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L’impostazione del confronto elettorale fu incentrata di fatto su due campi, quasi distinti: in uno si intrecciavano le vicende legate ai tre partiti principali – DC, PCI e PSI – e alle altre forze di governo, mentre l’altro era riservato agli esclusi, MSI e Lega Lombarda. Tale separazione era fondamentalmente da attribuire alla posizione isolata rispetto alle altre forze politiche, seppur per diversi motivi, che riguardava missini e

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U. Bossi, NO! Al referendum mistificatore, in “Lombardia Autonomista”, a. VII, n. 6, maggio 1989.

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Ibidem.

79 Scriveva il senatore leghista: “Non lasceremo inoltre che i partiti ottengano un parlamento europeo che

faccia da sponda alle loro decisioni nazionali, da cui far approvare quelle leggi che non riescono a passare nei vari parlamenti nazionali e che domani potrebbero arrivarci come imposizioni dal parlamento europeo (…) Questo non avverrà. L’Europa deve essere, ma deve essere l’Europa dei popoli e non della banditocrazia finanziaria e politica”, Ibidem.

80 Quella di partito riservava alcuni brevi articoli sul referendum soprattutto per avocarne il merito

leghisti. Gli stessi partiti principali e di governo nei loro congressi, convegni, occasioni elettorali, raramente tenevano in considerazione anche MSI e Lega: ad unire questi due piani erano a volte fattori come temi di politica interna, l’Europa del 1992 o grandi avvenimenti internazionali, ad esempio il maggio cinese.

La campagna elettorale era stata preparata da un’intensa stagione congressuale, alla quale non parteciparono proprio i due partiti esclusi, inaugurata a febbraio dal congresso della DC, proseguita a marzo con l’importante assise del PCI e conclusasi a maggio con quella del PSI. I temi centrali che caratterizzarono il dibattito elettorale furono costituiti da: 1) la situazione di disequilibrio tra l’“Europa democratica” e quella “delle monete” – in vista anche del vertice di Madrid; 2) i rapporti tra PCI e PSI e specialmente tra i due segretari, Achille Occhetto e Craxi; 3) l’assenza di dibattito sul referendum; 4) le vicende internazionali incentrate sui primi decisivi sviluppi dell’Est europeo e sulla rivolta studentesca di Pechino, alla quale seguì la strage di Piazza Tien An Men. Tuttavia, è bene precisare che questi appena accennati furono argomenti collaterali all’interno di una campagna elettorale che si presentò come una sorta di gara nella quale ogni partito cercava di mostrarsi agli occhi dell’elettorato come la forza politica più europeista delle altre81, nella speranza di trarne vantaggi elettorali al fine di rafforzare la propria posizione e rimettere in discussione gli assetti politici interni.

5.1 I partiti, l’Italia, l’Europa del 1992, la campagna elettorale

L’approvazione della nuova legge elettorale e quella sul referendum d’indirizzo, avevano visto accantonare provvisoriamente le numerose divisioni tra le varie forze politiche, contribuendo a generare un importante momento unitario nella vita politica del paese. L’avvio della campagna elettorale esigeva il ritorno ad una lotta politica a tutto campo, all’interno della quale anche il processo d’integrazione europea, oltre alle prevalenti tematiche di politica nazionale, alimentasse il confronto e il dibattito tra i partiti in lizza. Se il congresso della DC di febbraio sancì l’avvio “ufficiale” della lunga cavalcata pre-elettorale, le posizioni sull’Europa del 1992 e il percorso scelto per arrivarci, costituirono le principali fonti di discussione. Il confronto sul mercato unico si snodava lungo due filoni: il primo incentrato sulla richiesta di un maggiore equilibrio tra unione politica ed unione economica, l’altro, più conflittuale, sullo stato di preparazione

81 Come esempio: “Siamo certamente il partito più europeista d’Italia e quindi d’Europa”, B. Ciccardini,

dell’Italia in vista del 1992, argomento che contrappose duramente i partiti di maggioranza rispetto a quelli di opposizione, per evidenti ragioni di diverse responsabilità nella guida del paese.

Il congresso della DC, nonostante fosse stato convocato in vista del voto europeo82, si doveva occupare soprattutto di risolvere la delicata questione del doppio incarico di De Mita, presidente del consiglio e segretario politico, che da tempo stava animando il confronto tra le varie correnti del partito. Lo slogan del congresso, nelle intenzioni dell’organizzatore Gianni Fontana, doveva essere “La crisi del sistema politico. Il ruolo del Partito Popolare, democratico, nazionale, di ispirazione cristiana per il rinnovamento della politica”: tuttavia, il consiglio nazionale aveva deciso di cassare l’inciso “la crisi del sistema politico”, nonostante che il congresso, inizialmente previsto per il mese di gennaio, dovette essere rinviato di un mese proprio in seguito alle vicende che avevano portato alla fine del governo Goria83.

Nella relazione d’apertura dei lavori del XVIII° congresso, De Mita pose all’attenzione dei delegati il fatto che avviare la CEE verso una vera UEM, con una sua specifica e autonoma banca centrale, “fa sì che alcuni partners comunitari, pur autorevoli, manifestino qualche scetticismo” e per questo, proseguiva,

“rivivono esitazioni che speravamo superate per sempre (…) l’opinione pubblica ci valuterà anche per la capacità che dimostreremo nel conseguire questo obiettivo. L’ambizione di tradurre in realtà il sogno di una Europa politicamente unificata, con un’azione estera comune, rimane uno dei motivi propulsori della nostra azione politica”84.

Anche Emilio Colombo sottolineò come lo stesso obiettivo del 1992, tappa fondamentale del processo di unificazione europea,

“tende ad appiattirsi sui temi economici e commerciali e sulle istituzioni in funzione dell’attuazione del mercato unico. Tutto ciò è importante, ma resta pur sempre un obiettivo circoscritto rispetto alla tensione ideale che ha sempre animato

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Al congresso erano installati anche quaranta computer che proiettavano varie diapositive relative a storia e ideali della DC: largo spazio era dedicato all’Europa, affinché, come dichiarato all’interno della conferenza stampa che presentava i lavori, “anche il Congresso sia una utile occasione per sottolineare l’importanza della scelta Europea, di cui la DC fu principale artefice”, XVIII° Congresso DC, Roma, 18- 22 febbraio 1989, ASLS, Fondo DC, Congressi nazionali, Scatola 29, fascicolo 7.

83 Si veda, Consiglio nazionale DC, 18 luglio 1988, ASLS, Fondo DC, Consiglio nazionale, scatola 74,

fascicolo 189.

84 Relazione del segretario politico Ciriaco De Mita, in XVIII° Congresso DC, Roma, 18-22 febbraio

i partiti democratici cristiani d’Europa (…) È ormai maturo il tempo di avviarsi decisamente verso l’unione politica”85.

Toccò ad alcuni eurodeputati incentrare i lavori congressuali anche sull’importanza che il partito si impegnasse, in qualità di principale forza di governo, nel fare in modo che l’Italia rispondesse alle sfide che il mercato unico avrebbe posto: secondo Maria Luisa Cassanmagnago Cerretti, la DC, forte del suo tradizionale e antico sostegno all’unione politica, doveva dare un contributo decisivo

“al confronto che il sistema italiano è chiamato a sostenere con l’Europa del 1992. Un paese moderno, democratico e solidarista che aspiri a svolgere un ruolo incisivo nell’Europa dei prossimi anni (…) deve saper guardare ai problemi ed ai ritardi del proprio sviluppo e della propria condizione sociale con l’attitudine ad individuarne i nodi strutturali e ad affrontarli guidandone l’evoluzione”86.

In quanto, le fece eco Silvano Grandini, “dal 1992 sarà il contesto europeo e internazionale a spazzare via le sacche di inefficienza e di parassitismo, e se per allora non sarà trovata la soluzione idonea, il rischio già attuale di trovarci del tutto emarginati”87 sarebbe inevitabilmente aumentato. Il documento finale unitario, faceva

85 Intervento E. Colombo, Ibidem. Sulla stessa linea d’onda era il tono di una lettera elettorale inviata da

Martinazzoli, ai cittadini residenti nelle circoscrizioni elettorali dove l’esponente DC si candidava per le elezioni europee: Martinazzoli spiegava che aveva accettato la candidatura in quanto “credo importante, in un tempo in cui la tecnica e l’economia si muovono su scala internazionale, che la politica – incaricata di guidare e regolare lo sviluppo – non rimanga prigioniera degli angusti confini nazionali (…) Il 1992 è alle porte, e quando uomini, imprese, capitali avranno davvero libera circolazione, la nostra iniziativa varrà se sapremo stare in campo attrezzati ed efficienti. Certo i poteri del parlamento comunitario non sono ancora adeguati”, ASLS, Fondo Gruppo alla Camera dei Deputati, serie 1, Presidenza 1946-1993, sottoserie 1, busta 1, fascicolo 15. La lettera è elaborata in formato intervista in M. De Luccia, intervista a M. Martinazzoli, Più forza alla Dc perché il futuro è già presente, in “la Discussione”, a. XXXVII, n. 24, 17 giugno 1989.

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Intervento M. L. Cassanmagnago Cerretti, in XVIII° Congresso DC, Roma, 18-22 febbraio 1989, ASLS, Fondo DC, Congressi nazionali, Scatola 28, fascicolo 18. Già in altre occasioni l’europarlamentare della DC aveva evidenziato come il rispetto degli impegni europei fosse la condizione necessaria per riuscire ad avere più peso in Europa: in un convegno tenuto presso la Camera dei Deputati il 13 e 14 maggio 1988, aveva sostenuto che “la scelta europea si misura sull’impegno per diminuire quelle debolezze del nostro Paese, a livello politico, giuridico, economico e sociale che riducono la nostra possibilità di imporre più Europa nelle sedi comunitarie”, ASLS, Fondo Gruppo Parlamentare DC al Senato, Serie II, Atti dei Presidenti, Scatola 27, fascicolo 44.

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Intervento S. Grandini, in XVIII° Congresso DC, Roma, 18-22 febbraio 1989, ASLS, Fondo DC, Congressi nazionali, Scatola 28, fascicolo 18. Anche Dario Antoniozzi, capogruppo della delegazione DC al PE, illustrando la mozione degli eurodeputati ribadiva che il governo a guida DC, dovesse dare rapida applicazione alle direttive “per il completamento del grande Mercato Unico. Governo e parlamento italiani devono tenere il passo delle istituzioni europee (come spesso non è accaduto nel passato) (…) anche per non lasciare che siano soltanto i gruppi privati il cui contributo è certamente importante e indispensabile i soli o i principali protagonisti del 1992”. Inoltre, proseguiva Antoniozzi, “Con le altre forze politiche sinceramente europeiste, la DC deve creare o cogliere tutte le occasioni utili per realizzare l’unità politica, senza accettare e tanto meno favorire tendenze isolazionistiche che, anche in nome di un

proprie le considerazioni sulla politica europea che il partito avrebbe dovuto sostenere, in Italia come nelle sedi internazionali, elaborate dalle varie correnti in vista del congresso88: nel testo, al primo punto, si dichiarò che

“alla vigilia di una consultazione elettorale europea che vede le forze popolari impegnate per la costruzione degli Stati Uniti d’Europa e nella consapevolezza che anche per i prossimi traguardi europei è ineludibile un’azione di risanamento della finanza pubblica e di una riforma della pubblica amministrazione che garantisca una diversa efficienza dei servizi (…) Il congresso ribadisce la permanente validità della scelta occidentale ed europea ed apprezza le grandi novità che sono intervenute nel quadro internazionale”89.

Forlani fu eletto ad ampia maggioranza, segretario politico del partito.

Il XVIII° congresso del PCI si annunciava come “il congresso della svolta”: le questioni dell’identità comunista, del rapporto col PSI e dei riferimenti europei, erano state poste dalla dirigenza a tutto il partito già da diverso tempo, suscitando numerosi interrogativi circa il futuro del PCI, come in parte testimoniava il brusco calo elettorale che si era registrato alle elezioni politiche del 1987. Se la segreteria guidata da Occhetto cercò di accelerare il processo di revisione e ammodernamento del PCI, al fine di tentare nuovamente la costruzione di un’alternativa alla DC, nei primi mesi del 1989, non era ancora chiaro se la dirigenza comunista avesse anche già in mente il percorso da seguire e l’approdo verso il quale condurre il partito, a cominciare dalla sempre più ventilata ipotesi di variazione del nome. Da questo punto di vista, il congresso

europeismo male inteso, possano farsi strada al di qua e al di là dell’Atlantico”, Ibidem. La mozione degli eurodeputati fu approvata dai delegati congressuali con voto palese.

88 Nel documento precongressuale steso da Andreotti, era scritto che il congresso della DC, “si felicita

perché le due grandi innovazioni del Patto Atlantico e della Comunità europea per cui ci battemmo con grande fiducia agli inizi, sono divenute oggi patrimonio comune dei partiti politici”. In quello di “Area del confronto”, la corrente principale del partito, che vedeva tra i suoi esponenti di spicco, De Mita, Martinazzoli e Beniamino Andreatta, si evidenziava che “la scadenza del 1993 per un passo decisivo e irreversibile in direzione della unificazione dell’Europa richiama ad un altro grande motivo di impegno (…), quello di un europeismo serio e responsabile, che rafforzi una politica di sviluppo senza cadere in un’Europa dominata dalle lobbies e dagli interessi sregolati, al di fuori di ogni reale controllo nazionale e sovranazionale. Democratizzare le strutture comunitarie è una necessità che si impone altresì per garantire un’Europa aperta, alinea da ogni tentazione di isolamento e di chiusura”. Infine, la corrente “Azione popolare”, capitanata dai vari Scotti, Antonio Gava, Oscar Luigi Scalfaro, Pier Ferdinando Casini e Franco Maria Malfatti sottolineava come “proprio la novità dei problemi che l’Italia e l’Europa si trovano ad affrontare potrebbe costituire l’occasione storica per arrivare, più rapidamente di quanto finora si è pensato, all’unità politica di un’Europa federale, che potrebbe trovare, partendo anche dalla ripresa dell’antico progetto di difesa comune troppo rapidamente accantonato nei primi anni ’50, un forte motivo determinante di accelerazione”, XVIII° Congresso Dc, Roma 18-22 febbraio 1989, ASLS, Fondo DC, Congressi nazionali, scatola 29, fascicolo 6.

89 XVIII° Congresso DC, Roma, 18-22 febbraio 1989, ASLS, Fondo DC, Congressi nazionali, Scatola 28,

rappresentò una vera svolta più nei contenuti che nelle forme: nella stessa relazione di apertura dei lavori congressuali, ad esempio, il tema del lavoro, aspetto che doveva essere centrale per una forza che si ispirava al comunismo, era collocato solo all’undicesimo dei punti trattati dal segretario. Per contro, la priorità e l’ampiezza dello spazio attribuito alle problematiche internazionali ed in particolare europee, costituirono un chiaro segnale di volontà politica e non solo di propaganda pre-elettorale. Infatti, anche il contenuto ed il modo con il quale erano trattate le tematiche legate alla CEE, furono fortemente innovativi. Dopo aver ricordato che “la nostra è una scelta europeista ben precisa e ben determinata nelle sue linee di fondo; qualcosa di profondamente diverso da quel generico europeismo, per cui sembra che si sia tutti d’accordo”90, il segretario illustrò ai delegati posizioni e sfide del PCI nell’attuale fase dell’integrazione europea: il compito fondamentale della sinistra europea,

“è quello di promuovere e contribuire alla costruzione di un’Europa che sia per davvero l’Europa della democrazia. Noi abbiamo già detto, e ripetiamo, che siamo non solo favorevoli, ma siamo fautori del mercato unico europeo, nello stesso tempo avvertiamo che il mercato, e anche il nuovo mercato europeo, non può però essere un campo di gara senza arbitro, nel quale grandi poteri decisionali vengano assunti da gruppi ristretti di industriali, uomini della finanza, politici, fuori da chiari vincoli di controllo democratico. La questione di fondo è allora quella del potere politico. Del potere democratico. È necessario un governo democratico del processo di integrazione che affronti i problemi della coesione economica e sociale”91.

Occhetto poneva dunque come sfida primaria per la sinistra italiana ed europea la questione del potere politico, aspetto centrale dello stesso marxismo, ma trasponendolo in chiave europea, al fine di fondare un governo democratico della CEE che affiancasse il mercato unico al quale, comunque, il segretario del PCI dava il suo sostegno. La logica conseguenza, lo sbocco naturale di tali posizioni così opposte rispetto a quelle dei partiti comunisti ortodossi, come il PCF, fu che

“le nostre posizioni sull’Europa, sulla prospettiva di un’Europa unita, ci fanno parlare di una via europea del socialismo. Ed è proprio in questo quadro che noi riteniamo che sia necessario realizzare una maggiore unità di tutte le forze di sinistra e di progresso sulla base di una chiara scelta europeistica (...) tutti ci stiamo volgendo verso un traguardo, al quale non è ancora arrivato nessuno e al quale

90 A. Occhetto, Il nuovo Pci in Italia e in Europa. È il tempo dell’alternativa, in “l’Unità”, 19 marzo

1989.

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nessuno può pretendere di attenderci. Non ci sono esaminatori ed esaminandi. Tutti dobbiamo fare la nostra parte. Proprio per questo affermiamo con serenità e fermezza che si tratta di un processo che richiede una trasformazione di tutte le forze in campo”92.

Il PCI non mancò di criticare fermamente l’atteggiamento tenuto dalle forze di governo, ritenendole responsabili, nonostante si dichiarassero tutte convintamente europeiste, dei ritardi e delle inadempienze italiane verso gli impegni necessari per preparare l’Italia al mercato unico. Al Senato, mentre era in discussione la legge comunitaria per il 1989, il senatore del PCI Silvano Andriani, era relatore di un ordine del giorno, poi non votato in quanto l’intera discussione fu rinviata, nel quale si giudicava l’azione del governo “come gravemente pregiudizievole agli interessi nazionali e a quelli della Comunità e delle sue prospettive di avanzamento e di sviluppo equilibrato”93. Andriani, nel presentare all’assemblea l’ordine del giorno, approfittò dell’occasione per effettuare un ragionamento di ampio respiro sulla politica europea del governo e delle forze politiche che lo sostenevano:

“nel programma del Governo è scritto che il risanamento del bilancio pubblico e della finanza pubblica è una condizione indispensabile per marciare verso il mercato unico. Credo di non aver bisogno della sfera di cristallo per prevedere che, non avendo ottenuto alcun risultato nel 1988, il Governo non otterrà alcun risultato su questo fronte neanche nel 1989. Quando è stato approvato l’Atto unico, mancavano cinque anni al 1992, di questi due sono già trascorsi senza che si sia ottenuto il benché minimo risultato sul fronte del risanamento della finanza pubblica. (…) Non vorrei – lo dico per inciso – che qualcuno stesse ragionando in un altro modo, cioè pensasse che, in fondo, non è necessario tanto risanare il bilancio pubblico per arrivare al mercato unificato, quanto arrivare al mercato unificato per avere una mano a risanare il bilancio pubblico”94.

L’esponente del PCI evidenziò, ancora una volta, la spinosa questione del vincolo esterno, la tentazione, per una parte della classe politica italiana, di delegare ad atti vincolanti esterni, la volontà politica necessaria ad effettuare quelle riforme che diversamente non sarebbe riuscita ad approvare; sulla banca centrale, della quale si discuteva in vista delle proposte che avrebbe fatto il comitato Delors, Andriani ammonì che, “se ciò che noi dobbiamo fare è – come qualcuno qui propone – assumere la

92 Ibidem.

93 ALeg, SERE, X Leg., Assemblea, seduta 228a, 14 marzo 1989, p. 7. 94

Bundesbank a modello della banca europea, si tratta di un discorso che non è esattamente quello che noi facciamo, che è sì, di banca europea, ma in altra direzione”95. I socialisti condividevano appieno la posizione del PCI sul 1992 salvo, naturalmente, le critiche alla politica governativa: già nel manifesto dei partiti socialisti europei, si evidenziava che

“il solo mezzo per far sì che il 1992 arrechi vantaggi a tutti i cittadini della Comunità europea, è l’integrazione dei sistemi economici e sociali. Non possiamo accettare un mercato interno senza un controllo democratico e in cui la dimensione sociale sarebbe emarginata. È per questo che s’impone un’attiva politica sociale comunitaria, una politica che dovrebbe essere considerata tanto importante quanto quella economica o agricola”96.

Presentando il manifesto dei socialisti europei agli italiani, Antonio La Pergola così sintetizzò la posizione del PSI sul 1992:

“il problema non è se realizzare o no il Mercato unico che tutti dicono, chi più chi meno, di volere, ma come raggiungere questo risultato (…) noi socialisti vogliamo certo il mercato e vogliamo tutti i vantaggi assicurati dall’apertura delle frontiere (…) non vogliamo però che il mercato ci signoreggi; siamo noi, invece, a dover governare il mercato”97.

Risultava evidente la similitudine con le parole e i toni usati da Occhetto al congresso del PCI. Anche il segretario del PSI, concludendo i lavori del convegno “Obiettivo Europa” organizzato dal partito, ricordò quanto “varrebbe assai poco una maggiore espansione economica se essa non si riflettesse sul terreno sociale e sui problemi che vi si annidano”98. Nel documento precongressuale approvato dalla direzione del partito all’inizio di aprile, si notava che