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Nell‟affrontare la questione delle possibili alternative civilistiche alla sanzione penale di condotte corruttive private, conviene subito

5. Raffronto normativo

E‟ necessario, ora, focalizzare la riflessione su di un più stringente raffronto normativo tra i reati di corruzione pubblica e quello di corruzione privata (entrambi come riformati ex l. 190/2012). Con la sua nuova formulazione, l‟art. 2635 CC incrimina: “Salvo che il fatto

costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società”. Segue l‟incriminazione del

cd. “sottoposto” (“Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei

mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma”), si prevede infine

la punibilità di chi “dà o promette denaro o altra utilità alle persone di

cui al primo e secondo comma”. Rimandando l‟esegesi puntuale ad una

fase successiva (cfr. infra, sub Cap. 5), in questa sede interessa imbastire un confronto strutturale tra questo reato e quelli di cui agli artt. 318 e ss. CP. In particolare, la norma da cui desumere analogie e differenze è l‟art. 319 CP, recante l‟ipotesi di corruzione propria (antecedente e

susseguente): la nozione di “atto d‟ufficio” sembra, infatti, essere il cardine attorno a cui ruotano entrambe le norme. Orbene, rinvenuto il primigenio elemento di comunanza, siamo costretti a constatare che le aree di sovrapposizione finiscono qui: infatti, oltre a contemplare anche ipotesi di corruzione susseguente (di cui non troviamo traccia nell‟art. 2635 CC), l‟anticipazione di tutela di cui al 319 CP non trova conferma nell‟art. 2635 CC, che la posticipa fino al “nocumento”. La indebita

confusione tra “consumazione” ed “esecuzione” sembra essere stata eletta a modello strutturale dal legislatore del 2012.

Proprio la ricaduta patrimoniale del “nocumento” è tale da echeggiare un altro reato, attiguo al 2635 CC: l‟infedeltà patrimoniale (art. 2634 CC).

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Questa fattispecie incrimina “Gli amministratori, i direttori generali e i

liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale”; data

questa formulazione, non si può fare a meno di rilevare come, malgrado lo stringente riferimento ai soli atti dispositivi (e la conseguente restrizione dei possibili soggetti attivi), l‟infedeltà ivi contemplata sia la medesima del 2635 CC. Quel generico “conflitto di interessi”, che funge

da presupposto generatore del 2634 CC, assume le sembianze di una “compravendita” nel 2635 CC, con ciò intensificandone la deprecabilità. Del resto, le due norme instaurano un rapporto di specialità reciproca. Gli elementi specializzanti dell‟art. 2634 CC: soggetti attivi limitati ai soli titolari dei poteri gestori, rilevanza dei soli atti dispositivi, nozione di “danno patrimoniale”, limitato alle sole ipotesi di “danno emergente”. Gli elementi specializzanti dell‟art. 2635 CC: patto corruttivo (non un generico “conflitto di interessi”), rilevanza del solo patrimonio dell‟ente (e non anche di quello amministrato per conto terzi). Come si vedrà (cfr. Cap. V, 3.XI), l‟eventuale concorso apparente tra le due norme è oggi risolto a favore dell‟art. 2635 CC.

In definitiva, la “corruzione tra privati”, di cui alla nuova formulazione, sarebbe nient‟altro, e ad onta della sua rubrica, che un ibrido tra “corruzione propria antecedente” ed “infedeltà patrimoniale”, assumendo le specifiche sembianze di una “infedeltà patrimoniale prezzolata”, per tutta parte orbitante all‟interno di interessi privatistici.

Tale ibridazione permette di cogliere una ulteriore lacuna di tutela. La struttura a corruzione propria antecedente, con esclusione della susseguente, esclude dalla fattispecie tutte quelle ipotesi in cui la “promessa o dazione di utilità” siano avvenute successivamente al compimento dell‟atto. Tale opzione è imposta dall‟economia funzionale della norma: la rigorosa causalità, che la conforma, impone che il “patto corruttivo” sia il primum movens di tutto l‟illecito, in grado di innescare le fasi successive (atto, dunque nocumento). Tale rigido decorso eziologico non avrebbe permesso l‟incriminazione di ipotesi susseguenti:

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ne sarebbe risultata compromessa l‟economia funzionale (fatta di un

prius e di un posterius) dell‟illecito ad esame. Tutto ciò, come anticipato,

ha come conseguenza il tratteggiarsi di un ulteriore vuoto normativo (casi di corruzione susseguente), tanto più incomprensibile alla luce della limitazione ai soli atti contrari ai doveri di ufficio che troviamo nel 2635 CC: il relegare la fattispecie alle sole ipotesi più gravi avrebbe dovuto consentire quell‟ampliamento da “disallocazione temporale” del patto, che troviamo non a caso nel vigente art. 319 CP.

Qualche perplessità suscita anche la scelta di escludere ipotesi corruttive cd. improprie: se da un lato, tale intendimento può apprezzarsi come volontà di escludere la rilevanza delle infedeltà soggettive al datore86 (che ben si manifesterebbero anche se l‟atto fosse conforme ai doveri di posizione), dall‟altro, non si può non rilevare un‟incrinatura della struttura di reato di pericolo astratto. Quel clima propizio alla ripetizione si instaura anche nelle ipotesi di corruzione impropria: il disponibile asservimento del funzionario interno si corroborerà sempre più all‟aumentare del numero di vicende corruttive, anche se esse hanno ad oggetto un atto conforme agli obblighi d‟ufficio. La compromissione dell‟etica degli affari, che passa per la creazione di “corsie preferenziali” nei rapporti con gli enti, ben si manifesta anche in queste particolari ipotesi, che del resto rilevano nell‟assetto dei reati di corruzione pubblica.

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Cfr. E. Musco, I nuovi reati societari, Giuffrè, Milano, 2004, 227 e ss. , che sottolinea come il rimprovero muovibile all’intraneo sia di aver abdicato alla necessaria “parzialità” nel perseguimento dell’interesse datoriale, donde una consistente differenza con i reati di corruzione pubblica, dove il bene protetto è invece “ l’imparzialità”

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CAPITOLO II