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Giunti a questo punto della trattazione, conviene assemblare i tratti salienti delle opzioni fin qui esposte, al fine di eleggerne uno valido e coerente per la modulazione di un reato di corruzione privata. Ebbene, il modello patrimonialistico non sembra prestarsi a questo scopo: ove si incriminasse il semplice pactum l‟anticipazione di tutela sarebbe troppo accentuata, ove si incriminasse l‟atto finiremmo per confondere consumazione con esecuzione, allontanandoci eccessivamente dal perimetro di un reato di corruzione. Nemmeno il modello lealistico sembra adeguato: ove si accogliesse la variante oggettiva, ancora una volta posticiperemmo troppo la tutela alla verificazione dell‟atto difforme, ove si privilegiasse la variante soggettiva, si configurerebbe un reato mal calibrato sul disvalore di un fatto corruttivo, per cedere il passo a criticabili ed eticizzanti impostazioni da “diritto penale del tipo d‟autore”, con soccombenza del principio di materialità. A tal proposito, una breve precisazione: non è detto che tutti i modelli fin qui letti ed analizzati debbano, ciascuno esclusivamente, costituire i pilastri di un reato corruttivo privato; ben potremmo, infatti, rintracciare l‟ influenza di due o più delle concezioni sin qui esposte. E‟ quanto sostiene, ad esempio, parte della dottrina spagnola73, allorquando l‟argomentazione verte sul disvalore centrale di una corruzione privata: per cui, in primis la finalità sarebbe quella di distogliere l‟intraneus dai suoi doveri posizionali74 (modello lealistico), con conseguenza indiretta, quale la

73

J. L. De la Cuesta, I Blanco Cordero, La criminalizzazione, op.cit. , 43 e ss.

74 E si tratta forse di una lettura pragmatica meritevole di qualche attenzione: nelle

intenzioni del corruttore rintracciamo sicuramente una volontà di realizzare uno sleale connubio “a spese” di parte datoriale, non certo avendo in animo, quale prima e diretta conseguenza, la finalità di alterare un più astratto (dalla sua ottica) equilibrio concorrenziale

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alterazione dei concorrenziali equilibri di mercato (modello- concorrenza).

Al netto di questa considerazione, ed assorbite le censure mosse alla quarta prospettiva- quella delle privatizzazioni-, il paradigma che, direttamente o indirettamente, meglio si presta a giustificare un reato di corruzione privata è sicuramente quello concorrenziale. E in effetti, non è un caso che i maggiori strumenti di diritto europeo ruotino, nei loro Preamboli, tutti attorno a questa importante dimensione: dall‟Azione comune75, alla Convenzione di Strasburgo76, alla Decisione Quadro 2003/568/GAI.77

Orbene, viene da chiedersi se il bene-concorrenza sia in grado di sorreggere un compito di incriminazione così ambizioso. Dobbiamo, anzitutto, osservare come tale bene sia in realtà già tutelato negli ordinamenti statali, dunque, i sopracitati strumenti internazionali non ne segnano il debutto, ma al massimo l‟evoluzione giuridica78

. Infatti, a fronte di una già sperimentata tutela amministrativa e civilistica (si veda a tal proposito in Italia la l. 287/1990, legge anti-trust), se ne impone un presidio additivo: quello penalistico. A tale riguardo, due sono le riflessioni che si impongono, entrambe ruotanti intorno al principio di sussidiarietà.

La prima riguarda la progressione di tutela nel presidio, marcatamente penalistico79. Il modello di pericolo astratto su cui viene imperniato un reato di corruzione privata si pone, infatti, alla distanza massima dalla tutela che si impone di apprestare alla lealtà concorrenziale. Si tratta,

75

Dal Preambolo dell’Azione Comune UE del 22 dicembre 1998: “considerando che la

corruzione falsa la concorrenza lealee compromette i principi di apertura e di libertà dei mercati, in particolare il buon funzionamento del mercato interno, ed è contraria alla trasparenza e all'apertura del commercio internazionale”

76

Dal Preambolo della Convenzione penale sulla Corruzione, Strasburgo 1999:

sottolineando che la corruzione (…)falsa la concorrenza, ostacola lo sviluppo economico(…)

77

Dal Preambolo della Decisione Quadro: “Gli Stati membri annettono particolare

importanza alla lotta contro la corruzione sia nel settore pubblico che in quello privato, poiché ritengono che la corruzione in entrambi tali settori costituisca una minaccia allo stato di diritto e inoltre generi distorsioni di concorrenza riguardo all'acquisizione di beni o servizi commerciali e ostacoli un corretto sviluppo economico”

78

R. Zannotti, La corruzione privata: una previsione utile nel nostro ordinamento?

Riflessioni su un dibattito in corso, in Ind. pen., 2005, 531 e ss 79

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allora, di capire se violazioni ben più vicine alla fonte del danno vengano adeguatamente sanzionate (almeno) allo stesso modo. Ebbene, seguendo la gittata di tutela, ed avvicinandoci progressivamente alla fonte di danno, troviamo le ccd. “intese restrittive della libertà di concorrenza”, previste dall‟art. 2 l.287/1990 e trattate con sanzione amministrativa pecuniaria (cfr. art. 15 della stessa legge): non si tratta, dunque, di illeciti penali. Ancora proseguendo, troviamo poi il cd. “abuso di posizione

dominante”, previsto dall‟art. 3 l. 287/1990, e represso parimenti con

sanzione amministrativa pecuniaria, donde la mancata penalizzazione di ipotesi di danno, che comprimono direttamente la libertà concorrenziale. Come si vede, la sanzione penale di condotte (corruttive private) in grado di arrecare un solo pericolo astratto al bene-concorrenza, non trova analoghi presidi (penalistici) nel rimprovero di condotte ben più vicine all‟effettivo prodursi dell‟offesa (casi di “pericolo concreto” o di “danno”), e per questo più gravi. Tale considerazione non può che portarci a manifestare perplessità circa l‟opportunità di proteggere penalmente gli equilibri concorrenziali macroeconomici. La extrema

ratio penale reclamerebbe la criminalizzazione delle sole condotte più

gravi nella progressione di offesa ad un bene giuridico; dunque, esattamente la soluzione opposta a quella prospettata: in primis, presidiare le ipotesi di danno, solo in via successiva i casi di pericolo, progressivamente allontanandosi dell‟offesa effettivamente procurata. Il che peraltro stimola più ampie riflessioni attinenti al rapporto tra diritto penale domestico e diritto penale europeo80: questa imprescindibile branca dell‟ordinamento giuridico rappresenta da sempre il luogo dove si sono manifestate le “autarchiche” pulsioni della sovranità nazionale; tuttavia, con i processi di europeizzazione81 – e le conseguenti incursioni nei diritti nazionali di strumenti giuridici vincolanti, recanti obblighi di armonizzazione e conformazione-, l‟imperio normativo che lo Stato può esercitare sul diritto criminale è andato progressivamente ad affievolirsi. Una delle principali conseguenze di ciò, per quello che qui interessa specificamente, è la aprioristica (o forse assente) valutazione circa una

80

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supposta conformità al principio di extrema ratio. Tale critica non deve, tuttavia, assumere portata dirimente: le finalità di armonizzazione tipiche dell‟ordinamento comunitario consentono, infatti, l‟implementazione della funzione general-preventiva, di medesimo nobile lignaggio della sussidiarietà. Sarebbe ingenuo anche solo pensare alla possibilità di funzionamento di un diritto penale modellato esclusivamente sul calco delle esigenze domestiche, ignorando la trans-nazionalità del crimine economico ed organizzato. Si tratterà, semmai, di prevedere degli schemi di tutela duttili, in grado di adattarsi alle specificità degli ordinamenti nazionali.

Volendo, dunque, prescindere da questa critia, e stavolta astraendosi dalle singole realtà ordinamentali, vi è chi solleva ulteriori perplessità.82In particolare, si rileva come il singolo bene giuridico- concorrenza non giustifichi, in termini di disvalore, l‟introduzione di un simile reato, essendo necessario un ulteriore profilo di (almeno) pericolo concreto verso un ulteriore bene giuridico: il patrimonio di terzi. Da questo punto di vista, l‟unico strumento in grado di assicurare tale additiva protezione, comminando un adeguato trattamento sanzionatorio, sarebbe l‟Azione comune Ue 1998, che al suo art. 2, Co 2, dopo aver definito la corruzione privata passiva, specifica che “queste misure si

applicano almeno ai casi di condotte che comportino o possano comportare distorsione di concorrenza come minimo nell'ambito del mercato comune e producano o possano produrre danni economici a terzi attraverso una non corretta aggiudicazione o una non corretta esecuzione di un contratto”; proprio questo inciso finale suonerebbe

come la previsione di quel pericolo concreto additivo, in grado di adeguatamente fondare la previsione del reato. Ne consegue che, tutti quei modelli di incriminazione calibrati solo ed esclusivamente sul bene- concorrenza, manifesterebbero, quanto meno, una distonia politico- criminale rispetto alla previsione di un trattamento sanzionatorio penale. Queste perplessità finali non devono in alcun modo porre in discussione l‟obbligo di conformarsi al diritto dell‟Unione, nonché dunque 81

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l‟introduzione di un reato di corruzione privata in Italia. Semplicemente, vuol trattarsi di un adeguato stimolo di riflessione che, un po‟ come avviene con la comparazione, porti al miglioramento della tecnica legislativa, e dunque delle formulazioni dei tipi criminosi. Infatti, mantenendo un margine di discrezionalità nella traduzione normativa dei testi sovranazionali, gli Stati membri preservano anche la possibilità di forgiare fattispecie calibrate alla luce delle suddette critiche, per fissare al meglio il baricentro offensivo delle fattispecie.

Anche al netto di questa considerazione, tuttavia, non vogliamo tralasciare l‟ipotesi estrema: le alternative civilistiche (e non solo) alla tutela del medesimo bene giuridico, nella ipotesi (solo supposta) di una mancata incriminazione della fattispecie in parola.

4. Le alternative civilistiche

Nell‟affrontare la questione delle possibili alternative civilistiche alla