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Avere le carte in regola: i provvedimenti in vista della presidenza di turno

La questione tedesca fu uno dei temi che già dall’inizio dell’anno animavano il dibattito politico in vista del semestre italiano; in particolare, da parte dei commentatori economici e politici, si poneva l’accento sui ritardi italiani rispetto all’obiettivo del mercato unico e sulla situazione economico-finanziaria, due fattori che, se non affrontati con decisione e tempestività, avrebbero posto l’Italia in condizioni di fragilità, proprio nel momento in cui si apprestava a condurre la CEE in un semestre decisivo. Il governo Andreotti cercò dunque di agire sui due principali punti deboli, così da presentarsi all’avvio della presidenza di turno con le carte in regola per mettere il paese in una posizione di forza e non di debolezza strutturale e rivendicare quindi con maggiore efficacia quei traguardi politici unitari che la stessa classe politica ambiva a raggiungere. Ad inizio gennaio, il governo decise di far entrare la lira nella fascia stretta dello SME e nello stesso tempo, attraverso la legge comunitaria, si apprestò a sanare gran parte dei ritardi italiani in materia di recepimento delle direttive. Infine, come già era avvenuto al Senato, anche la Camera dei Deputati riteneva che fosse giunto il momento di scorporare dalla III commissione, dedicata agli affari esteri e comunitari, le competenze specifiche che riguardavano l’approvazione delle normative CEE, per attribuirle ad una commissione speciale per le politiche comunitarie.

3.1 La Lira nella fascia stretta dello SME

Il funzionamento dello SME73 prevedeva bande di oscillazione diverse alle quali associare le varie monete, a seconda della virtuosità della singola divisa e della stabilità economico-finanziaria che rappresentava. Sin dall’avvio del sistema la lira italiana era fuori dalla fascia più stretta, per volere del governo, anche allora presieduto da

73 Per una contestualizzazione storica sullo SME si vedano, G. Mammarella, P. Cacace, Storia e politica

dell’unione europea, cit, pp. 177-184, B. Olivi, L’Europa difficile. Storia politica dell’integrazione europea 1948-1998, Bologna, il Mulino, 1998, pp. 191-197, M. Gilbert, Storia politica dell’integrazione europea, cit., pp. 114-122. Sul funzionamento dello SME, il ruolo svolto ed i limiti, si vedano, T. Padoa- Schioppa, L’Europa verso l’unione monetaria. Dallo SME al Trattato di Maastricht, cit., T. Padoa- Schioppa, La lunga via per l’Euro, cit., pp. 53-131 e, G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, cit., pp. 227-235. Per il dibattito nel parlamento italiano relativo all’approvazione dello SME, si vedano, V. Guizzi, (a cura di), L’Europa in Parlamento 1948-1979, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 525-651 e, P. L. Ballini, A. Varsori, (a cura di), L’Italia e l’Europa (1947-1979), Tomo II, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 827-838.

Andreotti, a causa delle difficoltà finanziarie del paese e per non ridurre il margine dell’azione speculativa che poteva essere fatta sui cambi.

Nei primi giorni di gennaio il governo decise di abbandonare la fascia del 6% per agganciare la lira a quella del 2,25%, la banda delle “monete adulte”74: compì questo atto più che sulla base di oggettive condizioni macroeconomiche, per inviare un segnale politico che esprimesse la serietà e la concretezza con le quali il nuovo esecutivo guardava all’integrazione economica e monetaria e, in generale, agli impegni richiesti dalla partecipazione al processo di unificazione europea75. Il nuovo rapporto con i cambi “obbliga a una disciplina nei comportamenti economici”, rilevò Stefano Cingolani giornalista del “Corriere della Sera”, “difficile da raggiungere spontaneamente”76. Mario Monti definì la decisione presa “un passo rilevante per dare, all’interno del paese, un valore sempre più incisivo di disciplina e di vincolo costruttivo all’appartenenza alla Cee e per aumentare all’esterno, l’autorevolezza dell’Italia”77; tuttavia, il celebre economista nutriva dei dubbi in merito al metodo e al calendario scelti per far entrare la lira nella fascia più ristretta: il passo fatto, scriveva,

“sarebbe stato utile ‘sfruttarlo’ come nucleo duro di un ‘pacchetto’ di formidabile incidenza psicologica e politica (…) A questo scopo si sarebbero dovuti decidere, e annunciare contestualmente e con enfasi adeguata, altri provvedimenti collegati: il completamento della liberalizzazione valutaria (…) la presentazione di un disegno di legge per il riordino dei poteri monetari (…) in questo modo, l’Italia sarebbe entrata negli anni ’90 con una vera riforma monetaria”78.

74 L’espressione è in A. Guatelli, La vecchia banda. Un privilegio all’italiana decisa e tolta con la stessa

firma: Andreotti, in “Corriere della Sera”, 7 gennaio 1990. Si veda anche, C. A. Ciampi, Ora la lira è adulta, in “il Sole 24 ore”, 7 gennaio 1990.

75 Pietro Sormani del “Corriere della Sera”, parlava di decisione “politicamente indispensabile”, P.

Sormani, Bruxelles fissa le nuove parità, in “Corriere della Sera”, 6 gennaio 1990. Arturo Guatelli rilevava come “da qualche tempo l’Italia sembra prendere più sul serio la Cee. Il divario tra impegno verbale e realtà quotidiana è sempre notevole (…) ma qualche sforzo per ridurlo è stato fatto”, A. Guatelli, Roma e la Comunità. Molte virtù europee ma quanti italici vizi, in “Corriere della Sera”, 8 gennaio 1990.

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S. Cingolani, Una decisione maturata a lungo che comporterà politiche più severe, in “Corriere della Sera”, 6 gennaio 1990. Il ministro del Tesoro Guido Carli, dichiarava infatti che “Siamo consapevoli che la banda stretta comporta maggiori vincoli nella gestione della politica economica (…) l’impegno comune dovrà essere quello di evitare scorciatoie che talvolta anche spiriti illuminati propongono per allentare la morsa del debito crescente (…) La via maestra, allora, resta quella di prosciugare le nuove disponibilità di spesa”. La dichiarazione è riportata in, S. Cingolani, Più rigore, meno spese, più export, in “Corriere della Sera”, 7 gennaio 1990.

77 M. Monti, Soltanto due ombre, in “Corriere della Sera”, 8 gennaio 1990. 78

Sul quotidiano del PCI, pur valutando positivamente la decisione presa, si pose in evidenza che il difficile sarebbe venuto dopo l’ingresso nella banda al 2,25%; il giornalista Angelo Melone, ricorrendo ad un paragone, commentò:

“La lira è divenuta una ‘moneta di serie A’ (…) per proseguire nell’analogia calcistica: dipende se questo avverrà come una ‘grande’ o se sarà destinata alle affannose rincorse di una piccola squadra di provincia sempre in procinto di essere retrocessa. Dove, in questo caso, retrocessione equivale a continue svalutazioni per successivi sfondamenti dell’ormai ristrettissimo tetto della banda di oscillazione”79.

In effetti, dopo l’entusiasmo iniziale e l’esposizione di un programma di risanamento concertato tra i vari ministri che si occupavano delle questioni economico- finanziarie, la situazione dei conti pubblici non era in miglioramento; Giuliano Amato fu così costretto a rilevare:

“Qualche mese fa siamo entrati nella banda stretta dello SME: è stato un passo che tutti abbiamo giudicato positivamente perché espressivo di integrazione. Ma dobbiamo constatare che per ora tale mutamento non ci ha aiutato ad allentare la morsa del debito pubblico e della quota di fabbisogno imputabile ad interessi. Anzi, le attese di nuovi riallineamenti, più o meno fondate, che continuano ad essere nell’aria giocano in senso opposto. I cosiddetti risanamenti interni sono componenti essenziali del nostro lavoro per l’Europa (…) Siamo molto cresciuti; vi è qualcuno che sostiene che l’Italia (…) ha sviluppato un grande corpo all’interno del quale è però rimasto uno scheletro piccolo, fragile, che presenta qualche osso un po’ storto: è un’immagine molto sgradevole da sentir prospettare su di noi, ma bisogna ammettere che è innegabilmente piuttosto vera”80.

3.2 La commissione speciale per le politiche comunitarie

Il Senato della Repubblica aveva già istituito una giunta che si occupasse in modo specifico degli affari europei, rispetto alle competenze assegnate alle commissioni

79 A. Melone, “Ora bisogna controllare il debito”, in “l’Unità”, 7 gennaio 1990. Angelo De Mattia,

responsabile credito del PCI, sosteneva che la bontà della decisione sarebbe stata confermata o smentita dagli stessi operatori del mercato: “potranno credere che sarà destinata a durare (…) potranno invece non crederci, sia per i condizionamenti internazionali (…) sia, ancor di più, per la situazione interna italiana”, in R. Wittenberg, Lira ‘forte’ ma restano debito e inflazione, in “l’Unità”, 7 gennaio 1990. Si veda anche il duro editoriale, E. Scalfari, Il Governo dell’allegra brigata..., in “la Repubblica”, 7-8 gennaio 1990. Dubbi erano avanzati anche dal mondo sindacale: Stefano Patriarca, direttore del centro studi della CGIL, era infatti dell’opinione che la decisione “sarebbe dovuta avvenire con un sistema economico risanato alle spalle. Quindi un indebitamento pubblico in riduzione, un’inflazione sotto controllo (…) tutte cose che non si sono fatte. Tutte cose che non si faranno, visto il basso profilo della Finanziaria”, S. Bocconetti, “Più che lo Sme temo Pininfarina”, in “l’Unità”, 9 gennaio 1990.

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permanenti che trattavano i temi della politica estera e comunitaria; nel corso della legislatura più volte si era posta in luce l’esigenza di avere un organismo simile a quello senatoriale anche all’interno della Camera dei Deputati81. La proposta di istituzione del nuovo organismo fu formulata dalla presidente Leonilde Iotti e dalla giunta per il regolamento: nel documento che accompagnò le novità che si volevano introdurre, si sosteneva che la ragione di tale innovazione era da rintracciarsi,

“nella necessità di adeguare la struttura ed il funzionamento del Parlamento italiano alle esigenze poste dal processo di sviluppo della Comunità europea e delle sue istituzioni. Di fronte alla sempre più marcata assunzione di compiti anche normativi da parte della Comunità (…) vi è l’esigenza che il Parlamento possa assolvere con pienezza alle sue funzioni sia nel processo ascendente di

81 Già la strutturale modifica proposta, tra gli altri, da Giovanni Ferrara e Luciano Violante il 13 luglio

1988, chiedeva di modificare l’articolo 126 con questa formulazione: “1. Le Commissioni competenti per le materie all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri della Comunità europea sono convocate dai rispettivi presidenti per deliberare sugli indirizzi da formulare per l’azione dei rappresentanti italiani nel Consiglio dei Ministri della Comunità”, ALeg, CADE, X Leg., Documenti, Doc II, n. 14, p. 14. Per completezza si veda anche, Doc. II, n. 10. Nel novembre del 1988 il gruppo di Marco Pannella e di Giuseppe Calderisi, presentando una autonoma proposta di modifica al regolamento, ricordava: “È ormai unanime il riconoscimento della inadeguatezza delle norme regolamentari (…) relative alle ‘procedure di collegamento con attività di organismi comunitari e internazionali (…) La realizzazione del mercato interno europeo, con l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione (…) comporta innanzitutto la necessità di una reale e profonda presa di coscienza del fenomeno di integrazione in atto e delle sue importanti, e spesso gravi, implicazioni per l’economia e la politica italiana e più in generale per l’ordinamento giuridico italiano nel suo complesso. Si tratta di superare le carenze e i ritardi, cronici e preoccupanti, dell’attuazione delle norme e misure comunitarie nell’ordinamento italiano e di adeguare la nostra pubblica amministrazione agli standards di efficienza comuni alle democrazie europee (…) questo approfondimento è tanto più necessario in relazione al grave deficit democratico delle attuali strutture istituzionali delle Comunità europee. È infatti necessario che alla mancanza di poteri effettivi dell’organo parlamentare europeo nella sfera decisionale, faccia almeno riscontro una adeguata strumentazione a livello nazionale che compensi, almeno in parte, il vuoto democratico, senza contraddire la spinta verso l’integrazione, ma anzi favorendola”. Il gruppo Federalista ed Ecologista Europeo, proponeva quindi l’istituzione di una commissione permanente, la quale “oltre alle sue competenze sia legislative che di controllo e di indirizzo, dovrebbe svolgere anche una funzione di vero e proprio filtro sia per i provvedimenti comunitari in itinere o da attuare, sia per i provvedimenti nazionali che palesemente si riferiscono a materia di competenza comunitaria per controllarne preventivamente la compatibilità con l’ordinamento comunitario”, ALeg, CADE, X Leg., Documenti, Doc. II, n. 17, pp. 1-2, 5. Anche il gruppo comunista e quello della Sinistra Indipendente – tra i firmatari Napolitano, Cervetti e Bassanini, sostenevano l’istituzione di una commissione permanente. I proponenti rilevavano la necessità “generalmente riconosciuta e sempre più urgente, di adeguare il funzionamento del Parlamento italiano alle esigenze di indirizzo e controllo dell’attività del Governo nelle sedi comunitarie. Soprattutto ove si tenga conto delle variazioni legislative previste in vista della scadenza del 1992 (…) Oggi, in sostanza, decisioni di grande importanza per il futuro del paese vengono assunte senza che esse siano precedute da un adeguato dibattito nelle sedi istituzionali proprie, senza che il Governo riceva indirizzi espliciti dal Parlamento, e spesso tali decisioni vengono di fatto delegate alle burocrazie ministeriali, comunitarie, o di altri organi istituzionali (…) con il rischio molto serio che esse possano risultare in contrasto con gli effettivi orientamenti parlamentari”. Quanto ai poteri, si precisava nel documento, “La Commissione è destinata in primo luogo a svolgere funzioni di indirizzo e controllo nei confronti del Governo limitatamente allo svolgimento da parte di quest’ultimo di funzioni proprie nell’ambiente delle istituzioni comunitarie. In particolare, la Commissione dovrà formulare nei confronti dei ministri italiani indirizzi in previsione di sedute degli organismi comunitari, sia tecnici che politici, nelle quali sia rappresentato il Governo italiano”, ALeg, CADE, X Leg., Documenti, Doc. II, n. 23, pp. 1, 3.

formazione degli indirizzi governativi relativi alla normativa comunitaria, sia nel processo discendente di recepimento e di applicazione. L’assunzione da parte dell’Italia della Presidenza della Comunità nel presente semestre rende ancora più pressante ed urgente l’assolvimento di tali compiti”82.

Le possibilità d’azione della nuova commissione erano piuttosto limitate; come confermò il relatore Adriano Ciaffi, la commissione speciale doveva limitarsi “al giudizio di compatibilità della normativa interna con quella dell’ordinamento comunitario”83. Nello specifico, la nuova commissione poteva: a) esprimere pareri sui progetti di legge che riguardavano l’applicazione dei trattati CEE e delle altre norme comunitarie; b) promuovere, previa autorizzazione della presidenza della Camera, incontri con europarlamentari – cosa che invece era obbligata a fare all’inizio e alla fine di ogni semestre di presidenza; c) discutere in sede referente il disegno di legge comunitaria. La proposta era ampiamente condivisa e accolta da tutto l’arco dell’assemblea, sicché il dibattito fu rapido e registrò una votazione unanime.

La presenza di un organismo che si occupasse appositamente delle tematiche connesse al processo d’integrazione di per sé non era elemento sufficiente affinché ciò avvenisse secondo le motivazioni che ne avevano accompagnato l’istituzione: la giunta del Senato raramente riusciva a svolgere con regolarità i suoi compiti a causa di una cronica assenza da parte dei suoi membri. Già nel dicembre del 1989, il presidente di Palazzo Madama, Giovanni Spadolini, aveva inviato una lettera ai componenti della giunta per sensibilizzarli ad una maggiore partecipazione: “Mi rivolgo a Lei”, scrisse Spadolini, “per richiamare la Sua attenzione sulla necessità di una costante partecipazione di una assidua presenza e di un profondo impegno nel seguire i lavori di tale delicato organo”84. Tuttavia, il presidente della giunta, il liberale Giovanni Malagodi, fu costretto più volte ad aggiornare o rinviare le sedute, o perché mancavano i deputati o per assenza del governo: nel giugno del 1990 rassegnò addirittura le sue dimissioni, poi ritirate per intervento diretto di Spadolini e Andreotti, in quanto ad una importante riunione della giunta dedicata al semestre di presidenza, nessun rappresentante “di livello” del governo era intervenuto.

82 On. A. Ciaffi, ALeg, CADE, X Leg., Documenti, Doc. II, n. 26, p. 1.

83 On. A. Ciaffi, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 18 luglio 1990, p. 65479.

84 ASLS, Fondo Gruppo Parlamentare DC Senato della Repubblica , Serie II, Atti dei Presidenti, Scatola

3.3 La legge comunitaria e il rispetto degli impegni presi

L’ancoraggio della lira alla fascia stretta dello SME e l’istituzione della commissione speciale per le politiche comunitarie erano solo provvedimenti palliativi se messi a confronto con la più profonda contraddizione dell’europeismo italiano: la situazione del debito pubblico e il mancato rispetto delle norme comunitarie. In una audizione alla III commissione della Camera, il ministro Romita sostenne che le difficoltà italiane nei confronti delle normative comunitarie erano da attribuirsi a tre fattori: 1) scarsa incisività nella fase ascendente di elaborazione delle direttive85; 2) difficoltà nel recepimento delle norme europee nel diritto interno; 3) mancato utilizzo dei fondi strutturali. In particolare, il ritardo nei recepimenti era da imputarsi al fatto che “in Italia l’area delle materie soggette alla legge è molto più ampia che in altri Stati”86, anche se, sosteneva Romita, in molti casi alcune amministrazioni dello Stato si erano mosse autonomamente nell’applicare il contenuto di una direttiva, senza però informarne la presidenza del consiglio87. Quanto ai fondi strutturali, il mancato utilizzo era da spiegarsi con la mancata definizione della percentuale di co-finanziamento.

In altre parole Romita riteneva che l’esecutivo e il parlamento avessero delle precise ed ampie attenuanti nei confronti della mancata trasposizione delle oltre duecento direttive necessarie per l’avvio del mercato unico; non era di questa opinione Sergio Segre, che in un’editoriale su “l’Unità” attaccò duramente il governo e le forze che lo sostenevano, lanciando nello stesso tempo un “Piano Europa” che consisteva in sei punti:

“1) fissare fin da ora, nei due rami del Parlamento, due speciali sessioni comunitarie (…) dedicate al recepimento delle oltre duecento direttive comunitarie sulle quali il nostro paese è inadempiente (…); 2) incaricare il consiglio nazionale dell’economia e del lavoro di svolgere le funzioni previste per il consiglio per il mercato interno la cui creazione (…) non è stata mai realizzata; 3) incaricare il ministero degli esteri di aggiornare trimestralmente il parlamento sui termini e sui modi in cui gli altri paesi della Comunità si preparano al 1993; 4) (…) tenere mensilmente una riunione del

85

“Proprio dalla insufficiente presenza del nostro paese nella fase della formazione è da imputarsi il fatto che molte direttive comunitarie sono impostate su principi, tradizioni, usi e costumi estranei ai nostri; ne consegue la difficoltà di recepire le direttive approvate in sede comunitaria nel nostro ordinamento, il quale in molti casi su basa su principi profondamente diversi”, On. P. L. Romita, ALeg, CADE, X Leg., BC, III Comm., 7 febbraio 1990, p. 120.

86 Ibidem.

87 Questo permetteva a Romita di affermare che in realtà il numero sostanziale di direttive da trasporre

nell’ordinamento interno era minore di quello in discussione con la legge comunitaria, visto che molte norme erano già state implementate dalle singole amministrazioni.

consiglio dei ministri chiamata ad apprestare gli strumenti idonei a recepire puntualmente sul piano interno la normativa comunitaria e a verificarne in maniera costante l’attuazione; 5) (…) tenere trimestralmente una riunione con i presidenti delle regioni per l’esame delle misure di loro competenza; 6) realizzare alla camera

dei deputati (…) una commissione permanente per le questioni comunitarie”88.

L’allarme lanciato dal PCI fu successivamente confermato da una ricerca compiuta dall’“Economist”, con l’obiettivo di stilare una sorta di pagella dei vari membri della CEE basata sul punteggio assegnato alle prestazioni ottenute rispetto a tre indicatori: a) attuazione delle direttive; b) aiuto statale all’industria (un punteggio più alto era fornito a quegli stati dove minori erano gli aiuti pubblici); c) rispetto delle sentenze della Corte di Giustizia. Nella classifica risultante, l’Italia era all’ultimo posto, in coabitazione con il Portogallo e dopo la Gran Bretagna dell’euroscettica Thatcher. Mino Vignolo, giornalista del “Corriere della Sera”, commentando i risultati dell’inchiesta soprattutto alla luce dell’eurofilia così diffusa in Italia, scriveva: “È sempre presente negli stranieri il sospetto che dietro l’entusiasmo degli italiani si celi la volontà di gettare vecchi e irrisolti problemi nel mare magnum dell’Europa unita”89.

Tabella 3.3.1

La pagella stilata dall’ “Economist”

Stato Applicazione misure per il ‘92 Aiuti pubblici all’industria Sentenze Corte non applicate Adesione Unione politica Adesione UEM Consenso popolare verso la CEE Totale Classifica Francia 7 5 7 6 9 5 39 1 Olanda 6 8 7 5 4 8 38 2 Danimarca 9 8 9 4 5 1 36 3 Irlanda 7 2 9 4 8 6 36 3 Spagna 4 4 9 6 8 5 36 3 Germania O. 8 5 4 9 4 5 35 6 Belgio 3 3 4 9 9 6 34 7 Lussemburgo 5 2 9 4 7 7 34 7 Gran Bretagna 9 8 9 2 1 2 31 9 Grecia 3 5 3 8 5 7 31 9 Itala 1 1 1 9 9 7 28 11 Portogallo 2 4 9 3 5 5 28 11

Fonte: “The Economist”, in S. Silvestri, Roma all’esame di Ammissione Europeo, in “il Sole 24 ore.Europa”, 28 giugno 1990

A sostenere il legame tra il semestre di presidenza e il tentativo di arrivarci con una situazione sanata rispetto agli inadempimenti, furono esponenti della stessa maggioranza, come ad esempio il socialista Pagani: “la sanatoria” verso le direttive non recepite,

88 S. Segre, Emergenza Europa, in “l’Unità”, 26 febbraio 1990.

89 M. Vignolo, “Sulla cattedra dell’Europa l’ultima della classe”, in “Corriere della Sera”, 23 giugno

“si rende necessaria perché ci si possa presentare ai nostri partners senza la maglia nera del paese ultimo per il numero di direttive recepite, ma primo per il numero di