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Azione Comune UE 98742GA

AGLI ALBORI DELLA PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE PRIVATA IN ITALIA

I) Azione Comune UE 98742GA

La Commissione dell‟Unione europea, in una proposta a Parlamento e Consiglio del 1997, ebbe già a sottolineare la necessità di coordinare la normativa comunitaria di approccio alla corruzione con il quadro internazionale di repressione integrata (Cfr. i già citati FCPA, Convenzione OECD, oltre che le parallele iniziative del Consiglio d‟Europa, per cui vd. Infra). Tale proposta, nel rilevare le numerose lacune (non da ultimo la assenza di ogni componente internazionalistica), individuava il settore privato come uno degli ambiti maggiormente bisognosi di un urgente intervento penal-repressivo, a scalfire quella radicata convinzione per cui “le imprese” sono solo erogatrici di tangenti, e non anche fruitrici delle stesse. Nel concretizzare la proposta, furono varati un Accordo sulla tutela degli interessi finanziari dell‟UE (cd. PIF) ed un Protocollo per la repressione della Corruzione transnazionale (primo atto “comunitario”, recante la reclamata componente internazionalistica), il quale, a sua volta, è servito come documento-base per la redazione della Convenzione UE del 26 maggio 1997 (cd. Convenzione di Bruxelles), la quale sanziona la corruzione di pubblici ufficiali dell‟UE (o dei Paesi membri), indipendentemente dalla lesione di un interesse finanziario. Il primo accordo infatti, per essere eccessivamente calibrato su fluttuanti lesioni finanziarie, rischiava di veder eccessivamente limitato il suo assetto general-preventivo, donde la necessità di una Convenzione a caratura più generale.

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Ciò che più conta ai nostri fini però, è l‟approvazione di un‟Azione

Comune relativa alla corruzione nel settore privato (22 dicembre 1998),

atta a colmare quella clamorosa lacuna che la Commissione UE aveva evidenziato nel 1997, oltre che “idealmente” derivante dalla sesta raccomandazione185 del Piano d‟azione per la lotta alla criminalità organizzata (28 aprile 1997). Tale Azione, della quale segue specifica analisi, può ben essere considerata la “madre nobile” di ogni politica europea di contrasto alla corruzione privata, dalla quale sono scaturiti gli

iter nazionali di riforma, oltre che i successivi strumenti sovranazionali.

Emanata ai sensi dell‟art. K3 del TUE, l‟Azione Comune UE 98752GAI1 appartiene al cd. Terzo pilastro (Titolo VI TUE): la cooperazione in materia di Giustizia e Affari interni (cd. GAI). Formato da materie considerate afferenti ad importanti gangli della politica nazionale, su cui legittimamente conservare la sovranità degli Stati membri, il legislatore del Trattato di Maastricht non ritenne di dotare tale settore di strumenti giuridici vincolanti (quali direttive e regolamenti), donde la previsione di sole “posizioni” ed “azioni comuni”. Tale approccio – che costituisce peraltro una delle maggiori critiche mosse alla configurazione scelta per il terzo pilatro- non impedì alla succitata Azione di emanare un generale ed autorevole “imperio” giuridico e culturale, donde la progressiva conformazione (anche se talvolta con ritardi, si veda l‟ordinamento italiano) delle legislazioni nazionali.

Nei Considerando preliminari al testo normativo, troviamo enucleato il reale assetto teleologico dello strumento, che è quello di prevenire e reprimere la corruzione in quanto “minaccia” alla libera concorrenza186

, anche se, come si rileverà infra, non manca un referente offensivo concreto ed individuale.

L‟assetto normativo scelto dai legislatori – come sovente accade nei testi sovranazionali, oltre che nelle esperienze di diritto comparato – è quello

185

Recante l’auspicio di un piano comune per la lotta ai fatti di corruttela, quale elemento centrale di ogni seria strategia di contrasto alle mafie

186

“considerando che la corruzione falsa la concorrenza leale e compromette i principi

di apertura e di libertà(…) dei

mercati, in particolare il buon funzionamento del mercato interno, ed è contraria alla trasparenza e all'apertura del

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di una suddivisione tra “corruzione attiva” e “corruzione passiva”, contemplati come due reati autonomi. L‟art. 2 incrimina la “corruzione

passiva nel settore privato”, che ricorre allorquando “una persona nel quadro delle sue attività professionali intenzionalmente sollecit(i) o ricev(a), direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, ovvero accett(i) la promessa di tale vantaggio per sè‚ o per un terzo, per compiere o per omettere un atto, in violazione di un dovere”.

Non tragga in inganno il riferimento alla “persona”: non si tratta di un reato comune (dal lato passivo), chè il precedente art. 1 reca una definizione molto precisa di tale qualifica (“qualsiasi dipendente o altra

persona nel momento in cui svolga funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per conto di una persona fisica o giuridica operante nel settore privato”). Tale soggetto dovrà accettare, sollecitare o ricevere un

vantaggio al fine della violazione di un dovere187 latu sensu professionale. Ecco, dunque, come la struttura della fattispecie sia incentrata, in quanto a disvalore tecnico-normativo, sul modello lealistico, visto che in tale violazione risiede un “tradimento” della relazione di agenzia intrattenuta col principale188, ma il reale collocamento entro una delle possibili opzioni di tutela viene intimamente svelato dal successivo comma due (“queste misure si

applicano almeno ai casi di condotte che comportino o possano comportare distorsione di concorrenza, come minimo nell'ambito del mercato comune, e producano o possano produrre danni economici a terzi attraverso una non corretta aggiudicazione o una non corretta esecuzione di un contratto”): tale disposizione, non solo assicura lo

stigma della fattispecie ad ipotesi di “distorsione della concorrenza” – come peraltro si evince dai Considerando-, ma addirittura si premura di coordinare tale lesione con un additivo bene giuridico a “referenza commercio internazionale”.

187 come precisato nei Considerando, la “violazione del dovere” dovrà essere intesa in

modo sufficientemente ampio, comprendendo dunque violazioni contrattuali, oltre che norme regolamentari di categoria .

188 Si deve pertanto ritenere che il consenso del principale valga a ”scriminare” la

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individuale” (danni – o pericolo di danni - economici a terzi cagionati da una non corretta aggiudicazione di un contratto), ciò che risulta particolarmente apprezzabile nel plasmare un presidio penale frammentario e sussidiario.

Oltre a ciò, degna di lode la riferibilità degli indebiti vantaggi “per sé o

per terzi”, che consente di modellare il reato sulle ipotesi di

“intermediari” e “società fantasma” costituite ad hoc per la percezione dei benefit, rendendo la fattispecie all‟avanguardia con le prassi commerciali odierne.

Dubbio il riferimento all‟“esercizio delle attività imprenditoriale”, potenziale clausola limitativa della fattispecie: si discute circa la applicabilità alle attività non lucrative; sul punto, però, l‟orientamento maggioritario sembra escluderne il vigore, in particolar modo argomentando sulla non partecipazione di queste entità al libero scontro concorrenziale.

L‟oggetto materiale della condotta sono i “vantaggi indebiti di qualsiasi

natura”: sul punto, sembrerebbe invero alludersi a remunerazioni di

carattere patrimoniale e non patrimoniale, fondamentale, però, saggiarne la portata nei singoli ordinamenti nazionali, liberi di limitarne ovvero estenderne il significato.

Circa l‟elemento soggettivo, si richiede, come ovvio, il dolo. La mancata implementazione con “dolo intenzionale” consente l‟addebito del “dolo eventuale”. Saranno i legislatori (ed i giudici) degli Stati membri a modulare tale requisito, anche se non sembra potersi concludere per la legittimità di operazioni volte ad escluderne la rilevanza189.

Segue l‟art. 3 (corruzione attiva nel settore privato) che, stante la necessaria inversione della struttura, oltre che la configurazione a reato comune, reca, per il resto, il medesimo corpus normativo del descritto art. 2. Breve: la suddivisione in due fattispecie autonome non altera il momento consumativo del reato, che sarà sempre dato dal pactum

189

L’unica limitazione “disponibile” agli Stati membri è quella espressamente menzionata dall’art. 2, II

- 104 - sceleris190.In altre parole, la rilevanza delle rispettiva condotte “attive” o

“passive” si darà allorquando i relativi intendimenti abbiano trovato accoglimento nella controparte, ben disposta al mercimonio privato. Nel presente strumento (come anche nella Convenzione di Strasburgo) non troviamo riferimenti al reato di “istigazione alla corruzione”, rimesso alla discrezionalità degli Stati membri.

Chiude l‟incriminazione l‟art. 4 che, nel richiedere pene “effettive,

proporzionate e dissuasive”, destina un‟ulteriore attenzione finale al

principio di sussidiarietà, riservando ai “casi meno gravi” una esplicita possibilità di non applicare sanzioni penali, ma di natura diversa (ad esempio civili od amministrative).

Prevista, infine, una responsabilità da “corruzione attiva” per le persone giuridiche: sul punto, si registra una tendenziale comunanza tra sensibilità nazionale e sovranazionale, dove il criterio dell‟ “interesse o

vantaggio” sembra aver ispirato il legislatore europeo nell‟escludere la

corruzione passiva dalla qualifica di “reato presupposto”.

In generale, questo approccio normativo pare condivisibile: la scelta di incriminare il puro pactum sceleris, senza diluire la tutela nella successiva condotta esecutiva (o, peggio, in un elemento di danno), unita ad una non celata volontà di saldare la norma alle offese più gravi (con referente individuale), ancorando il disvalore alla sussidiaria istanza di

extrema ratio, consentono di salutare con favore lo strumento

comunitario, senza timori di crisi di rigetto da parte dei principi costituzionali degli ordinamenti nazionali.