LO STATUTO DEGLI ENTI LOCALI TERRITORIALI COME NUOVA FONTE DEL DIRITTO
6. Lo strumento convenzionale espressione dell’attività or- or-ganizzativa degli enti locali minori
Un altro indice rivelatore di grande interesse che conferma la tesi secondo cui ogni entità organizzativa, in quanto sistema dinamico di norme, trae la sua legittimazione da se stessa, è costituito dall’uso, sempre più frequente, degli strumenti conven-zionali72 da parte degli enti locali. La necessità di organizzare determinate materie mediante lo strumento convenzionale, in realtà, si è avvertita da tempo. In effetti, sempre più spesso gli enti, strumentali o indipendenti, hanno preferito l’uso di strumen-ti convenzionali che, nella loro veste più interessante di accordi organizzativi, hanno riproposto lo spinoso quanto interessante problema delle possibili deroghe da apportare alla legge73. L’ar-ticolo 30 del T.U. degli enti locali del 2000 è di particolare importanza, dato che costituisce la prima seria disciplina norma-tiva delle convenzioni dopo la non posinorma-tiva esperienza
dell’arti-71 F. Pizzetti, Commento, (a cura di), cit. 2003, p. 94
72 In argomento, Masucci A. (a cura di), L’accordo nell’azione ammini-strativa, Roma 1988; ID. Trasformazione dell’amm. e metodi convenzionali. Il contratto di diritto pubblico, Napoli 1988
73 Per un approfondimento di tali convenzioni, si veda Sanviti, Conven-zioni ed intese nel diritto pubblico, 1978. C’è da aggiungere che mediante il comma 68 della l.n. 127/97 il legislatore ha lasciato all’autonomia organizza-tiva dell’ente comunale individuare le forme ritenute più valide per l’attua-zione del superamento delle modalità previgenti del parere di legittimità su ogni proposta deliberativa da parte del segretario comunale. Mentre per quanto riguarda gli accordi di programma l’articolo 34 del D.lgs n. 267/2000 (riproducendo l’art. 27 della legge n.142/90) ha modificato la procedura rela-tiva all’esecuzione delle opere pubbliche. Attualmente infatti l’approvazione dell’accordo di programma comporta la dichiarazione di pubblica utilità, che cessa di avere efficacia se le opere non hanno avuto inizio entro tre anni.
colo 8 del D.P.R del 24 luglio 1977 n. 616 che ha praticamente impedito un uso generalizzato di questo strumento.
Che le convenzioni spesso siano equiparabili ad accordi a con-tenuto normativo non è più dubitabile; si è dell’opinione che la mancanza di esse nella disciplina di determinate materie comporte-rebbe la regolamentazione unilaterale della materia di ciascun pub-blico potere partecipante, con la conseguenza che verrebbero meno i principi ispiratori del dato organizzativo, che, come è già stato osservato, individua le relazioni tra soggetti su di una piattaforma di reciproca collaborazione.
Tralasciando l’argomento relativo alla natura delle convenzioni, che ha suscitato in passato numerose diatribe dottrinali, quello che sembra premere è il rapporto che si va ad instaurare tra norme legislative e figura organizzativa nell’ambito di quelle materie che, a norma dell’articolo 30 del citato T.U. degli enti locali, sono og-getto di apposite convenzioni stipulate tra gli enti in esame. È sta-to detsta-to in precedenza che negli ultimi tempi si è assistista-to ad un incremento dei fattori organizzativi tali che necessariamente si è riproposto il problema relativo all’individuazione di un equilibrio tra poteri pubblici e situazioni di natura privatistica. Ancora una volta il valore sostanziale del fenomeno organizzativo assume una rilevanza di grande interesse; in effetti, non bisogna dimenticare che nell’as-setto costituzionale odierno la caratteristica principale che denota il fenomeno organizzativo è la facoltà di prevedere molteplici situa-zioni attive dei privati. L’ipotesi ricostruttiva di un sistema statale che coordina l’attività di una serie di ordinamenti particolari sem-pre più in espansione, rispetto ai quali la susem-premazia statale si ar-resta alla fase costitutiva di tali centri di potere, assume sempre maggiore consistenza74. Ciò, del resto, viene confermato
dall’artico-74 La possibilità di svolgere sebbene parzialmente le funzioni mediante forme associative per i Comuni con un numero di abitanti non superiore alle 15 mila unità oppure per quelli situati nelle zone montane fu prevista dal-l’art. 56 del testo elaborato dalla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali del 1997.
Dal testo sembrava ricavarsi la volontà da parte dei 70 della Commis-sione di elevare a rango costituzionale la forma associativa che approprian-dosi di un valore obiettivo superiore, appariva sottrarsi a molte delle dispo-sizioni contenute nella l.n. 59/97 sul decentramento amministrativo.
lo 6, 2°c., del D.lgs n.267/2000 quando essa rimanda allo statuto comunale o provinciale le forme delle possibili collaborazioni che possono instaurarsi fra Comuni e Province. A questo punto è evidente uno stato di fatto: il fenomeno dell’esercizio privato di funzioni viene ad assumere un ruolo necessario nella gestione del momento esecutivo, senza il quale appare arduo il compimento di qualsiasi attività, anche di interesse pubblico. Ora, poichè in uno Stato democratico e di diritto ciò che interessa innanzitutto è che si compia una data attività ai fini del soddisfacimento di determinate esigenze, si rende evidente che il raggiungimento di tale importante risultato può essere colto non solo mutando i ter-mini delle relazioni tra i diversi soggetti, ma, altresì, i rapporti tra i diversi atti che i soggetti hanno emanato. In altri termini, si tratta di percepire la forza giuridica che continua a risiedere nell’attività, anche se essa, partendo dall’ambito pubblico, raggiun-ge il livello della forma privatistica. Del resto, la figura del po-tere che è spesso manifestazione della volontà dell’atto-legge implica un raccordo con l’attività esecutiva75.
È appena il caso di rilevare che l’attività esecutiva e la no-zione di amministrano-zione quali momenti esecutivi delle disposi-zioni di legge sono nodisposi-zioni, che, oramai, appaiono superate. Oggi, viceversa, alla luce della riforma del titolo V°, l’amministrazio-ne sembra valorizzarsi soprattutto quale potere, ossia momento normativo nel quale si determina una produzione giuridica volta a disciplinare in via esclusiva determinate competenze. Se pre-minenza della legge deve esserci, in nome della spessa procla-mata onnipotenza di quest’ultima, essa non può contrastare con i caratteri propri della funzione amministrativa che si sostanzia soprattutto, nella creazione di figure organizzatorie76.
75 Siamo dell’opinione che affinchè una determinata attività possa de-nominarsi esecutiva non bisogna riferirsi all’efficacia dell’atto pubblico prece-dente, così ragionando tale attività si svuoterebbe di qualsiasi novità giuridi-ca che in essa si svolge.
76 Su questo punto vedi, Donati, I caratteri della legge in senso mate-riale, in Scritti di diritto pubblico, vol. II, Padova 1966.
D’altra parte la stessa legge n. 127/97 sulla semplificazione amministra-tiva sembra lasciare ampia discrezionalità alle amministrazioni locali circa l’at-tuazione delle altre 200 diverse misure di semplificazione.
L’intera riforma del Titolo V° della Costituzione è nata al fine di soddisfare una esigenza che coinvolge l’intera struttura dello Stato e consiste in una migliore (e diversa) sistemazione, sia dei rapporti tra legislazione ed esecuzione, che, in particola-re, tra norma e attuazione. In altri termini, risulta evidente che in futuro il compito del legislatore, nel disciplinare i principi del-l’ordinamento comunale e provinciale, deve limitarsi a quanto gli impongono gli articoli 5 e 114 Cost.; il che contribuisce a sfu-mare il confine tra legislazione e amministrazione al punto tale che, come è già stato riferito in precedenza e puntualizzando par-ticolarmente il valore contenutistico del potere amministrativo, lo stesso istituto della riserva di legge in merito all’organizzazione sembra corrispondere ad una amministrazione della legislazione77. Del resto appare corretta la tesi secondo cui ”la previsione di statuti comunali o provinciali non avrebbe, invero, significato ap-prezzabile se non si ponesse in correlazione con una condizione di autonomia intesa anzitutto come svincolo da quel tipo di am-ministrazione autoritaria che si sorreggeva sull’organizzazione cen-tralizzata del passato”78. La caratteristica principale che si evince da quanto detto sta nel fatto che l’autonomia dei Comuni e delle Province sembra articolarsi in una molteplicità di figure organiz-zative al fine di adeguarsi alle esigenze della comunità locale;79
la diffusione delle forme associative non più limitato a settori definiti e poco importanti comincia ad essere una caratteristica della nostra vita politica e amministrativa, a tal punto che il mo-dulo contrattuale nelle sue più variegate forme (accordi, conven-zioni, eventuali cooperazioni) ha messo in moto un processo,
spe-77 È noto che la problematica relativa alla ripartizione dei poteri ha sempre oscillato tra una caratterizzazione formale e una di tipo contenutisti-co. La dottrina, tuttavia, è stata sempre incline ad una divisione formale delle competenze basata sul vecchio schema della tripartizione, salvo poi valutare contenutisticamente altre divisioni nell’ambito dell’ordinamento complessivo.
78 Così G. Berti, Amministrazione cit. p. 324.
79 Cfr. L. Violini, Meno supremazia e più collaborazione nei rapporti tra i diversi livelli di governo? Un primo sguardo (non privo di interesse) alla galassia degli accordi e delle intese, in Regioni, 2003, p. 691e ss. Si v. inoltre TAR Lombardia, 24/06/1996 n. 947, in I TAR 1996, I, p. 3114.
cialmente nell’attività amministrativa, capace di derogare conti-nuamente la legge. Purtroppo la legge “La Loggia” dedica poco spazio a tali forme associative utilizzando nel comma 5 dell’arti-colo 4 una dicitura alquanto scarna quale “Il potere normativo è esercitato anche dalle unioni di Comuni, delle Comunità monta-ne ed isolamonta-ne”. Ne consegue, che le forme in esame, come già anticipato precedentemente, vanno ricercate nel capo V del D.lgs n. 267/2000, che al di là dei meriti o demeriti che possono es-sere colti nella lettura del provvedimento, rimane un atto che si colloca in un sistema amministrativo completamente diverso da quello prospettato dal legislatore costituzionale di riforma.
7. Le deroghe apportate dallo strumento convenzionale