LO STATUTO DEGLI ENTI LOCALI TERRITORIALI COME NUOVA FONTE DEL DIRITTO
8. Conclusioni sul valore di fonte primaria dell’atto statuto Configurare lo statuto comunale e provinciale quale fonte
subordinata alla legge, risponde ad un solo ordine di motivazio-91 Si è dell’avviso che non possono sussistere dubbi sul fatto che tale scelta significhi innanzitutto organizzare liberamente la propria azione.
92 Si è dell’opinione che dinnanzi a queste norme a contenuto organiz-zativo le leggi statali ritraggono la loro efficacia acquistando un valore mera-mente dispositivo.
93 Sulla configurazione dello Statuto quale normazione primaria vedi il non più recente Pergolesi, Saggi, sulle fonti normative, Milano 1943 p. 53.Ultima-mente, Ruggeri, La ricomposizione delle fonti nel sistema, cit. 2002, p. 114 e ss. 94 D’altro canto la qualificazione dello statuto quale fonte primaria fu già oggetto di discussione nella Commissione affari costituzionali della Ca-mera dei Deputati ed inserita nel Documento conclusivo dell’indagine cono-scitiva sui problemi relativi all’attuazione della legge in esame.
ni: esporlo continuamente alla instabilità suscitata dalla innova-zione legislativa95.
Ciò comporterebbe, come può facilmente notarsi, una restri-zione sostanziale dell’autonomia statutaria degli enti locali minori; a delineare lo statuto comunale o provinciale quale mera descri-zione di organi ed uffici; a snaturare, in altri termini, i principi costituzionali sanciti dagli artt. 5 e 114 del Testo costituzionale.
Si è dell’opinione, invece, che tra norme statutarie e leggi statali debba intercorrere un rapporto di separazione di compe-tenze e non già un criterio gerarchico. Il nuovo sistema costitu-zionale che si caratterizza per l’affermazione dell’autonomia lo-cale si fonda su di un criterio, che muove dall’accentramento verso un sostanziale decentramento di funzioni non temporaneo
95 A tal proposito, e rifacendosi al problema relativo alle possibili dero-ghe da apporre alle disposizioni legislative, c’è da aggiungere che molti Co-muni scelsero di sfruttare l’occasione offerta dalla legge n. 142/90 inseren-do nello statuto la possibilità di coprire posti dirigenziali assumeninseren-do persone estranee all’amministrazione, con contratti a tempo determinato di diritto privato. La novità introdotta dalla legge 142/90 per gli enti locali e nel Dlgs 29/1993 per lo Stato, fu questa: la necessità di avvalersi di persone di as-soluta fiducia consente di derogare al principio generale sancito dall’articolo 97 della Costituzione, secondo cui “agli impieghi nelle amministrazioni pub-bliche si accede mediante concorso”. Stiamo riferendoci al c.d.” “city mana-ger” che nasce quale fiduciario del sindaco sul piano della gestione ammini-strativa e che ha, per così dire, un passato in azienda.
Problemi nacquero in quanto, nonostante decisa fu la scelta fatta dai vari amministratori locali in riferimento a questa nuova figura, si è dovuto fare i conti con il segretario comunale o provinciale che è istituzionalmente al vertice della gerarchia. Ne è conseguito che i Comuni o le Province che l’hanno previsto si sono dovuti inventare una sorte di coabitazione che, nel caso del Comune di Bologna, ha partorito risultati positivi nello spirito del-l’ampia collaborazione organizzativa.
La legge Bassanini Bis n. 127/97 art. 17 abrogando l’art. 52 e il 4°c. dell’art. 53 della legge n. 142/90, ha ridisegnato la figura del segretario co-munale e come già annunciato, formalizzato il c.d. “city manager” risolvendo principalmente una sorta di “coabitazione”che cominciava a pesare nell’eco-nomia delle amministrazioni locali minori.
In particolare a tutti i Comuni ove sia prevista la figura del direttore generale il governo ha inviato una direttiva nella quale viene messo in risal-to che le funzioni di sovrintendenza sull’attività operativa gestionale spettano al direttore, ma il sindaco deve regolare i rapporti col segretario avvaloran-done il ruolo di consulenza e di assistenza alla funzione di governo.
(art. 117, 6 c. Cost.), capace di valutare pienamente l’autonomia or-ganizzatoria dei Comuni e delle Province senza negare il naturale si-gnificato che si evince dall’articolo 5 della Costituzione. Tale sistema riafferma non solo la non subordinazione dello statuto alla legge for-male, ma anche la possibilità di ritrovare, altresì, nella sfera di eser-cizio della potestà statutaria una riserva esclusiva di determinate materie.
In quest’ottica la questione relativa ai possibili interventi disposti dal legislatore statale nell’organizzazione comunale e provinciale sem-bra risolversi negativamente: le esigenze dell’autonomia organizzativa e del decentramento sono tutelate dall’articolo 5 della Costituzione; tali principi già bastano per escludere l’attendibilità del principio se-condo cui l’autonomia comunale e provinciale sarebbe solo parzial-mente garantita dalla Carta fondamentale96; viceversa, riconoscere autonomia statutaria agli enti in esame, significa innanzitutto conferi-re ai consociati che vi si identificano delle stabili alla struttuconferi-re volte alla soddisfazione di determinati interessi. Il principio dell’efficienza sociale97 dell’amministrazione diventa il parametro entro il quale si misura il decentramento; da ciò scaturisce la conseguenza che l’auto-nomia statutaria va postulata mediante un intervento interpretativo che, partendo dagli artt. 2 e 5, si muove attraverso gli artt. 114 e 117 della Costituzione. In questo quadro di riferimento lo statuto assume il carattere di fonte normativa primaria atipica capace di disciplinare tutti i rapporti sorti nell’ordinamento pregresso e non sostituiti con leggi a contenuto costituzionalmente vincolato98. L’impostazione
ap-96 A. Corpaci, Gli organi di governo, cit, 2002, p.1017 e ss.
97 Tale principio offre lo spunto per riflettere sull’evoluzione della giu-risprudenza della Consulta in materie di buon andamento della P.A. Va rile-vato, infatti, che l’Alta Corte ha sempre identificato tale principio con il cri-terio dell’efficienza argomentando che esso non può essere predeterminato in astratto, ma che ha bisogno di essere definito in concreto sulla base di motivi che collimano anche con l’esigenza sociale.
98 In proposito si veda A. Piraino, Lo statuto: fonte primaria dell’ordi-namento comunale, in AA.VV., Gli statuti comunali e la società civile. Atti del convegno nazionale dell’ANCI, Chianciano Terme,1991.Diversamente v. TAR Lombardia-Milano-sezione III-sentenza 6 maggio 2004,n.1622; P.Hamel, L’autonomia statutaria degli enti locali nelle disciplina delle legge dell’8 giu-gno 1990, n.142, in Rivista amministrativa,1990, p. 1356. E.M. Marenghi. Lo statuto comunale, cit. 2004, p. 1469.
pena delineata, pertanto, riconosce, a meno che non si voglia operare nel senso di un nuovo accentramento dell’apparato am-ministrativo statale, l’impossibilità che una nuova e successiva legge statale, anche di carattere generale, snaturi il carattere organico degli statuti in esame. Viene riproposta, e con maggio-re insistenza, l’esistenza di una riserva di statuto costituzional-mente fondata per materie che esclude l’intervento di fonti esterne persino primarie che non trovino adeguato fondamento costituzionale. ogni contrapposto principio possa affermarsi solo in quanto trovi esplicito riconoscimento nel nuovo ordine costi-tuzionale.
Tuttavia, non si può negare che sull’attività organizzativa degli statuti comunali e provinciali incombe una spada di Damocle rap-presentata dall’articolo 2, 1° comma, della legge n.131/2003 che prevede una delega al governo affinché quest’ultimo emani uno o piu’ decreti legislativi volti all’individuazione di quelle “fun-zioni fondamentali” (di cui all’articolo 117,2° comma, lettera P, della Costituzione) che indubbiamente incidono nel funzionamen-to interno dei Comuni e delle Province.
Ora a parte il fatto che riservare ad una maggioranza gover-nativa un compito così delicato si scontra quantomeno col prin-cipio democratico che dovrebbe pervadere qualsiasi dibattito di natura parlamentare, perplessità sorgono in ordine all’interpreta-zione che i relativi decreti daranno alla noall’interpreta-zione di “funzioni fon-damentali”, dato che lo stesso articolo 2, 1° e 5° commi, della legge del 5 giugno 2003 n.131 non è riuscita a darne una for-mula del tutto convincente. Ci si pongono, infatti, domande del tipo: il Governo della Repubblica nel conferire le c.d. funzioni fondamentali agli enti locali territoriali in esame sarà rispettoso del principio di sussidiarietà che si evince dall’articolo 118,1° com-ma, della Carta Costituzionale? E inoltre quale sarà l’ambito delle stesse? Si estenderà anche a quelle funzioni relative al soddisfacimento dei bisogni essenziali delle comunità locali?
Com’è facilmente intuibile il compito del Governo resta molto delicato perché si rischia di disattendere non solo il di-sposto costituzionale che si evince dagli articoli 5,114 e 117, 6°
indiscutibilmente potenzia il potere normativo dei Comuni e delle Province, lasciando alle fonti di quest’ultimi la piena titolarità dell’esercizio delle amministrative funzioni. Vogliamo, quindi, pensare che i governi facciano attenzione a non perdersi in ste-rili dibattiti sconfinando in mere questioni speculative quali,per esempio, se il concetto di “funzioni fondamentali” si estende anche a quelle di carattere strumentale.Ciò ci condurrebbe a risultati del tutto insoddisfacenti per gli enti locali in esame. Il compito che in futuro,invece, deve attendere il legislatore dele-gato è quello solo di soddisfare il soddisfacimento dei bisogni e degli interessi delle comunità locali tenuto conto che quest’ulti-me oramai godono di ampie ed esplicite garanzie costituzionali (art.118, 2° comma).
Ne consegue che la soluzione prospettata indubbiamente avalla la tesi secondo la quale l’idea stessa dello statuto quale fonte stabile dell’ordinamento non va assolutamente ridimensio-nata. L’irrigidimento della stessa rispetto all’evoluzione di succes-sivi atti legislativi non deve intendersi come una sorta di manca-to adeguamenmanca-to alle esigenze della comunità locale che muta-no99, ma bensì come il definitivo consolidamento del ruolo di piena autonomia dei Comuni e delle Province assunto nel nuo-vo sistema amministratinuo-vo.
Si è in presenza, dunque, di una fonte che non può assolu-tamente essere considerata di attuazione della legge che la con-templa. Il fenomeno della delegificazione si ripropone in tutta la sua forza innovativa, capace di far innestare quel processo di separazione tra ordinamenti locali e ordinamento generalmente inteso divenuto oramai imprescindibile per l’attuazione di un si-stema di federalismo cooperativo; al contrario, riducendo gli
sta-99 È da rilevare che anche la dottrina meno vicina alle esigenze auto-nomistiche ultimamente non ha escluso, pur riconfermando il principio se-condo cui è nella legge di ricercare il fondamento giuridico dello statuto co-munale e provinciale, che in alcuni casi esso può costituire espressione del-l’autonomia dell’ente. Si v. Staderini, Diritto, cit., 2002, p.142; G. Falcon, Fun-zioni amministrative ed enti locali nei nuovi articoli 117 e 118 della Costitu-zione, in Le regioni, 2002. Contra L. De Luca , Le funzioni, cit., 2005, p. 47 e ss.
tuti in esame al mero rango di potestà normativa secondaria, non solo li si lascia in balia della piena discrezionalità della fonte-legge, ma si fa venire meno la stessa ragione per la quale essi sono stati concepiti.
9. Il rapporto tra fonte statutaria e fonte regolamentare