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L’autonomia statutaria nella Costituzione repubblicana L’avvento della Costituzione nel 1948 rappresentò

Nel documento COMUNI, PROVINCE EAUTONOMIA STATUTARIA (pagine 29-34)

l’occasio-ne lungamente attesa per operare una modificaziol’occasio-ne dell’assetto delle amministrazioni locali, che fosse - se non del tutto innova-tivo - almeno in grado di superare i maggiori inconvenienti che l’uniformità centralista aveva prodotto soprattutto dopo l’esperien-za fascista. In particolare, conseguenze assai poco auspicabili de-rivavano dal fatto che la predisposizione di un ordinamento pre-definito dei comuni faceva si che piccoli centri con pochissimi abitanti e città assai popolose dovessero essere rette dalle mede-sime disposizioni. Proprio in previsione della riforma costituzio-nale si avanzavano proposte volte ad introdurre dei criteri di differenziazione, che potessero apportare qualche utilità ai fini di una maggiore aderenza dell’ordinamento locale alle diverse realtà20: tuttavia, già il profilarsi di questo proposito – ossia il cer-care dei modelli differenziati ma comunque predefiniti di orga-nizzazione locale - era indicativo del fatto che i tempi non era-no ancora maturi per proporre e far approvare un progetto di riconoscimento di piena autonomia degli enti locali minori, che iniziasse dalla libera scelta della formula di governo.

In particolare non piaceva la proposta di diversificare gli ordinamenti comunali puntando su una distinzione tra centri urbani e rurali, perchè si trattava di un criterio molto poco affi-dabile, basato in ultima analisi sul dato della popolosità, nono-stante si potesse portare più di un esempio di comune scarsa-mente popolato, ma centro di importanti uffici pubblici, di uni-versità, di corti d’appello, e all’inverso di centri con molti abi-tanti ma a sviluppo tipicamente rurale21.

20 Atti dell’Assemblea costituente, seduta del 17 luglio 1947

21 Orlando, Principi di diritto amministrativo, Firenze, 1915, p. 188, Gio-venco, voce: Comune, in Novissimo digesto italiano, vol. III, Torino, 1959, p. 825.

In ogni caso, i costituenti non accolsero queste proposte e operarono una scelta piuttosto originale, basata sulla considera-zione che soltanto il riconoscimento di una totale autonomia sul piano statutario, e dunque organizzatorio, avrebbe potuto porta-re a daporta-re pieno spazio agli innumeporta-revoli elementi che possono caratterizzare le realtà locali, sotto il profilo economico, cultura-le, sociale. Il legislatore costituzionale rinunciò perciò ad una ti-pizzazione che non poteva mai essere completa, assumendo un atteggiamento considerato da taluni volto a conprimere le auto-nomie locali, solo formalmente riconosciute. Altri, invece, sosten-nero che così procedendo si è aperta la strada alla più piena autonomia anche statutaria, per la cui completa attuazione però si è dovuta attendere la legge 142 del 199022.

Non è qui la sede adatta per riepilogare le aspre critiche23

e i plausi che rispettivamente furono rivolte alla Costituzione, relativamente alle norme che di autonomie locali si occupavano - ed in specie l’art. 128, attualmente abrogato; ciò che invece preme sottolineare è che fino al 1990 era stata sostanzialmente disattesa l’ affermazione contenuta all’art. 5 della Cost.24 secondo cui la Repubblica non solo riconosce le autonomie locali ma si impegna a promuoverle, il che implica un atteggiamento dina-mico di promozione e incitamento allo sviluppo. Nulla di ciò invece, era avvenuto in un contesto nel quale ancora i più pic-coli comuni e le maggiori città sono stati costretti ad adattarsi ad un medesimo modello di governo, basato su tre organi - con-22 In argomento si vedano le affermazioni di Staderini, in La potestà statutaria dei minori enti locali territoriali e la riforma della legge comunale e provinciale, in Foro Amm.vo, 1977, p. 1; ed in L’autonomia statutaria de-gli enti locali nel sistema costituzionale e nelle prospettive di riforma, In Nuova Rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 1988, II.

23 Tra i tanti, si veda Giannini, I Comuni, in Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza, 1967, p. 22; Cas-sese, Tendenze dei poteri locali in Italia, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1973, 283. 24 In questo senso: Benvenuti, La regione come organismo tecnico, in La regione ed il governo locale, 1965, p. 41; Tosato, La Regione nel sistema costituzionale, in Justitia, 1964, 114. Esposito, Autonomia e decentramento nell’art. 5 della Costituzione, in la Costituzione italiana,Padova 1954; M.S. Giannini, Autonomia locale ed autogoverno, in Corriere amministrativo, 1948, p. 1057 e ss.

siglio comunale, giunta e sindaco - che si sono rivelati troppi nelle realtà più semplici, al punto da rendere farraginosi i meccanismi decisionali ed attuativi, altrove invece inadeguati rispetto all’ingente carico di lavoro. Questo fenomeno ha chia-ramente messo in luce l’esigenza di rompere senz’altro lo sche-ma tradizionale secondo cui i Comuni e le Province non pos-sono compiere delle opzioni in merito alla loro organizzazione di base, riconoscendo che soltanto l’ente che può autorganiz-zarsi può effettivamente esprimere una amministrazione della realtà locale secondo principi di efficienza ed imparzialità.

Ecco, dunque, che coloro i quali sostengono che la Costi-tuzione abbia già riconosciuto agli enti locali minori potestà sta-tutaria, offrono una lettura corretta della Carta, anche se pri-ma della legge 142 del 1990 potevano soltanto limitarsi a pro-porre che questo principio avesse finalmente attuazione da parte del legislatore ordinario, segnalando appunto che si sarebbe dovuto consentire ai comuni di seguire moduli costituzionali dif-ferenziati, di istituire controlli interni, di regolamentare il fe-nomeno della partecipazione, di gestire i servizi locali.

Fino a quel momento, invece, la potestà organizzatoria dei Comuni è stata ridotta a ben poca cosa, se si tien conto del fatto che si sono sviluppate prassi contrarie al principio di au-tonomia degli enti locali minori - e dunque contrarie agli artt. 5, 114, 118 Cost. (quest’ultimi due profondamenti revisionati) - come ad esempio quella di emanare leggi sia statali che re-gionali - di attribuzione le prime, di delega di funzioni le se-conde - che non si sono limitate ad attribuire genericamente nuove competenze ai Comuni, in modo che potessero poi essi stessi stabilire in che modo esercitarle, ma hanno individuato anche specificamente l’organo dell’ente che dovrà attivarsi. Tuttavia, neppure l’intervento della Corte costituzionale valse a scongiurare questa pratica, assai limitativa dei poteri organiz-zatori degli enti minori, in quanto ne fu sancita invece la con-formità a Costituzione25, a dimostrazione della necessità di un improcrastinabile intervento del legislatore al fine di riscrivere i confini delle autonomie riconosciute dall’ordinamento, tenuto conto del fatto che l’intento del costituente era senz’altro quello

di rendere i comuni autonomi sia rispetto allo Stato che alle Regioni. Ed in effetti il nuovo intervento del legislatore ordina-rio non si fece attendere dando prima luogo alla L.265/9926, che mirò a rafforzare gli ambiti di autonomia particolarmente in materia di organi di governo, poi all’attuazione del T.U.E.L n.267 del 2000 che senza dubbio hanno rappresentato un passo in avanti nel cammino, ancora lungo e niente affatto concluso, ver-so la completa autonomia degli enti locali , se è vero che tali provvedimenti normativi tesero, come meglio si vedrà in prosie-guo, a riconoscere maggiore autonomia statutaria, normativa e organizzatoria a Comuni e Province per affrancarli sia dai con-dizionamenti statali che regionali.

25 Corte Costituzionale, sent. n. 319/1983. Contra e per una interpreta-zione estensiva del potere organizzativo degli enti in esame si veda la sent. n° 94 T.A.R. Puglia, in Trib. Amm. Reg. 1994 p. 1611 e ss., che appare pre-monitrice delle intenzioni di rafforxamento della attività statutaria degli enti comunali e provinciali, attuate poi dal legislatore costituzionale.

26 V. Italia, Lo statuto dell’ente locale dopo la l. 265/99, Milano 1999, p. 4; AA. VV. Autonomia e ordinamento degli enti locali (a cura di V. Italia), Milano 1999, p. 355; Vigneri – Riccio (a cura di) Nuovo ordinamento e sta-tus degli amministratori, Rimini, 1999, p. 455

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