IL FONDAMENTO DELLA POTESTÀ STATUTARIA
1. Il principio autorganizzativo quale strumento necessa- necessa-rio per l’attuazione dell’autonomia locale
Che il riconoscimento a Comuni e Province della facoltà di darsi un proprio statuto fosse da considerare come il primo pas-so verpas-so il raggiungimento di quella concreta autonomia a cui il nostro Testo costituzionale sembra mirare, lo si intese già anni addietro, e precisamente quando si arrivò a ristrutturare demo-craticamente gli organi rappresentativi locali mediante l’elezione a suffragio universale. Si credette, allora, che questo rinnovamen-to delle strutture portanti dei Comuni e delle Province, in so-stanza attuasse fedelmente il modello autonomistico espresso dalla Costituzione1.
Ben presto, però, si capì che quanto fatto non solo non aveva aggiunto nulla o quasi alla condizione che rimaneva di netta subordinazione degli enti oggetto di studio ma che, si ripropo-neva, altresì, un modello di autonomia locale ben lontano da quello teorizzato dai nostri costituenti. Ne è conseguito che per oltre 40 anni l’intero dettato costituzionale relativo agli enti ter-ritoriali minori è rimasto per lo più inattuato, dato che sono sta-te prospettasta-te via via nozioni di autonomie2 che solo
apparente-1 In questo senso, v. G.Berti, Crisi e trasformazione dell’amministra-zione locale in Riv. trim. dir. pubbl. 1973, p. 684.
2 Al riguardo, M.Nigro, Il governo locale. Storia e problemi, Roma, 1979-1980, p. 59, il quale sottolinea che la nozione di autonomia rimane tuttora una nozione oscura soprattutto per le numerose influenze ideologi-che ideologi-che essa ha dovuto subire.
per l attuazione dell autonomia locale. 2. I comuni e le Province quali ordinamenti originari e particolari. 3. I principali problemi relativi al ruolo che dovrà assumere la struttura organizzativa locale nell’ambito dell’ordina-mento complessivo. 4. I rapporti tra l’amministrazione centrale e le ammi-nistrazioni locali alla luce delle disposizioni vigenti. 5. I criteri organizza-tivi espressi dagli articoli 5 e 114 della Costituzione. 6. Il rapporto tra il revisionato articolo 114 della Costituzione e leggi statali in materia.
mente valorizzavano il ruolo dei poteri locali minori, ma che in realtà conservavano il vecchio sistema incentrato su autarchia e centralizzazione dell’organizzazione3.
L’errore più evidente è stato quello di concepire l’autono-mia degli enti locali essenzialmente come autonol’autono-mia normativa, ossia “come capacità di emanare norme giuridiche che lo stato assume nel proprio ordinamento giuridico4”, trascurando, così, quel principio essenziale che ispira il nostro Testo costituziona-le, ovvero il momento organizzativo delle autonomie.
Tale ordine di idee trova origine nel fatto che parte della nostra dottrina (quella sicuramente meno sensibile alle esigenze autonomistiche) ha sempre mostrato il timore che il far emerge-re dalla Carta costituzionale anche un’autonomia organizzatoria di Comuni e Province, potesse ben presto risultare il tassello de-finitivo per la concreta realizzazione di quell’autonomia di indi-rizzo politico da più autori indicata come il vero elemento capa-ce di innescare un procapa-cesso di smembramento dell’unità stata-le5. Si spiega così l’orientamento assunto dal legislatore statale che, pur di vedere scomparire dalle leggi comunali e provinciali ogni residuo di potestà statutaria, ha manifestato una propensio-ne a riconoscere alle autonomie territoriali minori una sempre più ampia potestà regolamentare6 che, benchè non fosse più solo
3 AA.VV., Autonomia politica regionale, Milano, 1975, p. 25 ss. Zanobini,Corso di diritto amministrativo,II vol.; Virga, L’organizzazione ammi-nistrativa, Padova 1958; G. Treves, L’organizzazione ammiammi-nistrativa, Torino, 1967. 4 È quanto riferisce Colzi, La Provincia ed il Comune nell’ordinamento costituzionale, in Commentario a cura di Calamendrei-Levi, 1953, p. 404. Nel medesimo ordine di idee, v. F. Pizzetti, Il sistema costituzionale delle autono-mie locali, Milano, 1979, p. 798ss.; M.S.Giannini, Autonomia (Teoria generale e diritto pubblico), In Enc. Dir. IV°, 1959, p. 356 ss.; F. Pergolesi, Sistema delle fonti normative, Milano, 1973, p. 71 ss.
5 Occorre rilevare che non pochi studiosi hanno spesso identificato l’au-tonomia politica con l’aul’au-tonomia normativa in nome della tutela dell’unità statale, in proposito, C. Esposito, Autonomie locali cit. 1954. In senso diver-so, T. Martines, Studio sull’autonomia politica delle regioni, RTDP, 1959, p. 140. G. Berti,La pubblica amministrazione come organizzazione,Padova 1968, pp. 62, 63, 64.
6 L’esempio più evidente è dato dal D.P.R. 616 del 1977 che ha cerca-to di ridisegnare il ruolo dei poteri locali mediante il trasferimencerca-to di interi blocchi di competenze, articolati per settori organici, in modo unitario. C’è
costituita da semplici norme di dettaglio esecutive di leggi stata-li, ha circoscritto non di poco il raggio di azione degli enti in parola. In altre parole, le tendenze accentratrici hanno, pur di scongiurare l’idea che dalla Carta fondamentale potesse desumersi una potestà statutaria a Comuni e Province, deciso di convoglia-re nella sola potestà convoglia-regolamentaconvoglia-re l’autonomia degli enti locali minori con la mortificante conseguenza di renderla di fatto ste-rile. A tal proposito, giova ricordare gli interventi di illustri stu-diosi, che, pur muovendosi su terreni diversi, hanno poi tutti finito coll’escludere un tal importante riconoscimento. Limitan-dosi agli anni a noi più recenti, spiccano gli studi svolti da Bar-tole e da Casetta-Sica7. Nel primo l’idea di fondo era rappre-sentata dal fatto che poichè la nostra Costituzione poneva su due distinti livelli di autonomia le Regioni, i Comuni e le Province, negava che l’autonomia degli enti minori potesse trasmodare in facoltà di dettare i principi essenziali per la propria organizza-zione. Nel medesimo ordine di idee è da ricondurre lo studio di Casetta-Sica; questi ultimi, puntando sul carattere soggettivo dell’autonomia dei Comuni e delle Province, hanno sostenuto che in nessun modo la potestà statutaria di Comuni e Province può essere posta sullo stesso piano di quella delle Regioni, e che tale diversità di ruoli è confermata dal fatto che gli atti degli enti locali minori sono sottoposti allo stesso tipo di controllo cui sog-giacciono gli atti amministrativi regionali. Come è evidente, le tesi appena delineate, sebbene di indubbio valore scientifico, sono facilmente criticabili poichè entrambe s’imbattono in un vizio di fondo, ossia quello di ignorare che la Costituzione repubblicana
da rilevare che alcuni autori hanno persino cercato di desumere implicitamen-te dal D.P.R. 616/77 il riconoscimento di una poimplicitamen-testà statutaria a favore dei comuni e delle Province, in questo senso, G.Amato e A. Barbera, Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1997, p. 573. Si è dell’opinione, tuttavia, che, in via di fatto, la normativa in esame non abbia chiarito del tutto il sistema del ri-parto delle attribuzioni tra Comuni e altri enti, tanto che oggi sono molti ad essere convinti che una delimitazione razionale delle attribuzioni comunali avrebbe giovato non solo gli enti locali, ma anche allo stesso Stato.
7 Bartole, Brevi note sui limiti dell’autonomia delle Regioni, in Giur. Cost., 1965, p. 267; Sica, Contributo cit. p. 146.
ha riconosciuto, e quindi garantito, il momento giuridico oggettivo dell’organizzazione comunitaria locale8.
In effetti, rileggendo il Testo fondamentale relativo al ruolo delle autonomie territoriali alla luce della riforma del Titolo V, non sem-bra che esistano seri dubbi sul fatto che la Costituzione, ispirata alla valorizzazione delle pluralità, operi chiaramente a favore del potenziamento della potestà auto-organizzativa degli enti in parola.9
Ma qui sta il punto nodale del discorso; la potestà organizzati-va a cui si riferisce il nostro Testo fondamentale non deve essere intesa quale involucro vuoto capace poi di risultare una sorta di schermo all’evolversi dell’autonomia locale10; al contrario, deve es-sere concepita quale espressione di un effettivo contenuto materia-le volto alla realizzazione di determinati scopi, i quali dipendono poi direttamente da tale contenuto11.
È a questa sola figura organizzativa che la nostra Costituzione sembra mostrare interesse, poichè è l’unica capace di qualificare l’autonomia locale come il risultato di relazioni intercorrenti tra ordinamenti12. Ecco perchè appare fondata la tesi secondo la quale quanto disposto dall’art. 4, 2° c. della L.n.131/2003 sia, ancor pri-ma che principio innovativo dell’intera legislazione in pri-materia, prin-cipio attuativo di quel modello autonomistico e pluralistico di cui si fa portavoce la Carta fondamentale13. Le stesse figure dell’autono-mia e del decentramento14, più volte menzionate dal Testo
fonda-8 Al riguardo, G. Berti, La pubblica amministrazione cit. p. 61; M.Giannini, Diritto amministrativo, cit. pp. 94-95. Di recente AA.VV. il nuo-vo ordinamento della Repubblica (a cura di F. Pizzetti), 2003, p. 89.
9 Si veda anche Atti parlamentari, Camera dei deputati, X legislatura, Commissione I, seduta del 5 dicembre 1990.
10 L’articolo 97 della Costituzione, in effetti, ponendo l’organizzazione quale momento centrale dell’amministrazione, riconosce che dalla struttura organizzativa dipende non solo il buon andamento degli uffici, bensì anche il modo concreto di condursi degli uffici medesimi nella loro attività.
11 Giannini, Autonomia (Saggio sui concetti di autonomia), in Studi di diritto costituzionale in memoria di L. Rossi, Milano, 1952, p. 200 ss
12 In proposito, G. Guarino L’organizzazione pubblica, Milano, 1977 p. 95-96. 13 Si cfr. A. Ferrara,L’incerta collocazione dell’ordinamento degli enti lo-cali tra federalismo e municipalismo e il nodo delle “funzioni fondamentali”, in www. Federalismi.it n. 5/2004
mentale, s’informano direttamente a principi di organizzazione oggettiva15, dato che solo sulla base di questi elementi è possibi-le liberare l’amministrazione locapossibi-le dal vincolo della burocrazia e porla concretamente come realtà autonoma.
2. I Comuni e le Province quali ordinamenti originari e