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Lo stato di disoccupazione

Nel documento Lo jus variandi (pagine 161-169)

PARTE II: IL RIORDINO DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI SERVIZI PER IL LAVORO E DI POLITICHE ATTIVE

22. Lo stato di disoccupazione

Viene disciplinata ex novo l’acquisizione dello stato di disoccupazione270, in sostituzione dell’art. 2 del d.lgs. n. 181/2000.

Dopo aver individuato le misure di politica attiva del lavoro, il decreto passa a individuarne i destinatari, rispetto ai quali, variando la situazione di svantaggio, variano sia le misure sia gli obblighi e le connesse sanzioni, determinando quel quadro articolato di condizionalità di cui si diceva innanzi. Ai fini dell’acquisizione dello stato di disoccupazione vengono individuate le seguenti categorie di destinatari.

La prima è quella dei disoccupati, per tali intendendosi «i lavoratori privi di impiego che dichiarino, in forma telematica, al portale nazionale delle politiche lavoro di cui all’articolo 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con i servizi per l’impiego»271

.

I requisiti per l’acquisizione dello stato di disoccupazione sono, quindi, due e cioè l’essere privi di impiego (componente soggettiva) e la dichiarazione di immediata disponibilità c.d. DID (componente oggettiva).

Trattasi di definizione valida per qualsiasi riferimento oggi effettuato a quella contenuta nel d.lgs. n. 181/2000 (art. 1, comma 1, lett. c).

270 Sullo stato di disoccupazione, riformato dal Jobs Act, si veda R. SANTUCCI, Lo stato di

disoccupazione, in E.GHERA, D.GAROFALO (a cura di), op. cit.

271 Giova ricordare che in tale nuova categoria (ovviamente nuova a livello definitorio, ma non

anche come fenomeno) la norma poi soppressa riconduceva tre realtà: i lavoratori precari a

livello reddituale, e cioè quelli dipendenti o autonomi che producono nell’anno fiscale redditi

rientranti nella no tax area (art. 13 TUIR). Conviene precisare a tale riguardo che l’esclusione del prelievo fiscale è l’effetto delle detrazioni spettanti ai sensi del citato art. 13, che determinano il mancato prelievo fiscale, ove il reddito prodotto non superi gli euro 8.000 per lavoro dipendente e parasubordinato (art. 13, comma 1, lett. a) e gli euro 4.800 per lavoro autonomo (art. 13, comma 5, lett. a); i lavoratori a tempo parziale, con orario di lavoro inferiore al 70% dell’orario normale di lavoro; i lavoratori in esubero con riduzione di

orario, conseguente a sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per integrazione

salariale, contratto di solidarietà difensivo, intervento dei fondi di solidarietà di cui all’atto Camera 179, quando la riduzione sia superiore al 50% dell’orario di lavoro, calcolata in un periodo di 12 mesi. Solo per le prime due categorie lo stato di disoccupato parziale conseguiva alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e alla formazione.

Se l’essere disoccupato consente l’accesso ai servizi per il lavoro, ciò non significa che a questi ultimi non possa accedere anche un lavoratore già occupato, che ricerchi una occupazione più confacente alle proprie aspettative, nel rispetto della convenzione ILO n. 122/1964, del principio di non discriminazione e del diritto di accedere gratuitamente ad un servizio di collocamento, sancito dall’art. 29 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Ovviamente, v’è una priorità, quanto meno sotto il profilo temporale, in favore dei disoccupati.

Circa la validità nel tempo dello stato di disoccupazione, vanno segnalate le ipotesi in cui lo stesso rileva nel momento della registrazione ad un programma, o all’inizio del servizio, a nulla rilevando la perdita nei momenti intermedi272.

Lo stato di disoccupazione è sospeso in caso di lavoro subordinato di durata fino a sei mesi (comma 3).

La norma non ripropone il dualismo ingenerato dall’art. 4 del d.lgs. n. 181/2000, e cioè il diverso effetto sullo stato di disoccupazione di una occupazione precaria, o non stabile, a seconda che la si misura in termini temporali o reddituali; la abrogata disposizione fissava due limiti, uno reddituale (lett. a), e l’altro temporale (lett. d), al di sotto dei quali si aveva la conservazione dello stato di disoccupazione (per quello reddituale) o la sospensione (per quello temporale). Con riferimento al primo limite, l’art. 4, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 181/2000, allo scopo di incentivare l’attivazione dei disoccupati, prevedeva la conservazione dello stato di disoccupazione in caso di lavoro precario, per tale intendendosi quello che produceva un reddito riconducibile alla “no tax area”, cioè non imponibile fiscalmente (8mila euro annui per lavoro subordinato e parasubordinato; 4.800 euro annui per lavoro autonomo). Ovviamente, per il periodo di lavoro non competeva il trattamento di disoccupazione, salvo cumulo.

Unanime è stato l’apprezzamento per tale disposizione che incentivava fortemente all’attivazione.

La legge Fornero l’aveva abrogata273

e commentando tale scelta, concettualmente connessa alla eliminazione della indennità di disoccupazione con requisiti ridotti e alla introduzione della mini-Aspi, si ebbe a dire che era mutato l’atteggiamento del legislatore nei confronti del lavoro precario, accettato al punto da essere parificato, negli effetti, a quello stabile.

272 Cfr. circ. Min. lav. n. 34/2015, cit.

L’abrogazione dell’art. 4, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 181/2000 aveva però suscitato molte critiche274 con l’effetto di indurre il Governo Letta a ripristinarla275.

La riforma Renzi, con un ennesima dimostrazione di continuità con la riforma Fornero, ha definitivamente soppresso tale disposizione, abrogando l’intero d.lgs. n. 181/2000, con l’unica eccezione degli artt. 1-bis e 4-bis, che riguardano gli adempimenti posti a carico del datore di lavoro.

Il d.lgs. n. 150/2015 prevede, infatti la sola ipotesi della sospensione dello stato di disoccupazione per rapporti di lavoro subordinato di durata fino a sei mesi276.

Invero la disposizione in commento va letta in combinato disposto con l’art. 9, commi 1 e 2, d.lgs. n. 22/2015, che ripropone, sia pure con riguardo alla NASpI, le tre ipotesi già previste dall’art. 4, d.lgs. n. 181/2000, e cioè il mantenimento del diritto alla prestazione, sia pure ridotta nei termini di cui all’art. 10, nel caso di lavoro precario che produca, cioè, un reddito annuale escluso da imposizione fiscale (comma 2); la sospensione della prestazione per rapporti di lavoro di durata non superiore a sei mesi (comma 1, primo e secondo capoverso); la decadenza dalla prestazione per rapporti di lavoro subordinato con reddito annuale superiore al minimo escluso da imposizione fiscale277.

Ovviamente al riflesso dell’occupazione sulla prestazione si accompagna quello sullo stato di disoccupazione, costituendo quest’ultimo il presupposto della prima.

A questo punto c’è da porsi l’interrogativo se tale scelta del legislatore valga anche per i disoccupati non percettori di trattamento di disoccupazione e, quindi, se i primi due commi dell’art. 9, d.lgs. n. 22/2015, abbiano una valenza generale che trascende la percezione della NASpI, andando ad integrare la disciplina dell’art. 19, d.lgs. n. 150/2015.

Si propende per una risposta affermativa, in quanto quella negativa creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento.

La seconda categoria di destinatari è quella dei lavoratori subordinati “a

rischio di disoccupazione”.

Si tratta di lavoratori che hanno ricevuto il preavviso di licenziamento e che allo scopo di accelerare la presa in carico possono registrarsi al portale

274 M.RICCI, op. cit., 119 ss., spec. 123 ss.

275 Si veda l’art. 7, commi 5, lett. d, n. 2, e 7, del d.l. n. 76/2013.

276 Si veda l’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 150/2015.

277 Si veda Cass. 18 gennaio 2016, n. 705, con nota di C. GAROFALO, Il lavoratore part timer:

nazionale delle politiche attive del lavoro, sin dalla ricezione della comunicazione di licenziamento e in pendenza del periodo di preavviso278. Allo stato non è chiaro se, specie in caso di preavviso lungo, il lavoratore possa già essere coinvolto in misura di attivazione e in caso affermativo se ciò possa giustificare l’assenza dal lavoro; si ritiene che ciò sia possibile, considerato che la contrattazione collettiva prevede l’obbligo del datore di lavoro di accordare al lavoratore adeguati permessi, non inferiori ad un certo numero di ore giornaliere, per consentirgli la ricerca di altra occupazione279. La terza categoria è quella dei disabili, ai quali come già detto si applica tutta la disciplina in tema di politiche attive del lavoro, «in quanto compatibile»280. Per tutte e tre le categorie, i servizi per l’impiego, dopo la registrazione e sulla base delle informazioni fornite, provvedono ad assegnare l’utente ad una classe di profilazione, onde valutarne il livello di occupabilità, secondo una procedura automatizzata di elaborazione dati in linea con i migliori standard internazionali (comma 5). La classe di profilazione è aggiornata automaticamente ogni 90 giorni, tenendo conto della durata della disoccupazione e delle altre informazioni raccolte mediante le attività di servizio (comma 6).

L’attribuzione della classe di profilazione costituisce uno snodo essenziale ai fini della collocazione o ricollocazione del disoccupato nel mercato del lavoro, in quanto dovrà orientare l’azione dei servizi per l’impiego281

. Sennonché, con una norma a regime la classe di profilazione viene ancorata alle informazioni fornite dall’utente e non anche a quelle desumibili dal Siupol. Se l’utente dichiarerà cose non vere ciò condizionerà la profilazione; viene da chiedersi perché la norma non ancori la profilazione ai dati risultanti dalla scheda anagrafico-professionale e, quando realizzato, al fascicolo elettronico del lavoratore (FEL).

278

In sintonia con tale previsione (ma si ha motivo di ritenere in modo del tutto causale ed inconsapevole) è Cass. 27 agosto 2015, n. 17248, in LG, 2016, n. 1, 48, che in una causa che riguardava Ferrovie dello Stato ha escluso dal computo del TFR l’indennità sostitutiva del mancato preavviso ex art. 2121 c.c., sostenendo che essa non è riconducibile ex art. 2120 c.c. al rapporto di lavoro, venendo corrisposta dopo che esso è cessato! Si è così completata la parabola discendente di questo istituto, già qualificato dalla Cassazione come di natura obbligatoria e non ancora reale.

279

Si veda ad es. il CCNL Esattoriali 4 novembre 2005, art. 74.

280 Sul punto cfr. circ. Min. lav. n. 34/2015, cit.

281 La conferma dell’importanza della classe di profilazione viene fornita dalla graduazione in

relazione alla stessa del superbonus occupazione – trasformazione tirocini, istituito nell’ambito del programma Garanzia giovani con il d.d. 16 febbraio 2016 (in specie si veda l’allegato 1).

La profilazione effettuata sulla base di quanto dichiarato dall’utente, riporta al 2000, quando si passò dall’iscrizione alle liste di collocamento all’anagrafe dei lavoratori, cioè alla scheda anagrafico-professionale.

L’anacronismo (estremamente pernicioso) può essere superato, estendendo alla profilazione iniziale l’utilizzo delle informazioni raccolte mediante le attività di servizio previste per l’aggiornamento della classe.

La DID può essere sottoscritta presso il CPI o rilasciata ai sistemi informativi regionali esistenti, nonché all’Inps, ove presentata domanda di trattamento di disoccupazione; in quest’ultimo caso la registrazione sarà resa disponibile per i sistemi regionali attraverso il canale di cooperazione applicativa282.

V’è, infine, una ulteriore categoria di soggetti, individuati dalla disposizione, che sono i non occupati, esclusi dall’obbligo della registrazione, ove interessati a prestazioni di carattere sociale, condizionate alla non occupazione (alloggi popolari, esenzione ticket, ecc.), verificabile in via telematica mediante accesso delle pubbliche amministrazioni interessate ai dati in possesso dell’Anpal, sulla base di specifiche convenzioni283

.

La previsione riecheggia quella del 2007 che eliminò l’obbligo di iscrizione nelle liste di collocamento dei disabili per chi fosse interessato esclusivamente all’assegno mensile di assistenza284

.

Il Ministero ha precisato che la nozione di “non occupazione” può essere ricollegata anche a prestazioni di attività lavorativa di scarsa intensità, a tal fine potendosi richiamare quanto previsto in tema di godimento della Naspi285. La norma convince sul piano funzionale, per la sua finalità deflattiva, molto meno, anzi per nulla, sul piano della politica sociale, non comprendendosi perché la collettività debba accollarsi l’onere di fornire assistenza a chi non occupato dichiari di non voler uscire da tale condizione perché non interessato al lavoro.

282 Sul punto cfr. circ. Min. lav. n. 34/2015, cit.

283 Sul punto si veda R. SANTUCCI, op. cit., § 5, il quale, pur apprezzando la ratio della

disposizione, evidenzia che «Potrebbe risultare fuori luogo tuttavia non chiedere, in determinate condizioni, la disponibilità del beneficiario ad impegnarsi allo svolgimento di prestazioni lavorative o a stipulare un patto di servizio che lo possa far uscire dalla condizione di beneficiario di misura di assistenza. In questo caso la dichiarazione di immediata disponibilità potrebbe essere considerata un onere e non un obbligo».

284 Si veda l’art. 1, comma 36, della l. n. 247/2007, che abrogò il comma 249 dell’art. 1, l. n.

662/1996.

285 Si vedano gli artt. 9 e 10 del d.lgs. n. 22/2015, richiamati dalla circ. Min. lav. n. 34/2015,

23. Il PSP

A livello terminologico va detto che per il PSP il d.lgs. n. 150/2015 riprende l’espressione utilizzata in alcuni provvedimenti adottati dalle Regioni e dalle PATB, in attuazione del d.lgs. n. 181/2000286, con l’unica variante che la personalizzazione del patto diventa l’elemento costitutivo essenziale dello stesso.

Il PSP apparentemente è funzionale alla conferma dello stato di disoccupazione287, ottenuto attraverso la DID, e non anche alla conservazione dello stesso, viceversa affidata ai meccanismi di condizionalità (infra).

Prima facie, tale finalizzazione rimanda alla vecchia normativa sul

collocamento che prevedeva l’obbligo dei soggetti iscritti nelle liste di collocamento «di dichiarare, entro trenta giorni dalla fine del mese nel quale fu fatta la iscrizione o la successiva conferma, la permanenza del loro stato di disoccupazione»; in mancanza scattava la cancellazione dalla lista di collocamento288.

Venute meno le liste di collocamento e l’iscrizione nelle stesse, sostituite dalla DID, è venuto meno tale adempimento a carico del disoccupato. Del resto il d.lgs. n. 181/2000, dopo aver disciplinato la DID (art. 2), affidava al CPI la verifica dell’effettiva permanenza dello stato di disoccupazione sulla base delle comunicazioni obbligatorie a carico dei datori di lavoro o in relazione al rispetto delle misure di attivazione concordate con il disoccupato (artt. 2, comma 4, e 4).

L’art. 20 del d.lgs. n. 150/2015 ripropone la conferma dello stato di disoccupazione collegata all’iniziativa del disoccupato, aggiungendo subito dopo che, in mancanza, l’iniziativa passa ai CPI. Quindi, la norma è oggettivamente scritta male discutendosi non di conferma, ma di mantenimento dello stato di disoccupazione, tant’è vero che se si sostituisse

286 I provvedimenti delle PATB (rispettivamente d.G.P. Trento 4 luglio 2003, n. 1545, e d.P.P.

Bolzano 17 gennaio 2005, n. 11) parlano proprio di patto di servizio; la d.G.R. Veneto 28 giugno 2002, n. 1725, parla di piano di azione individuale; la d.G.R. Liguria 11 luglio 2003, n. 811, utilizza l’espressione “patto per la ricerca occupazionale”.

287

Secondo A.OLIVIERI, La “sicurezza” declinata nel Jobs Act II tra funzione promozionale e

punitiva, cit., § 3, il nuovo patto di servizio «rappresenta un elemento costitutivo dello stato di

disoccupazione ed è questa la novità più rilevante, necessario per la conservazione e la conferma dello stesso stato, tant’è che la mancata comparizione del lavoratore presso i CPI, ove non giustificata, precluderà il godimento delle prestazioni». In questo modo «il patto di servizio si inserisce nel rapporto giuridico previdenziale, rafforzandolo».

alla parola “confermare” quella di “mantenere” il contenuto della norma sarebbe perfettamente coerente con quest’ultima finalità.

A ciò si aggiunga che, come prima detto, il meccanismo della conferma era funzionale alla gestione burocratica del collocamento tramite le liste ordinarie, ma a nulla serve in un sistema proiettato all’attivazione.

In sintesi, il disoccupato se si presenta e sottoscrive il PSP mantiene lo stato di disoccupazione, in mancanza lo perde.

Anche in relazione ai termini per la sottoscrizione del PSP, la norma non è ben definita, in quanto prevede che ove il disoccupato non si presenti presso il CPI entro 30 giorni dalla data in cui ha reso la DID, viene convocato dai CPI entro il termine che sarà stabilito con il decreto ministeriale previsto dall’art. 2, comma 1, e cioè dal decreto attraverso il quale il Ministro del lavoro può determinare i tempi di convocazione289, nonché i tempi e le modalità di definizione del relativo percorso di inserimento o reinserimento lavorativo, prevedendo opportuni margini di adeguamento da parte di Regioni e PATB (supra).

L’ipotesi che il termine per la convocazione sia di sessanta giorni in base alla previsione contenuta nel comma 4 è fallace, in quanto tale termine afferisce solo alla possibilità accordata al disoccupato di accedere alla procedura telematica predisposta dall’Anpal, al solo fine di ottenere l’AIR; ma ciò non significa che il termine di convocazione non possa superare i sessanta giorni. L’oggetto del PSP è l’attivazione del soggetto che cerca lavoro290

, in quanto mai occupato, ovvero espulso dal mercato del lavoro, ovvero beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati di istruzione – formazione professionale – lavoro: questo è il criterio direttivo enunciato nell’art. 1, comma 4, lett. v, della l. n. 183/2014.

La mancata sottoscrizione del PSP comporta la perdita dello stato di disoccupazione, nonché dei trattamenti di disoccupazione ove goduti. Viceversa, a differenza di quanto previsto dall’art. 4 del d.lgs. n. 181/2000, non è esplicitamente sanzionata con la perdita dello stato di disoccupazione, la mancata attivazione, cioè la mancata partecipazione alle misure proposte dal CPI. È presumibile che tale sanzione venga prevista dai provvedimenti regionali che verranno emanati in attuazione della riforma.

289 Ibidem.

290 Secondo A.OLIVIERI, La “sicurezza” declinata nel Jobs Act II tra funzione promozionale e

punitiva, cit., § 3, «la funzione del patto di servizio personalizzato non cambia: chiarire gli

impegni del lavoratore disoccupato nella ricerca di un lavoro con l’obiettivo della sua responsabilizzazione e attivazione verso il reinserimento nel mercato del lavoro».

Una sanzione a carico degli addetti al CPI che non realizzino il percorso di attivazione nei tempi previsti dalla norma non è espressamente disciplinata, a differenza di quanto è previsto a carico del disoccupato. Solo nel caso di mancata adozione dei provvedimenti di decurtazione o decadenza della prestazione di disoccupazione o di CIG è prevista una responsabilità disciplinare e contabile del funzionario; al contrario, ove adottati detti provvedimenti sanzionatori, sono previsti incentivi con utilizzo delle risorse risparmiate a seguito degli stessi291.

Stante la qualificazione della norma sul PSP come LEP292, il legislatore individua il contenuto minimo del patto, che deve contenere “almeno” l’individuazione di un responsabile delle attività; la definizione del profilo personale di occupabilità, secondo le modalità predisposte dall’Anpal; la definizione degli atti di ricerca attiva, che devono essere compiuti e la tempistica degli stessi; la frequenza ordinaria di contatti con il responsabile delle attività; le modalità con cui la ricerca attiva del lavoro è dimostrata al responsabile delle attività.

Inoltre, nel patto deve essere formalizzata la disponibilità del disoccupato a molteplici iniziative e cioè:

a. partecipazione a iniziative e laboratori per il rafforzamento delle competenze nella ricerca attiva di lavoro quali, in via esemplificativa, la stesura del curriculum vitae e la preparazione per sostenere colloqui di lavoro o altra iniziativa di orientamento;

b. partecipazione a iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o altra iniziativa di politica attiva o di attivazione;

c. accettazione di congrue offerte di lavoro, come definite ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n. 150/2015, rivalorizzando il requisito professionale293.

Quindi, il PSP si basa sul rapporto simbiotico tra disoccupato e responsabile. Tale conformazione del PSP, letta in positivo, dovrebbe conferire effettività alla politica attiva del lavoro; in negativo potrebbe produrre consistenti risparmi di spesa pubblica, in quanto i percettori di trattamenti di disoccupazione che lavorano in nero non saranno in grado di reggere tali impegni.

Analizzando le varie disposizioni in tema di attivazione emerge che il PSP ha una struttura di carattere generale, valida per tutti gli utenti dei CPI, cioè i soggetti che cercano lavoro, in quanto mai occupati, ovvero espulsi dal

291 Cfr. artt. 21, commi 11, 12, 13, e 22, commi 4 e 5, d.lgs. n. 150/2015.

292 P.PASCUCCI, op. cit., § 10.

293 Così A.OLIVIERI, La “sicurezza” declinata nel Jobs Act II tra funzione promozionale e

mercato del lavoro, ovvero beneficiari di ammortizzatori sociali (art. 20); al contempo ci sono ipotesi specifiche, anche sotto il profilo della tempistica294, destinate ai percettori di trattamenti di Naspi, Dis-coll, mobilità (art. 21, comma 2), di Asdi (art. 21, comma 3), di CIG o indennità a carico dei fondi (art. 22, comma 1), ed infine, a quelli che usufruiscono dell’AIR (art. 23, commi 5 e 6), disponendosi in quest’ultimo caso la sospensione del PSP già stipulato con il CPI.

Quindi, non una pluralità di PSP, ma un patto unico con varianti in ragione del sostegno goduto.

Nel documento Lo jus variandi (pagine 161-169)

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