non subordinato, con la Dis-coll, consente di ritenere realizzato l’obiettivo della riforma di “unificazione e universalizzazione” dei trattamenti di disoccupazione.
Leggendo la regolamentazione della Naspi e, più nello specifico, i requisiti di accesso, colpisce la somiglianza strutturale tra questa e la mini-Aspi, specie con riferimento ai requisiti contributivi, anche se nel caso della Naspi essi sono rapportati al quadriennio93. Il legislatore ha, quindi, generalizzato il requisito contributivo previsto per la mini-Aspi, cioè per il trattamento di disoccupazione destinato ai precari. L’eccezione è così diventata la regola: la disciplina è strutturata per una potenziale platea di precari, nel senso di lavoratori non più occupati in modo stabile.
Questa impostazione non collide con il favor dimostrato per l’occupazione a tempo indeterminato (con il “contratto a tutele crescenti” e lo sgravio triennale della legge di stabilità per il 2015, ridotto a 2 anni dalla l. n. 208/2015), in quanto le discipline di incentivo normativo e contributivo al lavoro stabile hanno un orizzonte a “breve termine”, mentre quella sui trattamenti di disoccupazione guarda più lontano.
10. La tutela della disoccupazione involontaria nei decreti di settembre