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Reati di “compensi illegali ai revisori” e “corruzione dei revisori”

AGLI ALBORI DELLA PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE PRIVATA IN ITALIA

III) Reati di “compensi illegali ai revisori” e “corruzione dei revisori”

Il previgente art. 178 d.lgs. 58/1998 (cd. “testo unico della finanza”, di seguito “tuf”) prevedeva il reato di “compensi illegali ai revisori”. Tale fattispecie incriminava “il responsabile della revisione legale, gli

amministratori, i soci e i dipendenti della società di revisione che a(vessero) percepito, in via diretta o indiretta, dalla società soggetta a revisione compensi in denaro o in altra forma”. Erano dunque richieste:

la effettiva percezione del compenso, oltre che la provenienza dello stesso dalla società soggetta a revisione. Tale incriminazione configurava, già prima del 2002, una settoriale ipotesi di corruzione privata, speciale rispetto ad un (eventuale in quel momento) reato generale, ed incentrata sulla tutela della stabilità contabile delle società. Si tutelavano, dunque, interessi di natura pubblicistica, nella misura in cui un efficiente ed imparziale controllo sulla correttezza dei conti presieda ad una complessiva “tenuta” del sistema produttivo-finanziario. Dopo il 2002, la norma ad esame si dimostrava inutilmente duplicatoria dell‟art. 2635 CC (formulazione risultante ex d.lgs. 61/2002). Tale disposizione, infatti, comprendeva tra i suoi soggetti attivi anche i revisori contabili, ma (a differenza dell‟art. 178 tuf ) era strutturata, sul versante attivo, come reato comune, ed inoltre richiedeva, non solo il compimento dell‟atto antidoveroso, ma anche il nocumento per l‟ente di appartenenza (in questo caso la società di revisione). Tali requisiti aggiuntivi configuravano certamente l‟ ”infedeltà a seguito di dazione o

promessa” come ipotesi più grave rispetto ai “compensi illegali” : ciò

non trovava conferma nella comminatoria edittale: più grave quella di cui al 178 tuf ( reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 206 a 1032),

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meno afflittiva quella di cui al 2635 CC (reclusione da quindici giorni a tre anni), oltre che nella condizione di procedibilità (d‟ufficio per la prima ipotesi, su querela per la seconda). Ad ogni modo, si riteneva di applicare la prima ipotesi nel caso di compenso proveniente da società “revisionanda”, la seconda nel caso di provenienza dello stesso dal “quivis de populo”.

A causa delle segnalate incoerenze, la dottrina167 auspicava da tempo un intervento rimodulatore dell‟intero settore, atto a configurare una unitaria fattispecie di “corruzione del revisore”.

Tale auspicata novella è finalmente intervenuta nel 2010, pur con qualche residua incoerenza di fondo. Con d.lgs. 39/2010168, si è abrogato il suddetto art. 178 e si sono introdotti i reati di “corruzione dei revisori” (art. 28 tuf, a sua volta contenente due ipotesi diverse, cfr. infra) e “compensi illegali ai revisori” (direttamente mutuato dalla normativa precedente, cfr. infra).

Tale decreto ha, inoltre, soppresso il riferimento ai “revisori” tra i soggetti attivi dell‟art. 2635 CC, con ciò rimuovendo la sopra menzionata inutile duplicazione soggettiva.

Il reato di “corruzione dei revisori” incrimina “i responsabili della

revisione legale, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compi(ano) od omett(ano) atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società” (cfr. art. 28,

I). La stessa pena si applica a chi dia o prometta l'utilità. Come si evince dal testo, tale fattispecie risulta fortemente debitrice della medesima tecnica di cui all‟art. 2635CC: una forte patrimonializzazione della tutela legittima l‟interprete a ritenere che il nocumento debba essere apprezzato in relazione all‟ente-società di revisione, in cui il responsabile-corrotto è incardinato. Si può, dunque, ben sostenere come tale ipotesi, lungi dall‟incriminare un fatto corruttivo tout court, contempli una particolare infedeltà (patrimoniale) del revisore, il quale, asservendo il proprio

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A. Zambusi, , Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità (art. 2635 c.c.):

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operato ad interessi esterni, certamente produrrà delle conseguenze pregiudizievoli (si vedano ad esempio i danni reputazionali) all‟ente per cui presta operato.

Il secondo comma della medesima norma prevede, invece, un‟ipotesi mutuata dal precedente art. 174 ter tuf (a sua volta introdotto con l. 262/2005, cd. “legge a tutela del risparmio”), che incrimina “il

responsabile della revisione legale e i componenti dell'organo di amministrazione, i soci, e i dipendenti della società di revisione legale, i quali, nell'esercizio della revisione legale dei conti degli enti di interesse pubblico o delle società da queste controllate, fuori dei casi previsti dall'articolo 30, per denaro o altra utilità data o promessa, compi(ano) od omett(ano) atti in violazione degli obblighi inerenti all'ufficio”. Si

prevede la stessa pena per il corruttore. Orbene, tale ipotesi si applica solo alla revisione legale di particolari enti (si richiede un diretto o indiretto interesse pubblico sotteso all‟ente “revisionando”) ed esige, oltre al patto corruttivo, il compimento o l‟omissione di un atto in violazione dei doveri posizionali. Tale schema si avvicina molto di più ad un‟ipotesi di “corruzione” di quanto non faccia l‟art. 2635 CC, nella misura in cui, il progredire dell‟iter criminoso si arresta alla richiesta di una condotta (commissiva od omissiva), senza giungere al “nocumento”. Per questa via, l‟interesse sotteso alla norma sembra davvero essere quello pubblicistico di “indipendenza” ed “imparzialità” alla revisione legale, onde consentire quella fondamentale stabilità finanziaria cui, nel complesso, questi enti di controllo sono funzionali. In particolare, nella violazione dell‟obbligo posizionale, si apprezza quel “pericolo” per l‟alterazione del flusso informativo, che attenta ai predetti doveri di correttezza e buona fede.

A fronte di questa nuova norma, il legislatore del 2010 sceglie di mantenere anche l‟ipotesi di “compensi illegali ai revisori”. Al suo art. 30, il tuf sanziona, infatti, “il responsabile della revisione legale e i

componenti dell'organo di amministrazione, i soci, e i dipendenti della

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Per un’analisi sistematica della mutata disciplina in materia di revisione legale dei conti, cfr. F. Centoze, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti”, in Dir.

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indirettamente, dalla società assoggettata a revisione legale compensi in denaro o in altra forma, oltre quelli legittimamente pattuiti”. La struttura

fondamentale è dunque quella del previgente art. 178, ancora richiedendosi: provenienza “qualificata” del compenso, percezione dello stesso, illegittimità del medesimo.

Il rapporto intercorrente tra art. 30 e art. 28, II è, secondo un autore169, di specialità bilaterale. Gli elementi specializzanti dell‟art. 28, II: presenza di un ente di “interesse pubblico”, compimento od omissione dell‟atto in violazione degli obblighi d‟ufficio (per utilità anche solo “promessa”). L‟elemento specializzante dell‟art. 30: percezione del compenso dalla società soggetta a revisione, in via “diretta o indiretta”, oltre quello legittimamente pattuito. Alla luce di ciò, laddove uno dei soggetti attivi previsti dalle due norme abbia violato gli obblighi, per adempiere un accordo corruttivo stipulato con uno degli appartenenti alla società soggetta a revisione (di interesse pubblico), e consistente nel pagamento di un compenso superiore a quello legittimamente pattuito170, si integrerà un concorso apparente di norme (l‟inciso contenuto nell‟art. 28, II, “fuori

dei casi previsti dall‟articolo 30”, è tale da escludere un cumulo tra le

due fattispecie). Stante la maggiore gravità sanzionatoria di cui all‟art. 28,II (reclusione da uno a cinque anni) rispetto all‟art. 30 (reclusione da uno a tre anni e multa da euro mille a centomila), e, considerando che la seconda norma offre solo “una tutela avanzata rispetto alla corruzione

dei revisori e all‟effettiva violazione degli obblighi inerenti all‟ufficio”171

, si propende per l‟applicazione del primo reato.