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Il modello di politica attiva del lavoro nella riforma Renzi: occupabilità versus attivazione

Nel documento Lo jus variandi (pagine 190-196)

PARTE II: IL RIORDINO DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI SERVIZI PER IL LAVORO E DI POLITICHE ATTIVE

29. Il modello di politica attiva del lavoro nella riforma Renzi: occupabilità versus attivazione

Gli artt. 19, 20 e 25 del d.lgs. n. 150/2015 sostituiscono le disposizioni dell’abrogato d.lgs. n. 181/2000 che, occupatosi primo della politica attiva del lavoro, era ormai divenuto inadeguato rispetto ad una gestione unitaria e coordinata delle politiche attiva e passiva del lavoro, nonostante il restyling del 2012342.

Tentativi in tale direzione ve ne sono stati, ma tutti connotati dalla frammentarietà, soprattutto sul versante della condizionalità, e dall’irrisolto dilemma se ad occuparsene dovessero essere i CPI, i servizi accreditati o l’Inps (si veda il d.l. n. 185/2008).

Il d.lgs. n. 150/2015, quanto meno nelle intenzioni, sembra aver risolto tali problemi, rappresentando il primo intervento legislativo organico che salda politiche attive e passive del lavoro, donde l’inevitabile superamento del d.lgs. n. 181/2000.

occupazione, è come dire che se si allenassero tutti i cani randagi a comportarsi come segugi, la selvaggina sarebbe immediatamente abbondante».

L’analiticità della disciplina non lascia molto spazio all’intervento regolativo delle Regioni, anche se alcune esperienze regionali sembrano aver ispirato il legislatore della riforma343, con l’effetto di “premiare” le Regioni virtuose, che non faticheranno ad adeguarsi al nuovo quadro normativo, e “sanzionare” quelle non virtuose, che dovranno decisamente cambiare passo rispetto all’ultimo quindicennio.

Sotto questo aspetto il d.lgs. n. 150/2015 si pone in linea di continuità con la legge Fornero, confermando e sviluppando alcuni principi ivi enunciati.

Si allude per un verso alle disposizioni contenute nell’art. 4, commi 34-39, della l. n. 92/2012 (l’abrogazione ad opera del d.lgs. n. 150/2015 riguarda i commi 40-45), e per altro verso alla implementazione dei criteri direttivi della delega ex art. 1, commi 30 e 31, l. n. 247/2007 (art. 4, commi 48-50), formalmente mai attuata nonostante le varie reiterazioni, ma di fatto realizzata proprio con il d.lgs. n. 150/2015.

Partendo da questi ultimi, cioè dai criteri direttivi, era prevista l’«attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivare la ricerca attiva di una nuova occupazione» (lett. e-bis), nonché la formazione declinata in vario modo a seconda dei destinatari (giovani lett. e-ter; lavoratore lett. e-quater; espulsi lett. e-quinquies; soggetti difficilmente collocabili lett. e-sexies).

Quindi una riforma che avrebbe camminato sulle due gambe dell’attivazione e della formazione.

Il d.lgs. n. 150/2015 ha recepito tale indicazione, affiancando all’occupabilità l’attivazione per l’occupazione.

Sul versante dei servizi per l’impiego, ora messi dal d.lgs. n. 150/2015 sotto tutela dell’Anpal, si registra un sistema misto di “carota” e di “bastone”344

, prevedendosi nella legge Fornero da un lato una ripartizione premiale delle risorse FSE, legata alle prestazioni di politiche attive e servizi per l’impiego (art. 4, comma 34); dall’altro lato, un controllo circa l’adeguatezza dei servizi erogati rispetto ai LEP, esercitato attraverso l’inserimento nella banca dati Inps (art. 4, comma 35) dei dati relativi alle azioni di politica attiva del lavoro e di attivazione svolte nei confronti dei beneficiari di ammortizzatori sociali (art. 4,

343

Si pensi alle l.r. Friuli Venezia Giulia n. 18/2005; Emilia-Romagna n. 17/2005; Lombardia n. 22/2006 e Toscana n. 32/2002, modificata dalla l. n. 20/2005.

344 Prima dell’attuale (condiviso) ripensamento (cfr. B.CARUSO, Nuove traiettorie del diritto

del lavoro nella crisi europea. Il caso italiano, cit.) auspicava «più la carota che il bastone»,

nella predisposizione delle nuove politiche attive del lavoro, B. CARUSO, Occupabilità,

formazione e «capability» nei modelli giuridici di regolazione dei mercati del lavoro, in DLRI,

comma 36). Queste ultime disposizioni non sono state abrogate ma vanno ovviamente coordinate con il nuovo quadro regolativo, specie a livello di Siupol.

Il d.lgs. n. 150/2015, ha recepito tali criteri direttivi anche se il quadro normativo di riferimento per la riforma dei servizi per il lavoro non può ritenersi ancora completo, specie con riferimento all’emanando decreto ministeriale, ex art. 2, d.lgs. n. 150/2015, con il quale il Ministro del lavoro, previa intesa in sede di Conferenza Permanente, dovrà, per un verso, fissare le linee di indirizzo triennali e gli obiettivi annuali dell’azione in materia di politiche attive, con particolare riguardo alla riduzione della durata media della disoccupazione, ai tempi di servizio e alla quota di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro; per altro verso, specificare i LEP che devono essere erogate su tutto il territorio nazionale.

A tale decreto è altresì rimessa, ma solo in via eventuale, la determinazione dei tempi per la convocazione di tutti gli utenti per i servizi per il lavoro, unitamente alle modalità di definizione del percorso di inserimento o reinserimento lavorativo, con opportuni margini di adeguamento da parte delle singole Regioni.

In attesa del completamento di tale quadro normativo è possibile, già sulla base delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 150/2015, individuare il modello di politica attiva del lavoro prescelto dal Jobs Act per il contrasto alla disoccupazione.

L’ipotesi che la riforma si incanalasse nel solco di quelle precedenti, specie del 2003, e percorresse la pista dell’accrescimento dell’occupabilità345

è stata decisamente scartata.

Il Governo ha dovuto prendere atto che l’inefficienza dei servizi per l’impiego e del sistema formativo regionalizzati hanno reso impervia e poco praticabile la strada dell’occupabilità: per rendere il disoccupato occupabile e quindi ricollocabile occorre conoscere ed assecondare i bisogni del mercato, non solo nazionale, e riorientare verso di essi le competenze del disoccupato346.

345 Sull’occupabilità, intesa come capacità non solo di rispondere alla domanda di lavoro con

un’offerta qualificata (impiegabilità nel mercato), ma anche e soprattutto, di cercarsi il lavoro, assicurando uguali punti di partenza (garanzia dell’“essere”), ma non di arrivo (garanzia

dell’“avere”), si veda L. GALLINO, op. cit., 222; T. TREU, Il diritto del lavoro: realtà e

possibilità, cit., spec. 489; M.BIAGI, Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffrè, 2001, spec. 202-203 e 222. Sull’origine “comunitaria” dell’occupabilità, quale pilastro della Strategia europea

dell’occupazione (c.d. SEO), si veda D. GAROFALO, Formazione e lavoro tra diritto e

contratto. L’occupabilità, cit., cap. II.

Partendo da tale constatazione il Jobs Act ha imboccato una strada diversa347, accentuando il coinvolgimento del disoccupato che, nel meccanismo di condizionalità congegnato dalla riforma, diventa il prius rispetto alle iniziative dei servizi per il lavoro. A tale riguardo il dato normativo è inequivoco.

Il disoccupato deve rendere una DID allo svolgimento di attività lavorative e a partecipare alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il CPI348. Il disoccupato viene assegnato ad una classe di profilazione allo scopo di valutarne, ma non anche accrescerne, il livello di occupabilità349.

Nel PSP deve essere definito il profilo personale di occupabilità, come dato già in possesso del disoccupato350.

Sempre nel PSP devono essere definiti gli atti di ricerca attiva351, nonché le modalità con cui deve essere dimostrata la ricerca attiva di lavoro352; ancora, nel PSP deve prevedersi il rafforzamento delle competenze nella ricerca attiva di lavoro353; infine, nel PSP il disoccupato si obbliga ad accettare le congrue offerte di lavoro354.

Questi concetti ritornano nelle successive disposizioni in tema di condizionalità355, assegno di ricollocazione356, congrua offerta di lavoro357 e attività di pubblica utilità358.

Modesta è la componente formativa del percorso di reinserimento nel mercato del lavoro, significativamente più accentuata per i percettori di CIG nel testo del d.lgs. n. 148/2015359, ma invero fortemente marginalizzata nel decreto ministeriale che detta i criteri per l’approvazione dei programmi di CIGS; a mero titolo di esempio si consideri che il programma per riorganizzazione

347 Di opinione contraria sembra essere M.D.FERRARA, op. cit., 652, che, pur cogliendo la

tensione verso la professionalità posseduta dal lavoratore nella definizione di “congrua offerta di lavoro”, sostiene che «l’occupabilità a qualsiasi condizione sta diventando un corollario dell’attivazione a tutti i costi», in tal modo combinando due fattori che nel Jobs Act sono in decisa antitesi.

348 Si veda l’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 150/2015.

349 Si veda l’art. 19, comma 5, del d.lgs. n. 150/2015.

350 Si veda l’art. 20, comma 2, lett. b, del d.lgs. n. 150/2015.

351 Si veda l’art. 20, comma 2, lett. c, del d.lgs. n. 150/2015.

352 Si veda l’art. 20, comma 2, lett. e, del d.lgs. n. 150/2015.

353

Si veda l’art. 20, comma 3, lett. a, del d.lgs. n. 150/2015.

354

Si veda l’art. 20, comma 3, lett. c, del d.lgs. n. 150/2015.

355 Si vedano gli artt. 21 e 22 del d.lgs. n. 150/2015.

356 Si veda l’art. 23 del d.lgs. n. 150/2015.

357 Si veda l’art. 25 del d.lgs. n. 150/2015.

358 Si veda l’art. 26 del d.lgs. n. 150/2015.

«può prevedere attività di formazione» e che gli investimenti per la formazione sono anch’essi «eventuali»360

.

Nulla si dice per i programmi per crisi aziendale e per contratto di solidarietà, oltre che per l’intervento in favore dell’indotto; è invece prevista una attività di formazione e riqualificazione professionale all’interno dell’intervento CIGS per i partiti politici, pur se parlare di riqualificazione professionale di questi “lavoratori” appare stonato per l’assenza del dato di partenza (professionalità). Ma quel che più preme evidenziare è la configurazione statica dell’occupabilità, assunta come dato già esistente e non anche in progress, che lascia intravedere un uso improprio dell’espressione, intesa non già come acquisizione di nuove e diverse competenze per il mercato, ma come complesso delle competenze già possedute; si pensi alle disposizioni sulla profilazione (da aggiornare automaticamente ogni novanta giorni, tenendo conto della durata della disoccupazione)361 e sull’AIR che è graduato «in funzione del profilo personale di occupabilità» e spendibile «al fine di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro»362, in cui il percorso di riqualificazione professionale è «eventuale»363, con l’onere per il disoccupato di accettare l’offerta di lavoro congrua rispetto «alle sue capacità, aspirazioni e possibilità effettive, in rapporto alle condizioni del mercato del lavoro nel territorio di riferimento, nonché al periodo di disoccupazione»364. Anche il coinvolgimento in APU punta al mantenimento e allo sviluppo delle competenze acquisite attraverso iniziative di lavoro e non anche formative365. Insomma, dopo un quindicennio (prendendo come punto di partenza il d.lgs. n. 181/2000), verificata la non percorribilità dell’occupabilità nella sua accezione universalmente condivisa (supra), la politica attiva del lavoro è stata riorientata verso l’attivazione del disoccupato, non affidata alla sua buona volontà366, bensì ad un robusto apparato sanzionatorio367. Evoluzione come

360 Si veda l’art. 12, comma 1, lett. b e c, del d.m. n. 94033/2016.

361

Si veda l’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 150/2015.

362 Si veda l’art. 23, commi 1, 4 e 7, lett. c, del d.lgs. n. 150/2015.

363 Si veda l’art. 23, comma 5, lett. b, del d.lgs. n. 150/2015.

364 Si veda l’art. 23, comma 5, lett. d, del d.lgs. n. 150/2015.

365 Si veda l’art. 26 del d.lgs. n. 150/2015.

366 Ma si veda sul punto V.FILÌ, Il riordino della normativa sui servizi per l’impiego, cit., § 1

del dattiloscritto, secondo la quale dalla lettura delle disposizioni del Jobs Act «emerge comunque l’impegno a coinvolgere e responsabilizzare chi riceve un sostegno pubblico, secondo l’antico proverbio “aiutati che Dio ti aiuta”, per superare le cattive e radicate prassi, riassumibili in un proverbio forse ancora più antico: “l’occasione fa l’uomo ladro”».

Sull’incidenza, poi, dello stato di disoccupazione sulla psiche del lavoratore si veda A.SEN,

Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, 2000, 27 e 99,

detto già annunciata dalla riforma Fornero che sia nel meccanismo di condizionalità368 sia nella modifica della norma delega sul riordino dei servizi per l’impiego369

evoca l’attivazione del disoccupato; anche in questo caso la riforma Fornero ha fatto da apripista a quella Renzi.

Il passaggio dall’occupabilità all’attivazione sancisce un radicale rovesciamento del rapporto tra servizio per l’impiego e disoccupato, sottostante al PSP, valorizzando l’iniziativa di quest’ultimo e penalizzandone l’inerzia, mentre, viceversa, l’occupabilità valorizzava, pur con il concorso del disoccupato, l’iniziativa dei primi, ma senza penalizzare l’inerzia o l’inefficacia dei servizi370

, dal che è scaturito il riaccentramento delle competenze.

In ultima analisi la riforma cammina sulle gambe della competenza statale e dell’attivazione371

.

opera dello Stato possono compensare» ma «è anche causa di effetti debilitanti di vasta portata sulla libertà, l’iniziativa e la capacità della persona», indebolendo «la capacità di cavarsela da sola, la fiducia in sé e la salute psicologica fisica». Per alcune significative riflessioni sulla particolare condizione della persona nel mercato del lavoro con riferimento sia all’utente, sia

agli operatori dei servizi per l’impiego, si veda S.B.CARUSO, M.CUTTONE, op. cit., spec. 68

ss.

367 M.D. FERRARA, op. cit., 654, afferma che la responsabilità individuale è diventata «un

valore di sistema»; adde M.RICCI, op. cit., 119 ss., spec. 124.

368 Si veda l’art. 4, comma 41, della l. n. 92/2012.

369 Si veda l’art. 4, comma 48, lett. c, della l. n. 92/2012.

370

Sulla lacunosità del profilo relativo ai rimedi utilizzabili in caso di mancata o inefficace

prestazione dei servizi, già nella riforma Fornero, si veda A.ALAIMO, Politiche attive, servizi

per l’impiego e stato di disoccupazione, cit., spec. 651 e 664. A sua volta M.D.FERRARA, op.

cit., 654, estende anche all’attuale disciplina dei servizi per il lavoro la «carenza della

doverosità della rispettiva erogazione», addirittura parlando di «de-costituzionalizzazione»

della materia. Adde A. OLIVIERI, La “sicurezza” declinata nel Jobs Act II tra funzione

promozionale e punitiva, cit., § 2, secondo cui «Agli impegni assunti dal lavoratore

dovrebbero corrispondere, tendenzialmente, obblighi speculari e di pari livello da parte delle strutture pubbliche, che non possono limitarsi alla semplice erogazione di colloqui di orientamento o alla registrazione del curriculum, ma dovrebbero offrire servizi congrui rispetto alla reale disponibilità al lavoro dichiarata dall’utente».

371 Sull’idoneità dell’attivazione a contrastare il fenomeno della disoccupazione nutriva grosse

perplessità B. CARUSO, Occupabilità, formazione e «capability» nei modelli giuridici di

regolazione dei mercati del lavoro, cit., 106, secondo cui «Le politiche di contrasto alla

disoccupazione devono pertanto essere considerate non soltanto nell’ottica di trasferimenti monetari (politiche passive) ma neppure soltanto nell’ottica dell’attivazione e responsabilizzazione dell’individuo (politiche di workfare). Strategie di contrasto alla disoccupazione nell’ottica delle capability, sono molto più complesse e sofisticate: non puntano solo all’efficienza e all’equilibrio del mercato; mirano ad un’occupazione di qualità

Quanto un modello di politica per il lavoro sia in grado di risolvere il generale problema della disoccupazione attraverso un avvicinamento tra domanda e offerta di lavoro è tutto da verificare; resta comunque la constatazione che il Governo Renzi tra il modello performante dell’occupabilità372 e quello di più basso profilo dell’attivazione ha scelto quest’ultimo.

30. La conformità del modello integrato di politica per il lavoro alla

Nel documento Lo jus variandi (pagine 190-196)

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