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Le avanguardie della dottrina italiana

AGLI ALBORI DELLA PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE PRIVATA IN ITALIA

V) Reati di “turbata libertà degli incanti” e “astensione dagli incanti” Previsti dagli artt 353 e 354 C P, tali illeciti sanciscono il passaggio ad

3. Le avanguardie della dottrina italiana

La corruzione privata si caratterizza per il perseguimento (da parte del corrotto) di finalità egoistiche, in contrasto con l‟interesse sociale. Il processo motivazionale dell‟intraneo risulta inquinato, per effetto di un agente esterno: la promessa o dazione di denaro o altra utilità. Ebbene,

175 M. Riverditi, Frodi negli incanti e nelle licitazioni, in F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale, Vol II, Milano, 2008, 445 e ss.

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questa speciale forma di “conflitto di interessi” rappresenta, latu sensu, un abuso gestorio, ed è sempre stato oggetto di attenzione da parte della dottrina italiana. E‟, dunque, interessante notare come, mentre la giurisprudenza ricorreva ai più originali espedienti interpretativi per colpire fenomeni di mala gestio – con ciò avvicinandosi alla repressione di condotte collaterali alla corruzione privata, senza mai lambirla-, e, mentre il legislatore italiano rimaneva inerte – al massimo avvalendosi di settoriali antecedenti dell‟illecito in questione, mai bastevoli ad una funzione preventiva -, gli esponenti della dottrina stessero individuando, con particolare lucidità, la necessità di introdurre un generale reato di corruzione privata, imperniato su di una struttura di pericolo.

Già in un saggio del 1971176 Giorgio Marinucci e Mario Romano evidenziavano, nell‟ambito di una rassegna circa nuove fattispecie incriminatrici da introdurre nel diritto penale d‟impresa, la necessità di presidiare la gestione sociale contro pericoli di inquinamento del processo motivazionale dell‟amministratore, svincolando il reato sia dall‟effettivo compimento dell‟atto, sia da tecniche criminalizzatrici formalistiche (sul criticabile stampo dell‟art. 2631 CC).

Tale visione, pur muovendo dalla tutela di interessi eminentemente privatistici177, improntava la norma sulla dimensione del pericolo178, con ciò dotandola di quella necessaria duttilità che ben le avrebbe consentito di adattarsi anche ad incorsi mutamenti del bene giuridico: ad esempio nella tutela di interessi concorrenziali. I due autori proponevano, dunque, l‟adozione di un modello ancora basato sulle infedeltà patrimoniali (esigendo un conflitto di interessi tra amministratore ed ente), al contempo, però, arretravano la tutela alla dimensione del “pericolo”. L‟abbandono dell‟elemento di “danno” manifestava embrionale

176

G. Marinucci, M. Romano, Tecniche normative nella repressione penale degli abusi

di amministratori delle società per azioni, in P. nuvolone (a cura di), Il Diritto penale delle società commerciali, Milano, 1971, 93 e ss.

177

G. Marinucci, M. Romano, Tecniche, op. cit. 99 : “Nulla di sospetto in una proposta

del genere, ci pare, dall’angolo visuale della necessaria libertà di manovra nella conduzione dell’attività gestoria: si tratta, d’altra parte, crediamo, di un’indicazione ispirata da una seria esigenza di cautela sostanziale, nel senso di una rigida separazione degli interessi patrimoniali dell’ente da quelli dell’amministratore”

178 Ibidem: “(…)ne scaturirebbe, così, una linea di tutela avanzata in vista del pericolo(…)”

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accoglimento verso interessi ulteriori, rispetto a quelli eminentemente patrimoniali, consentendo un‟estensione della fattispecie (anche) ad interessi superindividuali.

Un‟altra delle più eccellenti “messe a fuoco” del problema è sicuramente data dal contributo di Carlo Federico Grosso179, il quale, nell‟affrontare il problema corruttivo (in un clima di riforma, quella che aveva da venire nel non lontano 1990), in chiave ermeneutica e de iure

condendo, si interrogava circa la necessità di prevedere fattispecie di

reato sui modelli di “corruzione e concussione”, nel contrastare grossi episodi di tangenti incorsi nel settore privato. Due le importanti innovazioni di tale pensiero. Anzitutto, lo sgretolarsi del bieco luogo comune: le imprese non debbono più esser viste come solo “erogatori” di tangenti, ma anche come “percettori” delle stesse: di qui, la necessità di allargare l‟orizzonte dei fenomeni corruttivi oltre il restrittivo settore della pubblica amministrazione. In secondo luogo, l‟introduzione del motivo pubblicistico: il mercimonio delle cariche private non arreca pregiudizio solo all‟impresa “tradita”, ma anche all‟economia pubblica180, in un progressivo superamento dell‟ottica esclusivamente patrimonialistica. Tali evoluzioni danno il sentore degli strumenti internazionali che qualche anno dopo saranno approvati (cfr. infra), e ci dimostrano quanto la dottrina italiana fosse edotta delle mutate esigenze criminologiche del fatto corruttivo, in modo da sorvolare quell‟impasse normativo-giurisprudenziale, di cui era ostaggio l‟ordinamento italiano. Dove la riflessione dottrinale raggiunge, tuttavia, gli apici di maggior “contemporaneità” è sicuramente nel pensiero di Sergio Seminara, in un‟opera del 1993181. L‟autore sottolinea la necessità di prevedere un

reato corruttivo privato, sulla base di due elementi: il “difetto di controllo” del principale sull‟agente (cfr. sub 2.2) e l‟inadeguatezza delle fattispecie a tutela della trasparenza gestionale allora vigenti (artt. 2624,

179

C.F. Grosso, Il delitto di corruzione tra realtà interpretative e prospettive di riforma, in AA.VV., La riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, A.M. Stile (a cura di), Napoli, 1987, 358 e ss.

180

C.F. Grosso, Il delitto, op.cit., 404 e ss.: “(…)Questi fenomeni, già di per sé gravi, e

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2630,2631 CC). Come si vede, un elemento di modernità (una nuova giustificazione politico-criminale dell‟illecito, che da tempo si era affermata nella dottrina comparatistica), e uno di tradizione (la critica alle fattispecie di stampo eccessivamente formalistico della legislazione italiana).

Su queste basi, si reclamava la necessità di introdurre una fattispecie generale182 di “infedeltà personale” (corruzione) imperniata su uno schema di “pericolo”, con necessarie variazioni rispetto ai reati di corruzione pubblica183.

Ebbene, in queste autorevoli argomentazioni, rinveniamo, ante litteram, alcuni contemporanei stimoli interpretativi. Anzitutto, il difetto di controllo: vera e propria clausola politico-criminale, attraverso la quale fornire tutela al “terzo escluso”, con caratterizzazione pubblicistica del bene protetto.

Vi è, poi, il superamento della penalizzante (in questo settore) ottica delle infedeltà patrimoniali, nell‟ideale recupero delle argomentazioni di Marinucci e Romano (a venti anni di distanza). Infine un‟esigenza di cautela: la necessità di zavorrare la fattispecie con una “disciplina

graduata sulla base del pericolo e del danno rispettivamente rappresentati dall‟accettazione del compenso e dall‟effettivo compimento dell‟atto”, con ciò marcando la differenza tra fatti di corruzione pubblica

e privata. Tale visione, forse debitrice dell‟ottica lealistico-fiduciaria (non si vede perché, altrimenti, attribuire al consenso efficacia “scriminante”184

), costituisce un utile “traguardo” delle riflessioni penalistiche in materia, nella direzione degli imminenti mutamenti del quadro normativo sovranazionale.

181

S.Seminara, Gli interessi tutelati nei reati di corruzione, in riv.it.dir.proc.pen 3/1993,

951 e ss.

182Ibidem : “su un piano generale, il concetto di corruzione è certo teoricamente

suscettibile di trovare applicazione rispetto a una gamma di attività ben più vasta di quelle riferibili alla Pubblica amministrazione e alle società commerciali”.

183 Rispetto ai quali l’autore individua due differenze: la irrilevanza del semplice dovere

di “fedeltà”, e la disponibilità degli interessi nel settore privato (il consenso del datore vale a “liceizzare” la vicenda).

184 Cfr. S. Seminara, Gli interessi, op. cit. , 992: “il dovere di fedeltà (…) di dirigenti e dipendenti di imprese private si pone esclusivamente nei confronti del datore di lavoro, il quale può quindi autorizzare il compenso escludendo per esso ogni rilevanza penale”

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4. Gli obblighi di incriminazione di fonte sovranazionale