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I reati di infedeltà e corruzione pubblica

LA PROSPETTIVA COMPARATISTICA

II) I reati di infedeltà e corruzione pubblica

Coì tracciato lo schema della norma, è il caso di rilevare come ad esso, nel suo complesso, si faccia poco ricorso nella prassi giudiziaria. Infatti, si preferisce applicare, quale vero e proprio surrogato di tutela, altre due fattispecie, repressive delle medesime condotte: da una parte, le norme classiche sulla corruzione pubblica, dall‟altra, le norme sull‟infedeltà patrimoniale.

I paragrafi § 331 e ss. StGB incriminano la corruzione pubblica: tali disposizioni, grazie ad alcuni escamotage interpretativi, possono essere applicate anche alle entità del settore privato almeno in due casi. Il primo riguarda le ipotesi di privatizzazione formale, dinanzi alla gestione di attività che “non possono essere svolte dai privati”115

. Grazie alla clausola estensiva di cui al § 11, co.1, n°2, lett. c), la nozione di “pubblico ufficiale” può, infatti, essere estesa a questi “enti privati”, donde l‟applicabilità dei § 299 e ss. Il secondo riguarda invece casi di enti pubblici che gestiscono attività con fini di lucro: qui, opererà de

plano il §11, Co. 2, lett. a)e b), dunque nessun dubbio alla possibile

applicazione dei reati di corruzione pubblica.

Il caso dell‟infedeltà patrimoniale è, invece, più complesso. Disciplinata dal § 266 StGB, essa richiede alcuni requisiti di fattispecie: la sussistenza di un obbligo in capo all‟intraneo, la violazione di tale obbligo, un danno all‟ente, il dolo (particolarmente difficile provare che esso insista anche sul danno); dottrina e giurisprudenza sono andate, inoltre, elaborando un ulteriore requisito: un‟autonomia discrezionale in capo al soggetto infedele116. Per tale via, l‟obbligo che si richiede violato diventa un vero e proprio episodio di mala gestio, avendo l‟intraneo mal esercitato il proprio potere di scelta.

Alla luce di ciò, risulta possibile sanzionare il funzionario corrotto che, violando l‟obbligo (a seguito di corruzione) e cagionando un danno, commission of such acts. Section 73d shall also be applicable if the perpetrator acted professionally.”

115

BGHst 43, 370

116

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abbia disatteso quello standard di fedeltà che doveva all‟ente. A parte le critiche muovibili a tale impostazione117, si è costretti a rilevare come essa lasci impunito l‟estraneo-corruttore, a cui certamente non si può richiedere un dovere di lealtà nella gestione dell‟ente. La dottrina tedesca risolve tale impasse mediante l‟istituto del concorso nel reato (in particolare, istigazione all‟infedeltà patrimoniale); ma, tale opzione non convince a fondo: non si capisce in che modo il soggetto esterno possa esser “compartecipe” di quel disvalore di infedeltà che riguarda solo l‟ente e che si chiama ad erigere la norma.

Mentre la prima tecnica (di estensione della corruzione pubblica) presenta notevoli lati positivi, il ricorso all‟infedeltà patrimoniale richiama metodi arcaici di incriminazione che non possono essere condivisi. Meglio, dunqu,e ricorrere al § 299 StGB che, sia pure con elementi di criticità che ne appannano la tutela, si presenta, tutto sommato, come norma “ragionevole” nella tutela del bene-concorrenza.

III) Riflessioni sul bene giuridico

Il bene giuridico tutelato è quello della “concorrenza”: la sedes

materiae, la locuzione “in modo sleale”, oltre che la tradizione storica

della Germania nella repressione della corruzione privata (si veda l‟art. 12 UWG del 1909) depongono in tal senso. E tuttavia, non mancano elementi di ambiguità, tali da incrinare parzialmente questo modello. Anzitutto, la perseguibilità a querela: è vero che con la modifica del 1997 si è introdotta una incisiva clausola di perseguibilità officiosa, ma se davvero l‟impianto deve essere quello pubblicistico della concorrenza, meglio prevedere, in tutti i casi, che l‟azione penale si eserciti d‟ufficio. Persistendo la querela, ci si chiede quale sia la “persona offesa”118

titolare del relativo potere: la dottrina cerca di estendere tale concetto al

117

Si tratta delle medesime critiche alla legislazione italiana che, patrimonializzando e posticipando la tutela, concepisce un tipo legale eccessivamente restrittivo, lasciando la maggior parte dei casi privi di repressione.

118

§ 301 fa riferimento quale titolare del potere, oltre alla persona offesa, ad una serie di enti rappresentativi indicati nel § 13, II, n° 1,2 e 4 UWG, ai quali si rimanda.

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“concorrente leso”119, ma l‟individuabilità di tale soggetto, nella prassi, è

da ritenersi quanto mai difficoltosa; è evidente, dunque, il semplificatorio ricorso al soggetto- “datore di lavoro”. Così facendo però, il modello di tutela scivola velocemente verso il paradigma privatistico (del patrimonio o della “fiducia”), declassando ad un piano secondario il bene- concorrenza.

Proprio il “datore di lavoro” (oltre che il “lavoratore autonomo” esterno) costituiscono la seconda ambiguità della norma: perché escluderlo dal novero dei soggetti attivi se si intende tutelare la concorrenza? Forse che le condotte elencate dal § 299, I non possono da lui esser compiute?120 Anche questa scelta, peraltro in contrasto con i principali strumenti di diritto europeo, getta un alone di oscurità sulla nitidezza del bene tutelato: è evidente che spinte distorsive della concorrenza possano provenire, a maggior ragione, dal più apicale degli apicali: il titolare dell‟azienda. Anzi, avendo esso un patrimonio conoscitivo senza pari, nonché un incontrastato margine di azione, il potenziale pregiudizio insito nelle sue condotte è ben più ampio di quello addebitabile ai suoi sottoposti.

Infine, la nozione di “slealtà”: essa meriterebbe, quanto meno, una implementazione di determinatezza, nella direzione di una tutela più nitida al bene-concorrenza. Abbiamo già detto di come la scarsa determinatezza legittimi orientamenti dottrinali diretti ad una sostanziale abrogazione dell‟elemento. Alla luce di ciò, sarebbe necessaria una chiara presa di posizione da parte del legislatore.

La dottrina tedesca, nonostante un ordinamento saldamente ancorato alla tutela della concorrenza, manifesta qualche perplessità rispetto a tale opzione121. L‟interrogativo maggiore è suscitato dal canone di sussidiarietà. Si riflette sulla possibilità dell‟intervento penale di surrogarsi ad altri e preventivi rimedi civili od amministrativi122. La previsione di un reato, in particolare, sarà legittima solo se additiva di un

119

T. Ronnau, Wirtschaftskorruption, in A. Achenbach H.-Ransiek (a cura di),

Handbuch Wirtschaftsstrafrech, 2007, 15 e ss. 120

J. Vogel, op. cit. , 90 e ss.

121

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insieme di rimedi preventivi, dinanzi al cui fallimento ha senso la politica della repressione. In altre parole, prevenzione e repressione non si escludono, ma si completano. Con la conseguenza che, prevedere la seconda senza la prima significa, oltre che indirizzare un messaggio disomogeneo alla collettività, impostare la fattispecie incriminatrice su di un terreno malfermo, destinandola ad un “eccesso di domanda” che ne cagionerà il collasso. Si rileva, dunque, come il bene-concorrenza debba essere implementato di un adeguato strumentario di tutela che, a partire dal terreno civilistico, per passare da quello amministrativo, conduca alla sanzione penale quale extrema ratio, dinanzi al fallimento degli altri rimedi.

Ciò considerato, e nonostante le perplessità dottrinali, l‟esperienza tedesca può a buon diritto essere apprezzata come una delle più felici (e coerenti col diritto europeo) “isole” nella repressione della corruzione privata.

4. Francia

I) La disciplina originaria

Anche l‟ordinamento francese vanta una tradizione risalente nella

repressione della corruzione privata: non che il code penal del 1810 prevedesse una simile ipotesi, ma una loi d‟adaptation del 1919 vi inserì un articolo 177 rubricato, “corruption du salariè”, disposizione poi trasferita (mediante una integrativa loi d‟adaptation del 1994, in occasione della riforma del code penal) nel code du Travail, art. L-152- 6123. Tale trasferimento manifesta plasticamente quanto – fino al 2005 (cfr. infra) – il modello di tutela francese sia stato conforme a parametri 122

J. Vogel, op. cit. , 93

123 1.Le fait, par tout directeur ou salarié, de solliciter ou d'agréer, directement ou indirectement, à l'insu et sans l'autorisation de son employeur, des offres ou des promesses, des dons, présents, escomptes ou primes pour accomplir ou s'abstenir d'accomplir un acte de sa fonction ou facilité par sa fonction, est puni de deux ans d'emprisonnement et de 30000 euros d'amende.

2.Est puni des mêmes peines le fait, par quiconque, de céder aux sollicitations définies à l'alinéa précédent ou d'en prendre l'initiative.

3.Dans les cas prévus au présent article, le tribunal peut également prononcer, à titre de peine complémentaire, pour une durée de cinq ans au plus, l'interdiction des droits civiques, civils et de famille prévue par l'article 131-26 du code pénal.

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lealistici, nella tutela della “fiducia” dovuta al datore di lavoro. La sede- code du Travail esemplifica plasticamente questa nitida scelta incriminatrice.

A ben vedere, tuttavia, alcune significative differenze, oltre alla sede, si apprezzano rispetto all‟originario modello del 1919.

In primo luogo, la ratio incriminatrice: l‟originaria disposizione, pur modellandosi sulla figura del “dipendente fedifrago”, era stata inserita subito dopo i delitti di corruzione pubblica, a significare un fondamentale interesse pubblicistico sotteso ad entrambi i gruppi di fattispecie. Invero, alcuni scandali economici, che avevano caratterizzato la Francia di inizio „900, rappresentavano drasticamente la incontrollabile potenzialità lesiva che gli accordi illeciti manifestavano verso interessi, quali la pubblica incolumità124. Tale assetto perderà totalmente di “senso” nel nuovo code

du Travail, dove la tutela esclusivamente privatistica verrà consolidata

anche topograficamente.

In secondo luogo abbiamo il requisito del “danno”: pur essendo stato proposto, in sede di lavori parlamentari, quale elemento di tipicità, esso non trovò poi accoglienza nella formulazione definitiva della norma. In tale illustre diniego traspare, ancora una volta, quel fondamentale assetto pubblicistico cui il legislatore del 1919 guardava con qualche interesse. Venendo alla struttura della norma, dobbiamo considerare anzitutto i soggetti attivi. La attuale formulazione (che comprende “direttori e dipendenti”) è debitrice di quella interpretazione restrittiva125

dell‟art. 177, che si era affermata sotto il previgente codice penale, e che vedeva, nel riferimento a “commessi, impiegati o incaricati”, un richiamo esclusivo a soggetti subordinati nell‟organigramma aziendale, con esclusione di dirigenti e amministratori. Tale opzione ermeneutica verrà quindi cristallizzata nel codè du Travail: i soggetti esclusi dal reato di

124

Si veda a tal proposito M. P. Lucas de Leyssac, Il Delitto di corruzione dei dipendenti

in Francia, in Acquaroli (a cura di), La Corruzione, op. cit. , 97 e ss. , che ricorda episodi

incorsi durante la Prima Guerra mondiale e riguardanti imprese erogatrici di servizi pubblici essenziali.

125 C. Di Nardo, L’infedeltà patrimoniale e la “corruzione privata”. Aspetti

comparatistici, in Magistra Banca e Finanza Rivista di Diritto bancario e finanziario,

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corruzione privata saranno puniti, come la prassi giurisprudenziale è procline a fare, per “abus des biens sociaux”, fattispecie ritenuta più consona alle condotte abusive dei soggetti apicali.

Segue poi la condotta, che consiste nel sollecitare o accordarsi per “offerte, promesse, doni, regali, sconti o premi”. Ovviamente, il primo comma guarda al lato della corruzione passiva: sarà il secondo comma a contemplare i medesimi contegni dal lato attivo.

Due le caratteristiche di codesti atti. Anzitutto la segretezza: devono essersi svolti “all‟insaputa” del datore di lavoro. Essendo la fattispecie intimamente diretta alla tutela degli interessi datoriali, è ovvio che la conoscenza (e la tolleranza) di tali prassi da parte del titolare dell‟interesse protetto sarà tale da sortire un esito “scriminante”. Tale elemento normativo costituisce, di gran lunga, la cifra caratterizzante dell‟illecito in esame.

Necessaria poi la “precedenza” di tali condotte al compimento dell‟atto: il pactum sceleris dovrà dunque preesistere126 . L‟accusa dovrà, inoltre, provare la “causalità psicologica” tra corruzione ed infedeltà, non giustificandosi per altre vie la rimproverabilità del soggetto estraneo. Posto che ad esso non saranno richiedibili standard di fedeltà verso il datore di lavoro, esso potrà essere punito solo in quanto abbia “cagionato”, “innescato” tale infedeltà (cfr. supra, pur con qualche perplessità politico-criminale).

La finalità della condotta è data dal compiere o astenersi dal compiere un atto della funzione o facilitato dalla funzione. Nulla di particolarmente innovativo rispetto ai delitti di corruzione pubblica, con l‟avvertenza che la seconda alternativa (facilitato dalla funzione) è stata introdotta da un‟ordinanza del 1945, a mo‟ di estensione del campo applicativo della norma. Per tale via, risulteranno punibili anche ipotesi di (accordo al) compimento di atti che, sia pure non correlati istituzionalmente al ruolo ricoperto, manifestino tuttavia una indiretta colleganza allo stesso: per aver ad esempio permesso l‟acquisizione di conoscenze “riservate” cui il

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La presente fattispecie, così fortemente ripiegata su interessi privatistici, ha manifestato, a partire dagli anni ‟70, una sostanziale ineffettività: molteplici le cause di questo fenomeno127, la più rilevante delle quali pare essere il totale scoordinamento con le mutate esigenze di tutela. Ciò che il legislatore del 1919 aveva felicemente preconizzato (la salvaguardia di interessi pubblicistici) è divenuto realtà con il finire del secolo „900: ogni reato di corruzione (anche privata) è stato considerato lesivo di un fondamentale interesse alla concorrenza leale, donde l‟attentato ad un bene pubblicistico, anche in seno ad illeciti mercimoni di carattere privato. Dinanzi a ciò, la norma di cui al 152-6 code du

Travail ha manifestato tutta la sua inadeguatezza128, tanto da sortirne una sostanziale abrogazione, e da reclamare l‟introduzione di una nuova, moderna fattispecie di reato consentanea ai sopravvenuti standard di incriminazione internazionale.