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Modello a tutela della concorrenza

Troviamo, quindi, il modello della concorrenza: un reato di corruzione

privata tutelerebbe la concorrenzialità del mercato, nella misura in cui un patto occulto tra le parti, di per sé ostativo al libero dispiegarsi della

liberté contractuel, certamente ne andrebbe ad inquinare l‟incondizionato

funzionamento. Orbene, una distinzione si impone preliminarmente68: secondo una visione microeconomica, l‟interesse tutelato sarebbe quello dei consumatori, pregiudicati da prezzi più alti e qualità inferiori, nonché quello dei concorrenti, ingiustificatamente lesi nella “condizione di partenza” alla competizione mercantile; secondo una visione 67

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macroeconomica invece, il bene tutelato sarebbe “il mercato concorrenziale” in sé, deprivato di un diretto ed immediato referente individuale. Seguendo questa linea ricostruttiva, troveremo conseguenze di lungo periodo ben più allarmanti di quelle di una prospettiva-micro: l‟espulsione dal mercato delle imprese migliori, e per questo non disposte a ricorrere alla corruzione, nonché una impregiudicata crisi dell‟etica degli affari, laddove un singolo episodio di corruttela certamente produrrà un rischio-proliferazione che è a sua volta causa di un contagioso meccanismo a ripetersi.

Tale modello non impone la strutturazione di una fattispecie di “danno”, visto che l‟importanza pubblicistica del bene protetto consente un arretramento della tutela (ciò che non era possibile per il bene- patrimonio, cfr. retro) alla dimensione del pericolo.

Secondo alcuni autori69, il pericolo, ancorchè non menzionato espressamente nei requisiti di fattispecie, si dovrà, in ogni caso, apprezzare in rerum natura. Per meglio dire, la sua assenza non dovrà incontrovertibilmente essere esclusa dai fatti della specifica controversia. Pensiamo, a titolo esemplificativo, a situazioni di monopolio, dove certamente la libera competizione tra attori commerciali non può, per antonomasia, essere stata alterata.

Questa visione, pure autorevolmente sostenuta, rischia di confondere la prospettiva micro e quella macro. E‟, infatti, vero che in poche e isolate ipotesi quel perturbamento alla leale concorrenza potrà essere escluso in relazione ai referenti individuali- concorrenti e compratori-, ma quel rischio endemico di proliferazione, quella falla inferta all‟etica degli affari, ben resteranno radicate anche in quelle pochissime ipotesi. Se, come peraltro ricaviamo dai principali strumenti internazionali di incriminazione, la scelta ricadrà sulla protezione del bene macroeconomico- concorrenza, la conseguenza non potrà che essere quella di modellare la fattispecie intorno al pericolo astratto70: il potenziale lesivo di ogni fatto corruttivo si radica nel rischio-ripetizione 68

A. Spena, Punire, op. cit. , 827 e ss.

69 J. L. De la Cuesta, I Blanco Cordero, La criminalizzazione, op.cit. , 43 e ss. 70

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che ogni singolo episodio porta con sé. Questo meccanismo “seriale” , se replicato alla lunga e su larga scala, inevitabilmente comprometterà la tenuta del mercato. L‟implementazione di questo meccanismo soggiornerà in ogni ipotesi di corruzione, senza esclusioni di sorta.

Peraltro, tale opzione di tutela è quella che meglio si attaglia, stavolta in entrambe le prospettive micro e macro, alla ratio politico-criminale che legittima il trapianto di modelli pubblicistici di corruzione all‟interno delle relazioni tra privati: la protezione del terzo escluso.

Essa, infatti, proprio per la sua caratura ad interesse diffuso, riesce a tutelare la posizione di ogni consociato (che assume, davvero, sempre la veste di terzo “frodato” nelle sue aspettative) dinanzi ad ogni ipotesi di corruzione privata. Ed anzi, ancora una volta ad uscirne esaltata è la prospettiva macroeconomica: se, infatti, nella dimensione “micro” i “terzi” sarebbero solo ed unicamente le “altre parti” i cui interessi sono stati lesi dal singolo accordo illecito, con un saldo ancoraggio alla sola costellazione di soggetti ed interessi che ruotano attorno ai due poli della singola vicenda; nella prospettiva macro, per le ragioni sopra esposte, il volano di tutela approntato da un reato di corruzione privata sorvolerebbe davvero le “alte vette” della società e del mercato, per accordare protezione anche a coloro i quali siano rimasti totalmente estranei alla singola vicenda, nella misura in cui ogni singolo individuo ha interesse ad un mercato concorrenziale e leale, nonché ad un mondo degli affari improntato a canoni di eticità. Un semplice raffronto tra ratio politico- criminale ed opzione di tutela consente, dunque, di salutare con favore la prospettiva pubblicistica che questa visione reca con sé.

Passando all‟analisi delle conseguenze tecnico-normative del modello, dobbiamo anzitutto disconoscere ogni rilevanza al consenso prestato dal datore di lavoro. La natura indisponibile dell‟interesse, che questa norma andrebbe a tutelare , rappresenterebbe un irremovibile ostacolo alla possibile scriminante in parola; la portata offensiva al mercato leale residuerebbe in ogni caso, con o senza conoscenza del principale. La questione deve, però, essere adeguatamente precisata: l‟unica ipotesi di mercimonio che il consenso del datore non è in grado di scriminare è quella proveniente da una indebita retribuzione proveniente dall‟esterno

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dell‟organigramma aziendale (dal fornitore o dal concorrente), non certo quella proveniente dall‟interno. In altre parole, i ccdd. “premi vendita” di determinati prodotti71 , che potrebbero essere equivocati come indebite retribuzioni per agevolare alcuni produttori - e dunque come corruzione - , devono ritenersi pienamente leciti, proprio perché provenienti dal datore di lavoro stesso, perché incentivanti l‟affinamento della capacità concorrenziale della singola unità produttiva, e perché indissolubilmente legati ad una logica di merito, totalmente estranea alla corruzione. Questa peculiarità consente di affinare l‟idea di disvalore legata ad un accordo occulto: esso, infatti, lede l‟obiettività dell‟intraneo nel compiere le sue scelte gestionali e commerciali, con ciò arrecando un immeritato vantaggio all‟autore del fatto corruttivo. Ed è proprio in tale dinamica che ravviseremo una frustrazione delle legittime aspettative del terzo escluso, il quale si attende una prospettazione obiettiva ed imparziale dei prodotti all‟acquisto. Orbene, laddove l‟inquinamento all‟imparzialità non sia ravvisabile, perché l‟intraneo, pur dinanzi ad un premio-vendita, “sa” che il principale agisce per il “bene dell‟impresa”, il disvalore si dissolve, ed il fatto rimane atipico.

Anzi, questa prospettiva, che priva di rilevanza il consenso scriminante del datore, può portare a conseguenze ulteriori: non si vede, infatti, perché escludere lo stesso dal novero dei soggetti del reato. L‟accordo inquinante del libero mercato potrà ben vederlo come protagonista, e certamente tale inquinamento non sarà assente o minore per esser promanato dal titolare dell‟azienda.

Stante la rilevanza pubblicistica degli interessi in gioco- e dunque la loro indisponibilità-, certamente ingiustificata parrebbe la condizione di procedibilità a querela della persona offesa, nonché la previsione di “danno” o “compimento dell‟atto” quali eventi consumativi: tale indebita posticipazione dissolverebbe il modello di “pericolo astratto”.

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