Per i partiti della maggioranza gli effetti del voto europeo si fecero avvertire nella formazione della squadra e degli equilibri che stavano alla base del VI° governo Andreotti; alle forze di opposizione, l’esito delle urne forniva spunti per ricercare nuove strategie d’azione politica, anche alla luce di un contesto europeo nel quale i processi iniziatisi con il crollo del Muro di Berlino erano lontani dal giungere a compimento.
L’inaspettato successo elettorale ottenuto nella consultazione di giugno, diede alla Lega Lombarda di Umberto Bossi due importanti segnali: 1) la scelta del cartello autonomista si era rivelata non solo corretta, ma anche matura, rispetto al tentativo fatto alle elezioni europee del 1984; 2) la rilevanza politica raggiunta, proiettata verso la dimensione nazionale, e i primi collegamenti con altre realtà autonomiste interni al PE, esigevano un salto di qualità nella stessa organizzazione del partito. Il 4 dicembre, i movimenti che avevano aderito ad Alleanza Nord fondarono ufficialmente la Lega Nord; per celebrare l’avvenimento e la maturità politica, dopo sette anni di attivismo, Bossi decideva che era ormai il momento di tenere il primo congresso. Dall’8 al 10 dicembre 1989, a Segrate, una delle roccaforti del movimento, si celebrò così l’assise leghista1. Nel discorso introduttivo, Bossi evidenziò la lungimiranza della scelta compiuta, nei primi anni ‘80 di fare dei temi etnici e regionalisti, una linea di frattura centrale2, una scommessa politica sulla quale fondare l’avvenire stesso del leghismo, e respinse, proprio in nome di un’ostentata diversità leghista, ogni possibile alleanza con altri partiti all’interno del parlamento italiano3. Come già era avvenuto in campagna elettorale, il segretario si soffermò a lungo sulle problematiche legate all’immigrazione,
1 È opportuno premettere che la documentazione relativa ai lavori congressuali esistente presso l’Archivio
Federale della Lega Nord, presenta alcune sostanziali differenze rispetto al materiale generalmente disponibile per le altre forze politiche: negli atti dei congressi attualmente consultabili non emergono, ad esempio, documenti relativi alle votazioni per le cariche interne, compresa quella di segretario politico, dibattiti ed operazioni di voto sulle mozioni congressuali, anche di politica generale.
2
“Capimmo allora che per uscire dalla crisi che coinvolgeva profondamente la società di 10 anni fa, dovevamo lanciare una nuova filosofia che interpretasse la lotta autonomista come il ritorno dell’antitesi della storia. Lotta autonomista che mirasse al superamento del centralismo dello stato (…) L’etnonazionalismo che proponiamo noi non era e non voleva essere una filosofia difensiva, ma uno strumento di attacco al centralismo dello stato”, U. Bossi, Intervento di U. Bossi, I° Congresso Lega Lombarda, Segrate, 8-10 dicembre 1989, presso Archivio Federale Lega Nord – AFLN.
3 “Abbiamo subito scelto di collocarci al centro e sopra. Al centro perché l’autonomia è sintesi di giustizia
che nasce dal confronto delle parti sociali. Sopra, perché l’autonomia dei grandi popoli porta oltre il sistema centralista, verso il modello del federalismo integrale”, Ibidem.
soprattutto di matrice africana, sottolineando come questa avrebbe costituito un nodo critico fondamentale nel futuro politico italiano ed europeo: il leader leghista sosteneva infatti che se era opportuno “favorire l’integrazione delle immigrazioni già avvenute e già assimilate alla nostra civiltà (…) ciò non può valere per l’immigrazione di colore di
cui non è prevedibile l’integrazione forse neppure a distanza di secoli”4.
L’immigrazione, proseguiva il leader leghista, era uno degli strumenti di un presunto complotto ordito dai grandi interessi economici e dalla massoneria contro i popoli europei, con l’obiettivo di istituire uno stato centralista europeo5:
“noi crediamo invece all’Europa dei popoli, cioè delle nazioni e delle regioni, con un Parlamento bicamerale e una camera federale dei popoli. Non è evidentemente il nostro un giochetto di preferenze costituzionali, ma è profondamente legato alla necessità di costruire un’Europa in cui sia conservata la democrazia e in cui venga salvaguardato l’interesse della piccola e della media industria”6.
Ad occuparsi specificamente delle tematiche europee fu l’eurodeputato Luigi Moretti; dopo aver illustrato ai delegati congressuali scopi e finalità del gruppo politico al quale gli eletti nelle liste di Alleanza Nord avevano aderito7, il gruppo autonomista dell’Arc en Ciel, Moretti attaccò il modo col quale la classe politica dei partiti tradizionali guardava agli impegni connessi al processo d’integrazione europea8:
4
Ibidem.
5 “Il grande capitale ha un interesse strategico legato all’immigrazione del terzo mondo. Esso sa che nelle
società multirazziali si innescano tensioni tali che possono incidere profondamente nella coscienza dei cittadini fino al punto che non si ripugni più neppure l’autoritarismo fascista. Ciò evidentemente non è tanto finalizzato a rendere autoritari gli stati nazionali, quanto a rendere possibile il progetto costituente di uno stato europeo centralista”, Ibidem.
6 Ibidem.
7 “Sulla strada che abbiamo percorso per raggiungere il nostro obiettivo, abbiamo incontrato altri popoli,
come noi soggiogati, e con loro vogliamo percorrere altra strada e combattere al loro fianco a livello internazionale contro il nostro comune nemico: il centralismo (…) tutti hanno in comune con noi il grande desiderio di autonomia, che significa più DEMOCRAZIA, più LIBERTÀ, più AMORE (…) la nostra aspirazione è di coinvolgere questi movimenti nella logica della vera autonomia, allontanandoli dal centralismo e svegliandoli dal torpore, perché solo sulla strada delle autonomie che i popoli sconfiggeranno l’Europa dei partiti, quella dei potentati economici favorevoli ad una società multirazziale”, L. Moretti, Lega Lombarda in Europa. Europa delle regioni. Rapporti con altri movimenti autonomisti. Federalismo, I° Congresso Lega Lombarda, Segrate, 8-10 dicembre 1989, presso AFLN.
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Sulla politica europea della Lega in questa prima fase, Ilvo Diamanti ha scritto: “L’elaborazione della Lega, piuttosto che a definire le prerogative istituzionali dell’Europa, pare protesa a definirne i limiti. Piuttosto che a delineare i confini generali dell’Europa, appare impegnata a sottolinearne l’articolazione intranazionale. L’idea dell’Europa espressa dalla Lega, infatti, fa riferimento a due premesse di fondo: la centralità della regione rispetto allo Stato, quale riferimento istituzionale; l’identificazione delle regioni con le nazioni e con i popoli (…) Ne conseguono due corollari: la contrapposizione rispetto a un’idea dell’Europa a) fondata sugli Stati-nazione e b) concepita anch’essa come nuova entità istituzionale, organizzata in modo centralista, in analogia con gli Stati-nazione (…) La Comunità europea, così come è concepita attualmente, appare infatti alla Lega proiezione delle logiche centraliste che caratterizzano gran
“Lo Stato italiano in Europa parla di pari dignità ma la situazione di indebitamento è pesante, confrontata a quella dei partners europei, partners che faranno di tutto per scaricare in Italia, in compensazione delle nostre passività, manodopera del terzo mondo. Questo provocherà gravi tensioni razziali e sociali che tornano ad esclusivo vantaggio dei potentati economici e dei partiti autoritaristici”9.
Il congresso della Lega Lombarda, piuttosto che definire la strategia politica del leghismo, assomigliò maggiormente ad una compiaciuta presa d’atto del lavoro svolto e dei traguardi politici raggiunti: il vero appuntamento programmatico sarebbe stato dunque il primo congresso della Lega Nord, che avrebbe scelto i percorsi migliori per rafforzare la nuova stagione politica dell’autonomismo di marca settentrionale10.
Per quanto riguarda il MSI, si è visto come fosse stato l’unico dei grandi partiti di estrema destra in Europa a non veder aumentare i propri consensi alle elezioni del 18 giugno; la debacle europea, unita a quella registrata alle elezioni politiche del 1987, aprì di fatto una “resa dei conti” tra le due principali anime del partito, quella fedele al segretario e quella, più radicale, sostenitrice di Pino Rauti. L’inevitabile congresso del gennaio 1990 si svolse di conseguenza in un’atmosfera tesa11. Nel discorso che introduceva i lavori congressuali12, il segretario uscente Fini sottolineava il profondo legame tra la situazione politica interna e il nuovo capitolo che si era aperto in Europa:
“In futuro tutta la nostra politica per così dire estera dovrà quindi essere eurocentrica e dovrà sostanziarsi di dure denunce nella politica nazionale della ormai insopportabile e antistorica acquiescenza dei nostri governi, ed in particolare della Dc, ai voleri e agli interessi dei nemici dell’Europa”13.
parte degli Stati membri, funzionale, in particolar modo, agli interessi dei partiti tradizionali”, I. Diamanti, L’Europa secondo la Lega, in “LiMes”, n. 4/93, p. 163.
9 L. Moretti, Lega Lombarda in Europa. Europa delle regioni. Rapporti con altri movimenti autonomisti.
Federalismo, cit.
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“Ogni movimento politico, e quindi anche la Lega Lombarda, sorge nella sua epoca per superare una parte del passato e vincere un’oppressione per cui si contrappone a ciò che è istituito e che è quindi da superare”, U. Bossi, Intervento di U. Bossi, cit. Da questo punto di vista, Ignazi ha sottolineato come “in questa fase l’accento si sposta dalla rivendicazione di una cervellotica ‘diversità etnica’ ad una critica anticentralista, antistatalista, antipartitocratica”, P. Ignazi, I partiti e la politica dal 1963 al 1992, in G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia d’italia. 6. L’Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 221.
11 All’interno della quale non mancarono scontri verbali e fisici tra gli esponenti delle due correnti – uno
di questi, particolarmente aspro, richiese l’intervento delle forze di pubblica sicurezza.
12
Nella relazione di apertura, secondo Piero Ignazi, il segretario Fini, “si concentra sul problema del ruolo politico e dell’identità stessa del Msi nel post-comunismo (…) Fini rifiuta l’ipotesi che il crollo del comunismo renda obsoleto il Msi, quasi che il partito avesse esercitato soltanto la funzione di ‘cane da guardia’ dell’Occidente capitalistico. Tutt’altro: ‘il nostro anticomunismo – dice Fini – [era] la conseguenza (…) del nostro essere idealmente fascisti”, P. Ignazi, Postfascisti? Dal Movimento sociale italiano ad Alleanza nazionale, Bologna, il Mulino, 1994, p. 76.
13 G. Fini, Il discorso del segretario, in “il Secolo d’Italia”, 12 gennaio 1990. Si veda anche, G. Scuppa, Il
‘sistema-Italia’ di fronte alla sfida del ‘93, in “Rivista di Studi Corporativi”, a. XIX, n. 5-6, settembre- dicembre 1989.
Nonostante che da più parti si invitassero i due principali contendenti a compiere un passo indietro nel segno dell’unità del partito rispetto ai contrasti personali, al fine di sfruttare il momento storico aperto con il crollo del Muro14, non si riuscì a raggiungere un compromesso: dalla “battaglia” congressuale usciva vittorioso, e soltanto in virtù di una ristretta manciata di voti, Pino Rauti, proclamato segretario.
Nel caso del PCI, il cammino che avrebbe portato al XIX° congresso, straordinario, partiva da lontano: negli anni ‘80 il processo di ammodernamento e di riforma del partito aveva vissuto momenti significativi grazie alle segreterie Berlinguer e Occhetto15. Gli stessi temi della campagna elettorale per le europee, la visione delle problematiche europee assai simile rispetto a quella dei grandi partiti socialisti e socialdemocratici della CEE16, la notevole attività volta a sensibilizzare parlamento e opinione pubblica sui temi relativi alla CEE17, i temi e il dibattito del XVIII° congresso,
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Gianluigi Benvenuti, giornalista del quotidiano del MSI, scriveva: “Mai come oggi, il fascismo si ripropone come movimento culturale e sociale di sconcertante attualità. Ampi spazi si aprono. Prospettive enormi. Può veramente essere il nostro momento (…) il disegno di un’altra Europa, la nostra Europa, così diversa da Yalta, non è più un sogno”, G. Benvenuti, Ritorna la nazione, in “il Secolo d’Italia”, 5 gennaio 1990.
15 Tuttavia, sostiene Ignazi, “il PCI non aveva trovato la forza di affrontare i nodi cruciali che lo legavano
ancora alla vecchia identità comunista e alla fedeltà emotiva al socialismo reale”: in ogni caso, prosegue, “il mutamento proposto da Occhetto è invece molto più radicale in quanto investe nome e identità, rivoluzionamenti di questa portata sono estremamente rari, il più clamoroso dei quali è la creazione dalle ceneri della Sfio (…) del partito socialista di François Mitterrand”, P. Ignazi, Dal Pci al Pds, Bologna, il Mulino, 1992, pp. 20 e 128.
16 Come è gia emerso, nei temi di politica estera e in particolare europea, fondamentale era stato l’operato
di Giorgio Napolitano. Egli era convinto che “una rinnovata visione del ruolo della Comunità europea, una non più astratta prospettiva comune di pace, di cooperazione, di unità per tutta l’Europa, deve diventare, attraverso la necessaria ulteriore verifica ed elaborazione, strategia effettiva della sinistra”, G. Napolitano, Tempo di strategie per l’Europa e per la sinistra, in “Il Ponte”, n. 4, aprile 1992, p. 15. Anche il segretario Occhetto sottolineava però come la nuova formazione politica, consapevole che la logica dei blocchi era “ormai in via d’esaurimento”, dovesse essere meno legata “agli schemi e alle divisioni del passato, e più volto alla costruzione del futuro, del mondo nuovo. Il primo traguardo, ambizioso ma non imperscrutabile, è quello degli Stati Uniti d’Europa”, A. Occhetto, Come disegnare l’Europa delle riforme, in “Rinascita”, n. 52, 11 dicembre 1989.
17 Il 22 febbraio 1990, Gianni Cervetti e Franco Bassanini presentavano alla Camera dei Deputati due
disegni di legge costituzionale piuttosto interessanti. Nel primo si proponeva di aggiungere all’art. 11 della Costituzione, il seguente comma: “L’Italia promuove e favorisce, con il libero concorso degli Stati, l’unità politica europea fondata sulla sovranità popolare”. Secondo Cervetti e Bassanini, tale proposta era necessaria per far fronte a tre fattori: “in primo luogo colmare una lacuna nell’articolato della nostra Carta fondamentale; in secondo luogo, rispondere positivamente alle sollecitazioni di ordine generale venute dall’inequivocabile risultato del referendum del giugno scorso; in terzo luogo, assumere una iniziativa, costituire un esempio, compiere un atto di grande valore europeistico nella nuova situazione in cui si è venuta a trovare l’Europa”, Proposta di legge costituzionale C. n. 4606, ALeg, CADE, X Leg., Disegni di Legge, 22 febbraio 1990, p. 4 e 1. Nel secondo disegno di legge, i due presentatari proponevano che nel collegio incaricato di eleggere il presidente della Repubblica, fosse inserita anche una delegazione di eurodeputati in quanto, “non si tratta di suggerire, per questa via, o in qualche misura determinare un modo nuovo di concepire il ruolo dei livelli regionali, statali ed europei, quanto di sottolineare il ruolo di un possibile nuovo rapporto, in questa fase politica dei processi che investono il futuro dell’Europa, tra sovranità nazionale e sovranazionalità europea”, Proposta di legge costituzionale C. n. 4607, ALeg, CADE, X Leg., Disegni di Legge, 22 febbraio 1990, p. 1.
resero chiaro che anche la stessa denominazione di “PCI” sarebbe presto stata messa apertamente in discussione. L’imprevista dissoluzione del blocco comunista si inserì in questo processo, accelerandone vertiginosamente gli effetti.
Il 12 novembre 1989, trascorso solo qualche giorno dalla caduta del Muro, Achille Occhetto si recò a sorpresa ad un incontro di partigiani che commemoravano la “battaglia della Bolognina” – un aspro scontro avvenuto nella città di Bologna tra nazifascisti e formazioni partigiane. Il segretario del PCI, intervenendo nel dibattito, definì il Muro come la negazione stessa dello spirito della Resistenza: “da questo traggo l’incitamento a non continuare su vecchie strade ma ad inventarne di nuove per unificare le forze di progresso. Dal momento che la fantasia politica in questo fine ‘89 sta galoppando, nei fatti è necessario andare avanti con lo stesso coraggio che allora fu dimostrato nella Resistenza”18. I giornalisti presenti all’incontro, gli domandarono se le sue affermazioni sottintendessero un cambiamento nel nome del PCI; con una risposta lapidaria, Occhetto replicò: “lasciano presagire tutto (…) stiamo realizzando grandi cambiamenti e innovazioni in tutte le direzioni”19. Nel partito, e al di fuori di esso, si innescò rapidamente un acceso e partecipato dibattito, all’interno del quale Massimo D’Alema faceva subito sapere che la proposta di Occhetto era diretta a creare “un nuovo partito di ispirazione democratica e socialista, parte integrante del socialismo europeo, che si propone di raccogliere tutte le forze che intendono impegnarsi per una alternativa di progresso e riformatrice nel nostro paese”20.
Qualche giorno dopo, nella relazione che apriva i lavori della direzione, Occhetto sferrò un duro attacco all’esperienza del socialismo reale dell’Est europeo:
“appare sempre più chiaro che lo stalinismo (…) ha trasformato la grande vittoria politica e morale della Resistenza in una politica di potenza che alla luce dei fatti si è ridotta in una dissipazione di quel patrimonio ideale, del suo più grande significato di lotta per la libertà. Emerge con altrettanta chiarezza che non solo il
18
La dichiarazione è riportata in W. Dondi, Il Pci cambierà nome? “Tutto è possibile”, in “l’Unità”, 13 novembre 1989.
19 Ibidem.
20 M. D’Alema, L’orgoglio delle nostre idee, in “l’Unità”, 15 novembre 1989. Armando Cossutta si
dichiarava invece fermamente contrario in quanto costituiva, secondo l’esponente dell’ala ortodossa del PCI, “una fuga in avanti che lascerebbe un vuoto enorme (…) Congresso o non congresso non credo proprio che i comunisti presenti nel Pci siano disposti a non essere e a non chiamarsi comunisti”. La dichiarazione è riportata in P. Spataro, Il sì caloroso di Lama, il no secco di Cossutta, in “l’Unità”, 15 novembre 1989. Duro era anche il giudizio dato da Lucio Magri. “è solo un illusorio diversivo, un’ennesima via di fuga nelle operazioni di immagine. Ma con una aggravante (…) sul piano dello stesso realismo politico: si aprirà una lacerazione, un disorientamento, una smobilitazione del partito e soprattutto nella sua base popolare”. La dichiarazione è riportata in S. Criscuoli, Assenso dalla Direzione, in “l’Unità”, 15 novembre 1989.
socialismo non è stato realizzato ma che in alcuni paesi non è stato nemmeno tentato. Si è realizzato così un collettivismo burocratico di Stato che ha finito per negare gli ideali del socialismo e per arrecare un danno inestimabile a tutte le forze
che vogliono, come noi, mantenere aperta la via al rinnovamento della società”21.
Dopo aver ricordato che la caduta dei vari regimi dell’Est comportava anche la fine dell’internazionalismo comunista22, il segretario del PCI rivendicò con orgoglio quelle che definiva le tappe fondamentali compiute dal partito negli ultimi anni:
“1) siamo stati la parte più dinamica e intelligente del movimento comunista, 2) siamo divenuti un partito che con lo strappo si poneva in una collocazione autonoma, di critica e di stimolo. In questa collocazione, come nella prima, il nostro partito ha assolto una grande funzione ivi compresa l’influenza sulla stessa perestrojka, 3) siamo oggi partito della sinistra europea, questa caratterizzazione è chiamata adesso a svolgere tutte le sue potenzialità”23.
La decisione di convocare un congresso straordinario, era nelle mani del comitato centrale che si sarebbe riunito a Roma dal 20 al 24 novembre: ai fini della ricerca, quello che interessa maggiormente non consiste tanto nello studio dei motivi e dei contenuti della svolta del PCI, quanto delineare e discutere criticamente il ruolo svolto all’interno di essa dalle tematiche legate all’integrazione europea.
Naturalmente, ad animare il dibattito in seno al comitato centrale fu soprattutto il cambiamento del nome del partito: tuttavia, anche l’esplicita ipotesi di aderire all’IS, costituiva un forte argomento di discussione che, successivamente, si sarebbe riflesso ampiamente nei vari documenti precongressuali. Nell’introdurre il dibattito, il segretario
21 A. Occhetto, “Un nuovo inizio davanti a noi”, in “l’Unità”, 15 novembre 1989. Anche nella relazione
al successivo comitato centrale, Occhetto, dopo aver ripercorso i grandi successi del movimento comunista sin dalle sue origini, sottolineava: “C’è, però, una parte di questa storia che ha colpito al cuore il messaggio di liberazione da cui il nostro movimento aveva preso le mosse. Parlo dell’esistenza di Stati totalitari che hanno usurpato il nome di socialismo, offuscato le grandi potenzialità politiche e morali della Resistenza, della vittoriosa lotta contro il nazifascismo”, A. Occhetto, La relazione di Achille Occhetto, in Documenti per il congresso straordinario del PCI. Il Comitato centrale della svolta/1, Supplemento al n. 7 de “l’Unità”, 9 gennaio 1990, p. 6.
22 “Appare in tutta evidenza la fine di un internazionalismo comunista. Noi abbiamo già affermato da
tempo di non far più parte del movimento comunista, ma anche una simile affermazione appare ormai del tutto insufficiente, non solo dinanzi al fatto che un movimento comunista non esiste più nella realtà (…) ma anche perché la funzione riorganizzatrice e centripeta dell’Internazionale socialista diventa centrale, ed è destinata ad accentuarsi”, Ibidem. Su questo punto, internvendo nel dibattito, Giorgio Napolitano sosteneva che “si è entrati in un fase storica almeno qui in Europa: in cui le politiche dei piccoli passi non reggono più: questo vale per gli Stati, e può valere anche per i partiti. non possiamo riaffermare la nostra funzione storica sul piano internazionale senza compiere la scelta di un rapporto organico con