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Il fondamento costituzionale dell’atto statuto

Nel documento COMUNI, PROVINCE EAUTONOMIA STATUTARIA (pagine 73-78)

LO STATUTO DEGLI ENTI LOCALI TERRITORIALI COME NUOVA FONTE DEL DIRITTO

3. Il fondamento costituzionale dell’atto statuto

L’esistenza di una riserva di competenza statutaria, costituzional-mente fondata per talune materie, appare imprescindibile per una sostanziale attuazione dell’autonomia locale. Del resto, quanto riferi-to trova maggiore conforriferi-to nella constatazione che il criterio di com-petenza, sebbene non abbia portato ad una totale scomparsa del criterio di gerarchia, ricopre oggi nel sistema delle fonti un ruolo certamente non più ausiliario, dato che la legge, non godendo più (o quasi) di una competenza generale, subisce spesso la concorrenza di altre fonti24.

Appare evidente che il problema si pone soprattutto in relazio-ne all’indole gerelazio-nerale o speciale che caratterizza le norme provenienti dalle diverse fonti.

Come è noto si ha deroga allorché “una norma intervenga a fare eccezione ad una norma principio, così sottraendo alla generale di-sciplina da questa dettata particolari ipotesi, per assoggettarle, inve-ce, a disciplina diversa25. Perciò, si è dell’opinione che l’inciso “leggi generali” di cui all’ art.128 della Costituzione (ora abrogato) già non poteva essere più inteso nel senso che vi dovesse essere, necessaria-mente, una regola generale ed uniforme2 6 per tutti i Comuni e per le Province. Ancor più alla luce della riforma del titolo V della 23 Cfr. Corte Cost. sent. n.106/2002 nella quale si evince un espresso monito per il legislatore statale non più libero di incidere nell’attività orga-nizzativa degli enti locali minori.

24 Non sembra fondata la tesi secondo cui nel silenzio della Costituzio-ne, la sfera di competenza dello statuto non può che essere disegnata che dalla legge, la quale può ampiarla o restringerla a suo piacimento. Si cfr. Bardusco, Le autonomie territoriali nella riforma costituzionale (a cura di) Milano, 2001.

25 Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale II, L’ordinamento costitu-zionale italiano, 4° ed., Padova 1984, p. 193.

26 Per riflessioni sul sistema costituzionale precedente alla riforma, si v. F. Pizzetti, Il sistema costituzionale, cit., 1979, p. 798.

Costituzione il carattere di generalità di queste leggi si riferisce ai principi tracciati espressamente dalla Carta fondamentale (art. 114), i quali determinano le funzioni dei Comuni e delle Province27.

Ne consegue che l’adozione della formula “lo Statuto in ar-monia della Costituzione e dei principi generali in materia di or-ganizzazione pubblica”28, unita all’articolo 4, 2° c. della legge “La Loggia” ci fa ritenere non solo che qualsiasi legge statale che voglia dettagliatamente stabilire l’ordinamento (struttura, funzio-ni, attività) degli enti locali minori dovrebbe essere considerata in contrasto con il disposto costituzionale29, ma, altresì, propen-dere per il principio secondo cui la più libera differenziazione strutturale degli enti in questione, scevri da qualsiasi influenza statale che non si ricolleghi a precisi principi costituzionali, è necessaria per l’effettiva attuazione dell’autonomia locale30.

Se si accede a quanto esposto, come del resto è evidente alla luce della riforma del Titolo V, ne deriva che non basta sta-bilire se la potestà statutaria debba o meno costituire un ele-mento essenziale dell’autonomia locale, ma occorre altresì accer-tare la reale portata dello statuto e la sua collocazione nel siste-ma gerarchico delle fonti. Ciò perché sembra da condividersi la tesi non del tutto accolta dal legislatore statale, secondo cui il fondamento giuridico degli statuti va ravvisato nell’autonomia dell’ente e non nella legge statutaria31.

In questo ordine di idee si è sostenuto perciò che la pote-stà statutaria è manifestazione di autonomia32, che trova a sua

27 Che queste funzioni debbano garantire principalmente una disciplina uniforme appare difficilmente conciliabile con il nuovo assetto costituzionale; esse al di là di stabilire alcuni punti fondamentali caratterizzanti la discipli-na, debbono lasciare ampio spazio operativo alla autonomia organizzatoria delle Province e dei Comuni.

28 V. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico 1964, Padova, p. 234. 29 Vandelli, Poteri locali, cit. p. 88.

30 Biscaretti di Ruffia, Le garanzie costituzionali dell’autonomia locale nel-l’Europa occidentale, in La Regione e il Governo locale, Milano 1965, p. 52.

31 In senso contrario V. Italia, Gli statuti nel diritto pubblico, I, Potestà e norma statutaria, Milano, 1974; Staderini, Diritto degli enti locali, 2000, 49 e ss.

32 G. Rocca, Brevi note sull’autonomia statutaria dei comuni e delle provincie, in Foro amministrativo, 1990, II, p. 2957.

volta il suo massimo sviluppo nelle relazioni che si vanno ad in-staurare tra l’ordinamento generale e gli ordinamenti particolari, in cui, come è intuibile, non è mai assente un elemento di pres-sione reciproca33. Il riconoscimento costituzionale di una potestà statutaria alle realtà locali minori rende evidente che, se una pres-sione da parte dell’ordinamento generale deve esserci, questa non deve perdere per strada il principio ispiratore dell’intera riforma che si sostanzia nella ricerca di un equilibrio tra i diversi ordinamenti. L’articolo 4 della legge n.131/2003 in parte ha disatteso i principi costituzionali che si evincono dagli artt. 5 e 114 della Carta fonda-mentale secondo cui l’ordinamento generale, fondandosi anche sul-le attività dei poteri locali, non è altro che la composizione unitaria di tutte quelle istituzioni che sono presenti in seno allo Stato34. Ne deriva che lo stesso concetto di autonomia assume significati diver-si in quanto ridisegnando i rapporti tra i vari livelli istituzionali di governo determina la creazione di relazioni paritarie tra essi che incidono non solo sul piano amministrativo ma soprattutto su quel-lo normativo. Ciò significa che per quel-lo statuto comunale e provincia-le (e nel rispetto di quest’ultimo anche nella potestà regolamenta-re) la Costituzione riserva materie per le quali si restringono dra-sticamente gli interventi del legislatore statale e regionale3 5.

La legge di adeguamento “La Loggia”, invece, con espressioni del tipo “Lo statuto…….nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dell’art. 117, 2° comma cost.” (art. 4, 2° com-ma) ovvero “La disciplina dell’organizzazione………è riservata alla potestà regolamentare dell’ente, nell’ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di unifor-mità………….” (art. 4, 4° comma), in modo poco persuasivo da

33 Iannotta, Pugliese, Marrama, Profili dell’autonomia nella riforma degli ordinamenti locali, cit, p. 152.

34 Cfr. A. Sandulli, Il nuovo ordinamento, (a cura di V. Italia), cit., 2003 p. 256 e ss. La Repubblica delle autonomie. Regioni e enti locali nel nuovo V (a cura di T. Groppi e Olivetti) Torino, 2001, p. 26.

35 Cfr la discutibile nota dell’ANCI dell’8 luglio 2003 relativa all’attua-zione dell’art. 4 della Legge “La Loggia”. Si veda Rolla, Relazioni tra ordi-namenti e sistema delle fonti. Consideazioni alla luce della legge costituzio-nale n° 3/2001, in Le Regioni 2002, p. 321, e ss.

adito a facili interpretazioni di stampo centralistico del nuovo siste-ma amministrativo. Se poi si aggiunge il fatto che presto da un cielo minaccioso si riverserà una pioggia di decreti governativi che pre-sumibilmente si mostreranno poco sensibili allo spirito innovativo della riforma in esame possiamo dire che il cerchio si chiude. A nostro avviso, sarebbe stato preferibile per una più corretta inter-pretazione dell’art. 114, 1° e 2° c. Cost., ad esempio riservare nel c. 4 dell’art. della legge n. 131/2003 la disciplina dell’organizzazio-ne e del suo svolgimento, nonché la gestiodell’organizzazio-ne delle funzioni attribu-ite alla potestà regolamentare degli enti in esame nel rispetto dei principi statutari nonché chiaramente di quelli costituzionali.

Tale previsione avrebbe un effetto scatenante per la valorizza-zione dell’autonomia locale poiché escluderebbe la possibilità che leggi statali o regionali intervenissero nell’organizzazione interna dell’ente. Inoltre c’è da aggiungere che il clima di incertezza aumenta se si pensa che il vigente art. 7 del T.U. n.° 267/2000, assoggettando l’organizzazione comunale e provinciale “ai princi-pi fissati della legge”, si pone in evidente contrasto col riforma-to articolo 114 della Costituzione. Infatti si resta dell’opinione che l’art. 4 della legge La Loggia non comportando una implici-ta abrogazione dell’articolo 7 del T.U. del 200036 delinea un in-certo scenario nel quale da una parte si pone la Costituzione che intravede i limiti allo statuto locale solo nel rispetto dei principi costituzionali in materia di organizzazione pubblica (art. 97 Cost.), dall’altro un provvedimento legislativo che lascia, invece, libera discrezionalità al legislatore statale di fissare limiti all’attività or-ganizzativa degli statuti in parola. Ciò può far suscitare in futu-ro numefutu-rosi pfutu-roblemi interpretativi qualora una legge statale o regionale contenga principi di carattere organizzativo non richia-mati dallo statuto e non aventi rilievo costituzionale. Si metterà in discussione non solo il valore della stessa legge n° 131/2003, la quale nonostante una dicitura alquanto controversa nell’art. 4, 2° c., sottrae in parte gli statuti alla discrezionalità della legisla-zione statale e regionale, ma lo stesso impianto costituzionale (artt. 5, 114, 117, 6c.) che opera per la creazione di un nuovo

sistema normativo nel quale ai diversi livelli di governo è affidata una esclusiva sfera di competenza. Dalle considerazioni appena de-lineate appare evidente che non di una mera potestà normativa secondaria trattasi, ma si è in presenza di una fonte non più sem-plicemente attuativa della legge statale che la disciplina, in quan-to contiene criteri organizzativi, che, come è staquan-to già ribadiquan-to, trovano fondamento nel Testo costituzionale.

Del resto il riconoscimento di una potestà statutaria capace di fissare le linee direttrici fondamentali dell’organizzazione comu-nale e provinciale, in effetti, ha provocato un mutamento di rotta nella legislazione statale rispetto alla linea uniformistica che da sempre aveva contraddistinto i suoi caratteri essenziali. D’altra parte, la tendenza registrata fino all’emanazione della 265/99 ve-deva la legislazione statale in posizione di sempre maggiore inter-ferenza con l’autonomia degli enti locali minori, che si traduceva in una normazione di dettaglio fortemente limitativa ed uniformiz-zante. Soltanto con la l. 265/99 e poi col D.lgs. n.267/2000 si è registrata una prima inversione di tendenza e si è tornati ad occuparsi di autonomie locali con legge di principi, rispetto alla quale lo statuto non poteva essere considerato fonte meramente secondaria.

Sotto tale profilo sembra agevole sostenere che il processo di integrazione della fonte statutaria nell’ambito del sistema delle fonti statali costituisce il momento essenziale per la delineazione dei futuri rapporti che possono istaurarsi tra fonti di natura diversa.

Siamo dell’opinione che lo studio relativo alla collocazione che può assumere lo statuto nel sistema delle fonti non può prescinde-re dalla constatazione della piena crisi in cui irrimediabilmente è entrato il sistema gerarchico delle fonti di produzione del diritto.

L’analisi pertanto, deve allargare il proprio orizzonte, proponendo-si tutta una serie di questioni, prima fra tutte le posproponendo-sibilità della fonte statuto di rafforzarsi, vietando possibili deroghe da parte di successive

37 Per il carattere primario della potestà oggetto di studio, si v. Corsi, L’autonomia statutaria dei Comuni e delle Province, Milano, 1996; in senso diverso Pizzorusso, Autonomia locali e sistema delle fonti, in Amministrare 1989, 101 e ss.

leggi statali che mortificherebbero la capacità innovativa dell’at-to-statuto37.

4. L’affermazione del criterio di competenza nei rapporti

Nel documento COMUNI, PROVINCE EAUTONOMIA STATUTARIA (pagine 73-78)

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