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Compimento od omissione di un atto in violazione dei doveri d’ufficio

o promessa di utilità”

V) Compimento od omissione di un atto in violazione dei doveri d’ufficio

Tale requisito costituisce il primo dei due eventi contemplati dalla norma, atto a tracciare il primo segmento tipico dell‟iter criminoso, i cui due estremi sono: la “promessa o dazione” da una parte, l‟atto antidoveroso dall‟altra.

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L. Foffani, Commento, op. cit. , 1891, che richiama Maccari, art. 2635 cc, in AAVV, I

nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali. Commentario al d.lg 11 aprile 2002, n° 61, a cura di Giunta, Torino, 2002.

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Per una ricostruzione di tale opzione, pur senza una sua condivisione, cfr. A. Martini, art. 2635 cc, op. cit. ,523 , che ricollega tale impostazione a quella (per cui cfr. nota 177) della non necessaria “causalità” tra pactum ed atto.

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Per riscontrare la tipicità del fatto, dovremmo, invero, rinvenire un intraneo che non abbia aderito alla promessa, ed abbia tuttavia, proprio motu, violato i doveri posizionali.

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La gravità del patto corruttivo comporta una estensione delle violazioni possibili, non essendo relegate ai soli atti dispositivi, e contemplando anche ipotesi omissive (entrambe limitazioni tipiche dell‟art. 2634 CC, che si basa su di un più generico – e meno grave – “conflitto d‟interessi”). Per ciò che concerne le prime, il rigore dimostrativo dovrà appuntarsi sulla effettiva tenuta di un contegno attivo da parte dell‟intraneo (o di terzi suoi “esecutori materiali”) e sulla nozione di “atto” (cfr. infra); per ciò che concerne le seconde, rileverà solo quell‟omissione che possa specificamente correlarsi ad un “obbligo giuridico”, con ciò configurandosi un‟ipotesi di responsabilità omissiva impropria219.

L‟atto dovrà essere oggetto di prova specifica, richiedendosi, alla pubblica accusa, la puntiforme dimostrazione dello stesso, senza allentare l‟onere probatorio con indebite operazioni di “volatilizzazione”220

. Ciò accade per due motivi: il modello criminoso su cui il 2635 CC è organizzato è quello della corruzione propria, donde la esigibilità dei medesimi rigori interpretativi (cfr. supra, sub. Cap 1, 1.II), atti a focalizzarne il disvalore; l‟atto dovrà porsi poi quale causa efficiente del successivo “nocumento”, ciò che sarebbe impossibile da provare senza una solida e ben definita dimostrazione dello stesso.

Il modello della corruzione impropria esige, poi, la violazione dell‟obbligo. Sul punto, parrebbe opportuno mutuare la tecnica ermeneutica dal parallelo settore della corruzione amministrativa, e richiedere, dunque, una specifica derivazione da precetti dell‟ordinamento giuridico vigente. Se lo statuto della p.a. è quello del diritto amministrativo (da cui dobbiamo derivare gli obblighi che si assumo violati), lo statuto delle società è certamente il diritto privato. Ecco, allora, che gli unici obblighi rilevanti ai sensi dell‟art. 2635 CC

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A. Martini, art. 2635 cc, op. cit. , 526.

220 In relazione alla fattispecie riformata (ex l.190/2012), si assiste invece proprio a quel

processo di allentamento che già aveva caratterizzato l’ “atto” di cui all’art. 319 CP: cfr.

Cass. Pen. Sez. V 13/11/2012 n° 14765, secondo la quale l “atto” richiesto dall’art. 2635

CC può essere integrato anche da un “parere” o da un “voto espresso” in seno ad un organo collegiale societario.

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saranno quelli privatistici221 (cfr. ad esempio art. 2392CC): tali doveri, per i gestori, atterranno sia all‟ “an” facere (si pensi alla formazione del bilancio), che al “quomodo” facere (si pensi alla discrezionalità con cui i liquidatori possono procedere al piano dismissivo degli assetti aziendali)222. Non sempre facile sarà distinguere ipotesi di dolosa violazione, da casi di incapacità gestoria: la promessa o dazione “a monte” dell‟illecito fungerà, tuttavia, da valido strumento di discrimine. Non mancano prospettazioni di segno opposto. Un lettura particolarmente estensiva è proposta da quell‟orientamento che vede nel “nocumento” prodotto una violazione in re ipsa, avvalorando una tecnica argomentativa di matrice presuntiva. Nel pregiudizio patrimoniale sofferto223, si apprezzerebbe una violazione, una disattenzione al generale dovere di salvaguardia dell‟integrità patrimoniale224 (autonomamente rilevante). Per questa via, però, anche la violazione di obbligazioni pubblicistiche e collettive (quali il versamento dei tributi, il rispetto delle normative ambientali etc. )225 potrebbe integrare la norma de qua : una volta ancorato l‟onere dimostrativo al solo danno, la parallela estensione della nozione di “obbligo” diventa incontrollabile, con conseguente frustrazione della tassatività penale. Pur se mossa da condivisibili intenti di estensione della fattispecie, tale operazione presuntiva non sembra poter essere condivisa: la matrice privatistica, entro cui il legislatore del 2002 ha saldamente collocato la fattispecie, non permette di introdurvi surrettizie (e per questo malferme) istanze di tutela pubblicistica. Ciò troverebbe irrimediabile paradosso nella pena comminata, oltre che nella necessaria querela di persona offesa.

L‟elemento di danno è in grado di svolgere un altro (e più condivisibile) ruolo estensivo: il contenuto degli atti e la matrice delle omissioni non debbono infatti essere concordati (o prevedibili) al momento della conclusione del pactum sceleris. Sul punto, si apprezza una significativa

221

E. Musco, La tutela penale, op. cit. 234 ; A. Zambusi, Infedeltà, op. cit. ,1055

222 Cfr. sul punto, A. Martini, art. 2635 cc, op. cit. , 526 223

Tali teorie richiedono infatti la “patrimonialità” del nocumento.

224

Cfr. P. Aldrovandi, Art. 2635 cc, in AAVV, I nuovi reati societari, cit. ,147 , che ricostruisce la tipicità della fattispecie alla luce del suo disvalore d’evento, sottraendo idoneità selettiva agli “obblighi” in analisi.

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divergenza rispetto ai reati di corruzione pubblica, e ciò non desti meraviglia: mentre questi ultimi sono strutturati come illeciti di pericolo, da cui una maggiore determinatezza dell‟accordo, onde salvarne la tassatività, il reato de quo è strutturato come stringente fattispecie di danno, che assicura ex se la necessaria determinatezza penale.

Nel precisare, se mai ve ne fosse bisogno, che il requisito in esame integra la condotta del reato (da cui la definizione dell‟art. 2635 CC come “reato di condotta con disvalore di evento”226

), dobbiamo anche metterne in luce il reale significato criminologico nell‟economia della norma: esso costituisce la “controprestazione” , la merce di scambio che il corrotto ha da offrire (ed offre) al corruttore. Ciò conferma la necessaria plurisoggettività del reato, e priva di rilevanza ipotesi di “istigazione” alla corruzione227, invece manifestamente incriminate nella corruzione pubblica (cfr. art. 322 CP). Ipotesi in cui la proposta non sia stata accolta, ovvero sia stata accolta ma non abbia prodotto il compimento dell‟atto antidoveroso (o del danno) dovranno essere considerate atipiche, non giustificandosi la punizione del corruttore: l‟offesa al patrimonio non si è materializzata.

VI) Nocumento

Il nocumento rappresenta l‟ulteriore evento del reato, che si lega eziologicamente all‟atto antidoveroso, il quale dovrà costituirne la “causa”. Sul punto, si registra una siderale differenza rispetto al diritto comunitario ( che impernia le fattispecie su modelli di pericolo astratto), nonchè dal Progetto Mirone (che, pure recando una privatizzazione di tutela, si fermava al pericolo concreto).

Il soggetto che subisce il depauperamento (patrimoniale o non, cfr. infra) è la società (come si ricava de plano dalla littera legis): la privatizzazione della tutela raggiunge, proprio in occasione di questo requisito, il suo massimo grado. La distonia rispetto agli strumenti comunitari è ancora 225

A. Martini, art. 2635 cc, op. cit. , 526

226 A. Martini, op. cit. , 521 227

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una volta lampante228, ma in questo caso si apprezza un ulteriore profilo di disomogeneità: i terzi esclusi dall‟impianto protettivo penalistico troveranno, nel parallelo ordinamento civile, tutti gli strumenti di tutela opportunamente previsti dal relativo codice229.

La questione più ampiamente dibattuta riguarda, però, la nozione di “nocumento”. Il legislatore ha, infatti, scelto di utilizzare una dizione diversa rispetto a quella usata nell‟attiguo art. 2634 CC (recante “danno

patrimoniale”): legittimo è, dunque, chiedersi se l‟area semantica entro cui collocarlo sia difforme. Invero, stante la possibile sovrapposizione tra le due norme, procedimenti interpretativi atti a valorizzarne la reciproca autonomia sembrerebbero auspicabili.

Alcuni autori230 ne sostengono la natura non patrimoniale. Con la conseguenza che tale requisito si integrerebbe dinanzi ad ogni ipotesi di “danno” (di matrice patrimoniale) ma anche a circostanze di lesioni all‟immagine, alla reputazione, alla credibilità (pensiamo alla ricadute che tali pregiudizi possano avere per le società quotate)231. Pare difficile poter contrastare questa teoria: stante la diversa dizione utilizzata dal legislatore (che in altre sedi del medesimo testo di riforma accoglie la nozione di “danno patrimoniale”, cfr. artt. 2622, 2623, 2624 CC), preciso compito dell‟interprete è dare un senso alle parole utilizzate232

. Certo, tale esito conduce la norma ad approcci parzialmente peregrini rispetto al rigido calco patrimonialistico, ma , anche a voler prescindere dall‟obiezione per cui ogni danno non patrimoniale ha ricadute patrimonialmente stimabili, non possiamo avvalorare prassi di “ortopedia” ermeneutica che tralascino del tutto il dato letterale.

228

Basti pensare all’Azione Comune, che contemplava l’ipotesi di danni a terzi (estranei all’ente) derivanti dalla mancata aggiudicazione del contratto.

229 Cfr. A. Martini, op. cit. , 527 , che considera le azioni di responsabilità verso gli

amministratori disponibili ai soci ed ai creditori che vedano compromessa l’integrità del patrimonio aziendale.

230 Ibidem 231

Dopo la riforma del 2012 (ex l. 190/2012, che tuttavia non ha mutato la dizione di “nocumento”) anche la giurisprudenza sempre essersi attestata su tale lettura estensiva. Cfr. Cass. pen. sez. V , 13/11/2012 n° 14765, che ha riconosciuto un “nocumento” nella lesione all’immagine dell’ente. Ciò che conta secondo i giudici è la valutabilità economica del pregiudizio arrecato.

232

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Dinanzi a ciò, posizione più moderata è quella di chi233vede in tale nozione un‟apertura al lucro cessante, oltre che al danno emergente (unica componente del “danno patrimoniale”) ed un possibile “spiraglio”, ancora non ”stabilizzato”, a danni non patrimoniali.