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Dal “Progetto Mirone” al d.lgs 61/

AGLI ALBORI DELLA PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE PRIVATA IN ITALIA

II) Convenzione di Strasburgo

1. Dal “Progetto Mirone” al d.lgs 61/

La considerevole pressione giuridica e culturale, che i richiamati moniti sovranazionali avevano prodotto, indusse il legislatore del 2002 alla riforma del diritto penale societario, attuata mediante il d.lgs. 61/2002. Tale normativa, che si innesta in un più generale quadro di riforma del diritto societario (d.lgs. 6/2003), è il risultato di un travagliato

iter parlamentare, durante il quale più volte è stata cambiata la

formulazione del reato.

L‟originario DDL 7123/2000 (recante il progetto di legge delega da presentare al Parlamento) accoglieva le proposte della cd. Commissione Mirone, da cui il nome “Progetto Mirone”. Tale progetto faceva riferimento alle sopra descritte Azione Comune e Convenzione di Strasburgo (nonostante la mancata ratifica), ed auspicava una “una

innovativa fattispecie di corruzione, che esport(asse) in campo privatistico societario, con gli opportuni adattamenti, il tradizionale modello punitivo della corruzione (propria) di pubblico ufficiale”191. Ad una dichiarazione d‟intenti tendenzialmente conforme al diritto comunitario (che esigeva la formulazione di strutture incriminatrici simili alla corruzione amministrativa), si opponeva, tuttavia, il contrasto

191 Cfr. art. 10, Co 6.13 Relazione e schema al Progetto della commissione Mirone (dddl

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derivante dalla sedes materiae: la scelta per un reato societario non poteva che comportare un ripiego privatistico della norma (nella protezione del patrimonio sociale), rinunziando alla tutela di interessi diffusi 192.

La struttura della norma: si chiedeva l‟introduzione di un reato di pericolo (concreto) per il patrimonio sociale, secondo il modello di “infedeltà patrimoniale” (cfr. art. 2634 CC, concepita come ipotesi di danno), in cui il conflitto di interessi fosse determinato di “dazione o promessa di utilità”.193 Completava la proposta il nomen iuris di “corruzione”, in ossequio al diritto europeo, oltre che alle istanze dottrinali.

Pare chiaro come tale Progetto non fosse in linea con gli standard comunitari: la patrimonializzazione della tutela (“pericolo di danno”) escludeva il modello-concorrenza (che richiede, come noto, la configurazione a “pericolo astratto”), peraltro recidendo ogni possibilità di coordinare l‟offesa con i referenti individuali dell‟Azione comune (impossibile, una volta configurato il pericolo per il patrimonio, direzionare la fattispecie al pericolo di non aggiudicazione di un contratto per i terzi). L‟avanzamento di tutela al compimento dell‟atto, inoltre, attestava il perfezionamento del tipo ad una indebita fase “consumativa” del pactum sceleris, che privava di disvalore il semplice mercimonio (se non, addirittura, qualificandolo come “oltraggio etico”). Tale critica, di per sé, rivelava la totale inadeguatezza della rubrica prescelta: “corruzione”.

In altre parole, il Progetto Mirone forgiava una fattispecie di “infedeltà” che, per essere generata da un accordo occulto, risultava più grave di

192

Mentre, invece, sia l’Azione Comune sia la Convenzione di Strasburgo richiedevano il varo di una fattispecie comune, applicabile a “tutte le entità del settore privato”.

193 Dal medesimo art. 10, Co 6.13: “A completamento della tutela apprestata dalla figura dell’infedeltà patrimoniale, innanzi illustrata, la fattispecie risulta peraltro nitidamente orientata in chiave di protezione del patrimonio sociale, piuttosto che di salvaguardia di un astratto e preliminare "dovere di fedeltà" al mandato degli autori dell’illecito (amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori e responsabili della revisione): l’accettazione di indebite utilità, o della relativa promessa, da parte dei soggetti qualificati è infatti punita nei limiti in cui operi da fattore determinante il compimento o l’omissione di atti in violazione degli obblighi inerenti al rispettivo ufficio, da cui derivi (quantomeno) un pericolo di nocumento per la società.

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quella ex art. 2634 CC. Tale maggior gravità legittimava un arretramento di tutela al “pericolo concreto” 194

(rispetto al “danno” richiesto per la semplice infedeltà patrimoniale), dotando il sistema di un maggiore e “più lontano” presidio. A ben vedere, tale struttura si presentava come tratto di lode del Progetto in parola: non conforme ai desiderata sovranazionali, ma coerente nel sistema delle infedeltà.

Con i vari passaggi parlamentari, tale originaria proposta subì addirittura una diluizione. Al momento della approvazione della legge- delega (l. 366/2001), consistenti erano le novità: un cambio di rubrica (in una più cauta dizione “comportamento infedele”), l‟avanzamento di tutela ad un requisito di “nocumento”, l‟introduzione (a seguito di osservazione parlamentare) di condizione di procedibilità a querela della persona offesa.195 Significativo notare come, nel corso dei lavori parlamentari, sia scomparso ogni riferimento agli atti comunitari: la volontà del legislatore sembra, dunque, ignorare totalmente il contesto sovranazionale, nell‟approntare una tutela autoreferenzialmente correlata all‟ordinamento interno.

Con il successivo recepimento, mediante d.lgs. 61/2002, si è ulteriormente assistito ad un cambio di rubrica (in “infedeltà a seguito di

dazione o promessa di utilità”): come si legge nella relazione governativa

al decreto delegato, tale cambio “meglio si armonizza con il contenuto

della fattispecie e meglio segnala la distinzione dalla infedeltà patrimoniale”. Definitivo, dunque, l‟abbandono, non solo della struttura,

La punibilità è ovviamente estesa a chi dà o promette l’utilità.” 194

Cfr. A.Zambusi, Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità (art. 2635 C.C.) :

alcuni aspetti problematici, in Ind. Pen. N° 3/ 2005, 1035-1066, che ne sottolinea la

natura di “fattispecie avamposto” al 2634 CC; oltre che V. Militello, I reati d’infedeltà, in Dir. Pen. Proc.. 698-706; in senso più sistematico, vd. inoltre L. Foffani, Commento

all’art. 2635 c.c.,in Commentario breve alle Leggi penali complementari, a cura di

Paliero-Palazzo, 2a ed., Padova, 2007, 2635

195

Cfr. art.11 (Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali), l. 366/2001, dedicato al reato in questione: “13) comportamento

infedele, consistente nel fatto degli amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori e responsabili della revisione, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, se ne deriva nocumento per la società; prevedere la pena della reclusione fino a tre anni; estendere la punibilità a chi dà o promette l’utilità; prevedere la procedibilità a querela”

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ma della “cultura” della corruzione196

: la recisione con ogni elemento di tutela pubblicistica, nonché l‟omogeneizzazione con la toponomastica delle “infedeltà”, segna un definitivo ripiego sull‟esclusivo bene- patrimonio. Vi è, inoltre, una sopravvenuta criticità: un‟incoerenza di fondo con l‟attiguo art. 2634 CC. La trasformazione in fattispecie di danno (già ascrivibile alla legge delega) porta, infatti, ad una indebita sovrapposizione tra le due norme, ponendo seri interrogativi, oltre che di politica criminale, di interpretazione sistematica nella prassi concreta (cfr. infra). Per il resto, la struttura prescelta dal decreto conferma le deduzioni fatte in sede di legge delega, seguirà dunque la sua specifica analisi.