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Procedibilità a querela

o promessa di utilità”

IX) Procedibilità a querela

Il delitto de quo risulta procedibile a querela della persona offesa (cfr. art. 2635, III CC): tale previsione, come già sottolineato, non era contenuta né nell‟originario Progetto Mirone, né nella riformata legge- delega parlamentare. Al contrario, è nel plenum dei lavori di aula che fu presentato un emendamento atto ad introdurla.

Due le incongruenze di tale previsione. La prima riguarda la struttura di reato di danno: dal momento in cui l‟evento-nocumento si è prodotto, quale legittimo controvalore tende a tutelare la decisione di non querelare? E‟ ben vero che essa potrebbe mirare ad evitare la forzosa

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Cfr. sul punto, anche se in relazione alla fattispecie riformata ex l.190/2010, S. Seminara, Il reato di corruzione tra privati, in Le Società 1/2013, 65

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- 131 - discovery di fatti pregiudizievoli alla reputazione della società, ma viene

da chiedersi se, dinanzi alla grave lesione sofferta, tale calcolo utilitaristico non muova da interessi illeciti. Se l‟ente decidesse di non querelare per evitare la “scoperta” di gestioni “abusive”, la condizione di procedibilità diverrebbe elemento asservito all‟illegalità d‟impresa. Da questo punto di vista, tale istituto si sarebbe presentato come molto più coerente nella fattispecie di pericolo di cui al progetto Mirone: dinanzi ad un‟offesa ancora non perfezionata (e dunque non subita) avremmo avuto minori difficoltà a spiegare la scelta di un mancato intervento penale.

La seconda incongruità riguarda gli strumenti sovranazionali. Tale istituto rappresenta davvero il sigillo finale agli interessi esclusivamente privatistici della norma, in modo da espellere dall‟alveo di protezione della stessa ogni elemento di tutela pubblicistica: non è un caso che le maggiori critiche delle agenzie internazionali si concentrino proprio su tale punto (cfr. infra).

Altra delicata questione riguarda il soggetto legittimato alla sua presentazione. Per costante giurisprudenza,240 l‟organo deputato ad esprimere la volontà dell‟ente è quello gestorio: il cda o l‟amministratore unico, sempre nel rispetto degli eventuali limiti imposti dal loro mandato. In questo caso, ci troveremmo, però, di fronte ad un singolare conflitto di interessi: i gestori dovrebbero querelare se stessi (quali principali soggetti attivi previsti dalla norma). Ecco, allora, come in questi casi, stante il potere civilistico di promuovere azione di responsabilità contro gli amministratori, anche il potere penalistico di presentare querela debba tornare all‟assemblea dei soci241

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Vd. anche, sempre in relazione al novum legislativo, V. Napoleoni, Il “nuovo” delitto

di corruzione tra privati, para 8 240 Cfr. ad es. Cass. pen. 09/02/1999. 241

L. Foffani, Commento, op. cit. , 1884 ; per una interessante teoria che lascia tale potere nelle mani dei gestori nel caso di reato commesso da sindaci e revisori (prima del d.lgs. 39/2010) cfr. A. Martini, op. cit. , 528 : in tal caso, però, sottolinea l’autore, evidente è il paradosso che si crea allorquando la corruzione sia stata imbastita da un amministratore verso un revisore, in una situazione in cui il corruttore debba querelare “se stesso”.

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Invero, nelle rare ipotesi in cui il reato è riuscito ad emergere giudizialmente, anche la giurisprudenza sembra essersi attestata su questa linea interpretativa, con una interessante variante: non solo l‟assemblea, ma anche i singoli quotisti potrebbero essere riconosciuti come persone offese.242 Tale opzione ha un importate pregio “pratico” : riesce ad evitare fenomeni distorsivi di “abuso della maggioranza”. E‟, infatti, vero che l‟assemblea sociale è organo formalmente distinto dal cda, ma non si può non rilevare come quest‟ultimo sia espressione della maggioranza in seno al primo consesso: non sarà inverosimile ipotizzare, allora, fenomeni di sostanziale “connivenza” tra gli appartenenti ai due organi, a discapito della legalità sociale. Dinanzi a ciò, dare il potere di querela al socio uti singulus significa riequilibrare una situazione di disparità, in contrasto a deprecabili fenomeni di “tirannide della maggioranza”. Il lato oscuro di questa teoria risiede, però, in una ragione di carattere dogmatico: il singolo socio, che veda diminuito il valore della partecipazione sociale, può giuridicamente essere riconosciuto come “danneggiato” e non come “persona offesa”. Tale qualifica dovrebbe rigorosamente esser riconosciuta all‟ente (inteso come differenziato ed autonomo centro di imputazione), il cui patrimonio (unitariamente e pro

indiviso riferibile ad esso) è stato pregiudicato, di qui, il potere di querela

all‟assemblea plenaria.

Breve: e‟ evidente che, per una ragione di “conflitto di interessi”, ove l‟amministratore querelato sia anche membro dell‟organo assembleare, non potrà partecipare alla delibera in questione243.

Come noto, il diritto di querela può essere esercitato entro tre mesi dalla notizia del fatto che costituisce reato (cfr. art. 124 CP): è dirimente sottolineare come il dies a quo debba essere, non la data di convocazione dell‟assemblea, ma la data di effettiva riunione e conseguente relazione sul fatto ad oggetto244.Nel primo momento, infatti, è scorretto sostenere che i soci abbiano avuto effettiva cognizione della notitia criminis, chè sono semplicemente stati convocati a data futura, nella quale il fatto

242

Cfr. sul punto, Cass. pen. , sez. V 16/06/2006 n° 37033

243 A. Martini, op. cit. , 528 244

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storico, con tutti i suoi elementi, sarà oggetto di una vera e propria

discovery sociale.

Conclusivamente, si può rilevare come, a prescindere dal titolare del relativo diritto, l‟elemento-querela si presti ad utilizzi “borderline” sul piano della legalità: l‟assemblea potrebbe, infatti, decidere di non manifestare l‟illecito onde non schiudere le politiche gestionali a magistratura, stampa, collettività in genere. Tale valutazione muove da una malintesa concezione degli interessi in gioco, e finisce per subordinare la tutela del patrimonio ad interessi più o meno leciti di “segretezza “ contabile e gestionale.