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Negli anni ‘80 il sistema partitico italiano, così spesso conflittuale, aveva trovato nel sostegno al progetto europeo uno dei rari punti di convergenza: a partire dalla scelta fatta dal PCI di Berlinguer nel decennio precedente, eccezion fatta per il voto sullo SME, i partiti italiani si espressero infatti in modo pressoché unanime a favore dell’integrazione europea, pur avanzando spesso dubbi e interrogativi in merito a tempi e modalità che ne scandivano le tappe. È necessario capire come nel corso del tempo si era maturato questo ampio e condiviso sostegno. Il primo fattore da tenere in considerazione è il ruolo della guerra fredda: la politica dei blocchi, figlia della seconda guerra mondiale, aveva avuto come conseguenza che qualunque formula di integrazione o accordo regionale al quale partecipasse l’Italia e che godesse del favore degli USA, incontrasse il deciso favore da parte di quelle forze politiche che sostenevano l’alleato d’oltre oceano e la netta contrarietà di quei partiti che non condividevano la collocazione internazionale del paese12.

11 In un certo senso, tale frattura riproponeva la querelle tra ‘economisti’ e ‘monetaristi’, volendo

intendere per i primi coloro che ritenevano che il mercato unico dovesse essere accompagnato da una politica economica europea; si vedano, T. Padoa-Schioppa, La lunga via per l’euro, Bologna, il Mulino, 2004, e, stesso autore, L’Europa verso l’unione monetaria. Dallo SME al Trattato di Maastricht, cit.

12 L’importanza di tener presente un quadro internazionale “da Washingon a Mosca” è necessaria al fine

di comprendere le posizioni dei partiti e coglierne le sfumature. Si veda, P. Craveri, G. Quagliariello, (a cura di), Atlantismo ed europeismo, Soveria Mannelli-Catanzaro, Rubbettino, 2003.

In questo quadro storico e politico, la DC guidata da Alcide De Gasperi diventò immediatamente uno dei pilastri di quella costruzione europea che nasceva proprio sotto il segno di grandi leader democratico-cristiani13: lo statista trentino, appunto, il francese Robert Schumann e il cancelliere della RFT, Konrad Adenauer. La DC poteva dunque rivendicare con orgoglio di essere stato il primo partito a schierarsi senza riserve per l’unificazione europea, auspicandone una futura trasformazione in senso federale: nelle campagne elettorali dell’immediato dopoguerra e in quelle seguenti, la propaganda democristiana non mancò di porre l’accento su questo aspetto, visto come solido simbolo di modernità e sicurezza per l’avvenire del paese. La nascita della CECA era stata invece avversata da quelle formazioni della sinistra, come il PCI14, che avevano come principale riferimento la lotta politica in ambito nazionale e che pertanto definirono la prima Comunità come “il riflesso di una strategia americana di divisione dell’Europa, in funzione antisovietica, e di consolidamento del capitalismo”15. Già dai Trattati di Roma, il PSI mutò atteggiamento avviandosi, seppur gradualmente, ad esprimersi in senso favorevole all’esperienza comunitaria16. Solo negli anni ‘70, approfondendosi il distacco da Mosca e sotto la guida di Berlinguer, il PCI iniziò anch’esso ad avvicinarsi all’europeismo17: la svolta, inaugurata negli anni ‘70, e proseguita con la candidatura di Altiero Spinelli – come indipendente - al parlamento italiano e a quello europeo, si concretizzò, secondo Mario Telò, nell’approvazione del Progetto Spinelli che vide convergere per la prima volta gran parte della sinistra

13 Tuttavia non si può non accennare al ruolo svolto da personalità e partiti di matrice laica come i liberali

di Luigi Einaudi, il nuovo Partito d’Azione in cui militò anche Spinelli, i socialdemocratici di Piero Calamandrei e i Repubblicani di Ugo la Malfa.

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L’opposizione alla CECA riguardava anche altre forze della sinistra europea di matrice non comunista: valga per tutte l’esempio dato dal duro giudizio del leader della SPD Kurt Schumacher: “un'azienda Europa dominata da quattro K: Kapitalismus, Klerikalismus, Konservativismus e Kartels”, riportata in G. Mammarella, P. Cacace, Storia e politica dell'Unione europea, cit., p. 52.

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Ne conseguiva che il federalismo europeo era visto come “un mito dietro il quale si nascondeva l’adesione del governo guidato dalla Dc al disegno dell’imperialismo americano”, G. Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo.Un’autobiografia politica, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 310. Diversamente, Luciana Castellina ricorda come “molti degli oppositori dell’inizio – certamente il PCI – non erano affatto contrari a una ipotesi di unificazione europea, ma solo a quella che stava prendendo corpo”, L. Castellina, Cinquant’anni d’Europa. Una lettura antiretorica, Torino, UTET, 2007, p. VIII. La posizione di Napolitano sembra più convincente: nel PCI non emerge per un lungo periodo, al di là dei rituali richiami all’internazionalismo, la volontà politica di unificare l’Europa.

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È opportuno ricordare che proprio in quegli anni il PSI stava costruendo con la DC quel rapporto che avrebbe portato al centrosinistra e che proprio nei Trattati di Roma vide uno dei punti di snodo centrali.

17 Non era un caso che ad un maggiore distacco dall’URSS corrispondessero aperture verso l’integrazione

europea: come hanno scritto Pascal Delwit e Jean Marie De Waele, “dans la grande majorité, l’évolution des partis communistes face à la Communauté européenne met bien en évidence une corrélation forte: plus le parti s’ouvre, se réforme, se démocratise et prend ses distances à l’égard de l’Union soviétique, plus il soutient le principe de l’unification européenne (…) En revanche, les partis communistes les plus «orthodoxes» se montrent les plus opposés au processus communautaire”, P. Delwit, J.-M. De Waele, La gauche face aux mutations en Europe, Bruxelles, Editions de l’Université de Bruxelles, 1993, pp. 14-15.

europea, compreso il PCI, su posizioni federalistiche18. Il PCI aveva compiuto un lungo cammino che dalla strenua opposizione alla CECA, lo portò negli anni ‘80 a divenire un convinto sostenitore del processo d’integrazione19.

Il rapporto tra il MSI-Dn e l’Europa era stato spesso complesso: nei primi anni del dopoguerra, i missini avevano rivendicato per l’Europa quello spazio e quella dignità che la politica dei blocchi stava inevitabilmente riducendo; Filippo Anfuso, già ambasciatore della RSI a Berlino, fu tra i primi ad intuire che una politica sull’Europa sarebbe stata necessaria anche per una forza nazionalistica come il MSI. Lo stesso Anfuso, come in seguito Almirante e Gianfranco Fini, giunse a richiamare una sorta di vocazione europea del fascismo così come confermavano, secondi i missini, i “18 punti di Verona” – il programma politico della RSI20. Negli anni ‘80 il MSI-dn era ancora un “osservato speciale” nella vita politica e pubblica italiana, e in particolare all’interno delle aule istituzionali: i missini non sembravano risentire di questo clima da partito assediato, che anzi spesso ricercarono e provocarono deliberatamente. L’opposizione verso le forze politiche dell’arco costituzionale si traduceva quindi anche in costanti critiche verso la politica estera italiana, accusata di essere ora filoamericana, ora di contribuire a produrre un’unificazione europea su basi meramente economiche21. Il MSI-dn era anche una delle rare realtà politiche che, seppur con finalità strumentali e propagandistiche, si poneva con maggiore decisione il problema del superamento della divisione tra Est ed Ovest22.

Ad opporsi ad un’Europa fondata sulle nazioni come quella rivendicata dal MSI- dn, fu la Lega Lombarda di Umberto Bossi: coerentemente con la situazione storico-

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Si veda, M. Telò, Introduzione. La socialdemocrazia tra ancoraggio nazionale ed Europa, in M. Telò, (a cura di), Tra nazione ed Europa. Tendenze delle socialdemocrazie europee. Annali 1992-1993, Milano, Angeli, 1993, pp. 20-21. Sui rapporti tra Altiero Spinelli e la sinistra europea si veda, D. Pasquinucci, Europeismo e democrazia. Altiero Spinelli e la sinistra europea 1950-1986, Bologna, il Mulino, 2000.

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In occasione della morte del federalista italiano, Napolitano affermò che Altiero Spinelli “ci lascia una consegna di tenacia e di lotta, di irrinunciabile fiducia nella causa dell’europeismo (…) Lascia questa consegna in particolare a noi comunisti, che molto gli dobbiamo (…) per un rapporto felicemente ritrovato di impegno comune, nella battaglia per la democrazia e per l’Europa”, G. Napolitano, Altiero Spinelli e l’Europa, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 29-30.

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Nella parte dedicata alla politica estera della RSI – punto 8 – si prevedeva, tra l’altro, “la realizzazione di una ‘comunità europea’ con la federazione di tutte le nazioni” che ne accettavano i contenuti.

21 Maurizio Gasparri, presidente del FUAN e membro della direzione MSI-dn, affermava: “noi, che

abbiamo sempre creduto nell’Europa, non saremo certamente contrari ai processi di integrazione ma non vogliamo una Europa del libero scambio (…) non vogliamo soltanto l’Europa dei sistemi monetari e della finanza”, “Alla logica della moneta opporremo storia e cultura”, in “il Secolo d’Italia”, 7 aprile 1988.

22 Sempre Gasparri ammoniva a non dimenticare che “l’Europa che noi vogliamo realizzare non si ferma

politica dalla quale traeva origine23, la concezione europea della Lega negli anni ‘80 era figlia della matrice autonomista che stava alla base del movimento. Nel programma politico del 1983, il primo leghismo rivendicò “la costruzione di un’Europa fondata sull’autonomia, il federalismo, il rispetto e la solidarietà diretta tra tutti i popoli del continente”24. Tale idea di fondo si rintracciava anche nel cartello autonomista che si presentò alle europee del 1984: la coalizione, primo tentativo di quel nucleo che avrebbe dato vita alla Lega Nord, si poneva l’obiettivo di un’Europa “autonomista e federalista che, rifiutando la logica dell’impero, ci garantisca, contemporaneamente, lavoro e libertà”25.

Le formazioni politiche italiane, come d’altronde quelle degli altri paesi, furono costrette ad approfondire la propria visione dell’Europa in conseguenza della prima elezione diretta del PE, che introdusse germogli di lotta politica europea26: seppur con lentezza ed ampie contraddizioni, la decisione di eleggere democraticamente il PE27 comportò per i partiti l’esigenza di approfondire e chiarire le proprie posizioni sulle tematiche legate all’integrazione europea28, tema che fino al 1979 era stato argomento quasi esclusivamente delegato ad elite governative e burocratiche. La “fede europeistica” professata da tutti i partiti italiani, unita sovente alle contraddizioni palesate in sede di prassi politica, andarono a delineare un sostegno partitico all’integrazione europea fatto di luci ed ombre: nella prospettiva del mercato unico diventava pertanto fondamentale tradurre in azione politica, coerente e costante, quell’europeismo così tanto dichiarato quanto spesso disatteso.

23 Per la quale si vedano, R. Mannheimer, La Lega Lombarda, Milano, Feltrinelli, 1991 e, I. Diamanti, La

Lega. Geografia, storia e sociologia di un nuovo soggetto politico, Roma, Donzelli, 1993.

24

Lega Autonomista Lombarda, Programma, in “Lombardia autonomista”, a. II,1983.

25 U. Bossi, Unione per l’Europa federalista, in “Lombardia autonomista”, a. II, n. 19, maggio 1984. 26 Le stesse federazioni transnazionali dei partiti europei furono incentivate ad approfondire il proprio

progetto politico – come per i popolari ed i socialisti - o, in alcuni casi, ad elaborarlo – come nel caso dei liberali.

27

Sul dibattito relativo alla prima elezione del PE si vedano, A. Papisca, Verso il nuovo Parlamento Europeo. Chi come perché, Milano, Giuffré, 1979, e per il contributo federalista, L.V. Majocchi, F. Rossolillo, Il Parlamento europeo. Significato storico di un'elezione, Napoli, Guida, 1979.

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Secondo Levi e Morelli, le elezioni europee avviarono infatti, “il processo di europeizzazione dei partiti, costringendoli ad occuparsi con maggiore attenzione dei problemi dell’integrazione”, L. Levi, U. Morelli, L’unificazione europea. Cinquant’anni di storia, cit., p. 225. Si veda a tal proposito il completo quadro d’insieme proposto in D. Pasquinucci, L. Verzichelli, Elezioni europee e classe politica sovranazionale 1979-2004, cit.