Il dibattito politico sul Trattato di Maastricht, pur manifestandosi sempre attraverso i temi che sono stati già esposti, assunse in prossimità della ratifica contorni che necessitano di un apposito approfondimento. L’elemento di discontinuità fu rappresentato dal contesto nel quale tale dibattito si svolgeva: le tempeste monetarie che avevano causato la fuoriuscita della lira dallo SME e il clamore raggiunto dalle inchieste giudiziarie, fecero sì che il paese assomigliasse sempre più ad un pugile già alle corde quando l’incontro vero e proprio doveva ancora avere inizio. Il forte legame tra la situazione interna e gli accordi di Maastricht sembrava accendere i riflettori sul contenuto del Trattato e la posizione dell’Italia: tuttavia, al fine di influenzare il referendum francese, l’esecutivo impose al parlamento, di fatto, l’accelerazione dell’iter di ratifica con il risultato che il confronto parlamentare ne uscì limitato e impoverito116.
In ogni caso, la ratifica non avvenne con i consueti toni retorici dell’“atto di fede” o dell’unanimismo che avevano contraddistinto l’approccio delle formazioni politiche italiane all’integrazione europea dalla seconda metà degli anni ’70. Se RC era stato il primo partito ad opporsi al Trattato, la situazione di crisi politica interna radicalizzò progressivamente anche la posizione del MSI in senso contrario alla ratifica; la stessa LN, favorevole, poneva come centrale la questione della capacità italiana di essere
all’altezza dell’impegno preso117. Se ne poteva dedurre una parziale
strumentalizzazione che LN e MSI facevano del Trattato in vista di una rottura degli equilibri politici interni che, già dalle elezioni del 5 aprile, sembrava imminente. Dietro il partito anti-Maastricht si celavano dunque motivazioni e ragioni diverse, che spaziavano tra vari ambiti senza però giungere a sconfinare nell’antieuropeismo: anzi, ogni partito contrario al Trattato rivendicò di essere l’unica formazione autenticamente europeista118.
116 La richiesta dell’esecutivo, accettata dai partiti di maggioranza, fu oggetto di un aspro confronto
parlamentare. Dai banchi di RC, Sartori attaccava: Amato, “ha garantito ai colleghi francesi non l’esame della legge, ma l’approvazione della stessa dal Senato prima del 20 settembre, quasi fosse la ratifica di un contratto di fornitura di lamette da barba”, Sen. A. Sartori, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 44a seduta, 17 settembre 1992, p. 98.
117
“La partitocrazia italiana ha infatti creato tutti i presupposti per tenere l’Italia fuori dall’Unione europea, pensando forse che sia meglio essere i primi in Africa che gli ultimi in Europa”, Christian Monti, L’antieuropeismo del governo finirà, in “Lombardia Autonomista”, a. X, n. 40, 23 ottobre 1992.
118 Signorelli del MSI riteneva addirittura che i combattenti della RSI avessero combattuto “a contatto di
Un primo segnale circa la rottura operata dal “fattore Maastricht” nelle posizioni dei partiti sull’integrazione europea si ebbe già al Senato dove, insieme alla relazione di maggioranza presentata da Bruno Orsini, la discussione fu introdotta anche da due documenti di minoranza firmati da Luigi Vinci per RC e da Pozzo per il MSI. Vinci illustrò quella che riteneva essere la contraddizione nella quale cadevano tutti quei partiti che, pur muovendo critiche rilevanti su aspetti centrali del Trattato, si avviavano ad esprimere un voto favorevole. L’esponente comunista denunciava il clima che si era creato per il quale una eventuale ridiscussione del compromesso di Maastricht era da considerare come “il peggiore dei mali”: “Respingerlo oggi non condurrà altresì a nessuna catastrofe, come si dice con termini ricattatori e al tempo stesso infondati e inaccettabili (...) bensì consentirà di rompere il cappio monetarista, recessivo, antisociale, antidemocratico”119. Anche Cesare Pozzo manifestava la sua inquietudine verso quella che definì una forzatura, per giunta contraria agli interessi del paese, “un atto di violenza intellettuale e politica. In questo modo di discutere si manifesta il deficit democratico”120. Giovanni Russo Spena di RC affermò di provare “la sgradevole sensazione che si stia andando, con frenesia suicida, con immotivata fretta e con pressappochismo, ad un voto espresso per mero simbolismo politico”121.
Gian Giacomo Migone, a nome di quel PDS verso il quale si erano concentrati gli attacchi di Vinci, ribadiva invece: “Apparteniamo e vogliamo continuare ad appartenere ad un’Europa che va ben al di là di quella di Maastricht”, tuttavia, “esso costituisce un indispensabile punto di passaggio per l’Europa che vogliamo”122. Infatti, confermò anche Massimo D’Alema, le critiche del PDS al Trattato erano numerose:
“Misuriamo in modo drammatico l’inadeguatezza di un’idea dell’Europa fondata sulla preminenza delle istituzioni monetarie e sulla illusione che l’integrazione economica possa affidarsi ai puri e semplici meccanismi di mercato (…) noi siamo convinti che è l’inadeguatezza di questa concezione dell’unità europea che fa riemergere resistenze di diverso segno rispetto al processo di integrazione”123.
cui rivendico orgogliosamente la mia e la nostra coscienza che non ha mai avuto discontinuità”, Sen. F. Signorelli, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 44a seduta, 17 settembre 1992, p. 13.
119
Sen. L. Vinci, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 42a seduta, 16 settembre 1992, p. 33.
120 Sen. C. Pozzo, Ibidem, p. 37.
121 On. G. Russo Spena, ALeg, CADE, XI Leg., Assemblea, Discussioni, 27 ottobre 1992, p. 5150. 122 Sen. G.G. Migone, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 43a seduta, 16 settembre 1992, p. 6. 123
Libertini non si dichiarava soddisfatto e attaccò: “Non capisco come il PDS esca dalla contraddizione tra il fatto di avere le nostre stesse preoccupazioni (…) e la dichiarazione d’adesione al Trattato”124. Anche Sartori, dopo aver illustrato la filosofia che stava alla base del Trattato, che definiva antidemocratica e antisociale, ironizzava: “Questo è Maastricht, questa è l’Europa che, a quanto pare, vuole anche il PDS che intende essere con Maastricht per andare oltre, ma non si capisce dove”125. Ersilia Salvato, criticò chi, come proprio il PDS, sposava la linea incentrata sulla ratifica del Trattato, rinviando ad un secondo momento la soluzione delle lacune:
“A chi oggi, nonostante le critiche puntuali, finisce poi col dichiararsi comunque disponibile ad esprimere voto favorevole, in maniera quasi unanimistica, rinviando all’indomani l’inizio del cambiamento, diciamo che questo ragionamento ha fatto il suo tempo, e non solo da qualche mese. Questo ragionamento ha condotto e continua a condurre ad una sconfitta culturale, sociale e politica della Sinistra”126.
Claudio Petruccioli, cercava di ricucire la polemica con RC sostenendo che la posizione del PDS non poteva essere messa insieme a quelle che formavano “un coro concorde e monocorde. La nostra è una decisione che si accompagna alla precisa convinzione che si è aperta, e deve essere sostenuta, una difficile battaglia tra sbocchi di destra e di sinistra per l’Unione europea”127.
Per bocca del senatore Roveda i leghisti, pur non dichiarandosi pienamente soddisfatti del compromesso raggiunto, rimarcavano che “Maastricht rappresenta una innovazione rispetto all’attuale sfacelo dello Stato centralista italiano e qualsiasi alternativa che possa condizionare e contrapporsi all’autorità nazionale è preferibile”128. Tuttavia, come si poteva leggere nell’ordine del giorno presentato dal gruppo al Senato, la LN riteneva di dover denunciare il fatto che “permane anzitutto l’assetto centralizzante della Comunità (…) che, cioè, ad un centralismo romano si è già sovrapposto un centralismo comunitario (…) il deficit democratico viene pertanto
124
Sen. L. Libertini, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 43aseduta, 16 settembre 1992, p. 23.
125 Sen. A. Sartori, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 44a seduta, 17 settembre 1992, p. 97.
126 Sen. E. Salvato, Ibidem, p. 106. Lucio Magri più duramente affermò: “Mi pare incomprensibile, anzi
patetico, il discorso di chi vota il trattato augurandosi che si possa presto completarlo con istituzioni politiche democratiche: Maastricht va esattamente nella direzione contraria”, On. L. Magri, ALeg, CADE, XI Leg., Assemblea, Discussioni, 29 ottobre 1992, p. 5339.
127 On. C. Petruccioli, ALeg, CADE, XI Leg., Assemblea, Discussioni, 28 ottobre 1992, p. 5259. 128
accentuato”129. Il missino Rastrelli, utilizzando parole simili a quelle di Roveda, ma opposto era il fine politico, ricordava che il trasferimento di competenze alla costituenda Unione europea, privo del controllo democratico che a livello nazionale era esercitato dai parlamenti, avrebbe avuto come unico effetto che nel Trattato di Maastricht “è scritto in termini chiari che il potere politico non conta più nulla”130 con il rischio, proseguiva sempre per il MSI Marco Cellai, di “dissolvere gli Stati europei
senza crearne uno nuovo”131. Ovvero, concludeva Antonio Parlato, Maastricht non era
altro che “una distorsione”132 rispetto alla strada tracciata dai Trattati di Roma. Anche Lucio Magri riteneva che il Trattato desse vita ad un’Europa “con un segno marcatamente autoritario”: l’esponente di RC osservò infatti che
“I veri centri promotori e regolatori del processo di unificazione sono e saranno il consiglio delle banche centrali e l’integrazione delle strutture militari. E, se mai, del tutto parzialmente, resta in campo una sede politica che può avere influenza su di loro, tale sede è quella del concerto dei Governi (…) si ratifica e si conclude un processo che durava da anni che è un processo di trasferimento di potere non solo dallo Stato nazionale al livello sovranazionale, ma, attraverso questo, dalle istituzioni direttamente legittimate dalla sovranità popolare ad istituzioni politiche autonome o a puri poteri di fatto”133.
Il MSI tenne alla Camera dei Deputati un atteggiamento più battagliero rispetto a quello avuto al Senato134. Il partito guidato da Fini cercò di legare la ratifica di Maastricht ad una revisione globale della politica estera italiana e della presenza del paese nello scacchiere internazionale: nel documento illustrato in aula, si chiedeva all’esecutivo di assumere l’impegno che
“debbano ritenersi annullate le conseguenze della seconda guerra mondiale (…) l’Italia deve quindi ridiscutere il problema dei suoi confini orientali, con la richiesta di restituzione dell’Istria e della Dalmazia (…) sono da ritenersi così decaduti sia il Trattato di pace del 1947, sia quello di Osimo del 1975”135.
129 “Ordine del giorno Speroni ed altri n. 9.153.32”, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 44a seduta, 17
settembre 1992, p. 102.
130
Sen. A. Rastrelli, Ibidem, p. 110.
131 On. M. Cellai, ALeg, CADE, XI Leg., Assemblea, Discussioni, 27 ottobre 1992, p. 5192. 132 On. A. Parlato, Ibidem, p. 5196.
133
On. L. Magri, ALeg, CADE, XI Leg., Assemblea, Discussioni, 29 ottobre 1992, p. 5339.
134 Nel dibattito Tremaglia definitiva il Trattato “un mostriciattolo giuridico e costituzionale che non può
essere considerato valido ed efficace per la costruzione dell’Europa, sia essa federata o confederata”, On. M. Tremaglia, Ibidem, p. 5344.
135
La sferzante critica alla classe politica che aveva governato l’Italia, univa nel dibattito parlamentare le forze contrarie al Trattato ad altri partiti di opposizione come il PDS: nel già citato ordine del giorno del MSI, si ribadiva che su Maastricht non era sufficiente rivolgersi alla classe politica “giudicata dimissionaria e, comunque, delegittimata, ma occorre direttamente appellarsi al popolo sovrano”136. Il senatore di RC Sartori esprimeva una ferma condanna verso il sistema di potere alimentato dal governo e dai partiti che lo sostenevano, un sistema per il quale “non solo chi sbaglia non paga, non ha mai pagato e ha fatto pagare sempre gli altri, ma spesso – massimo della spudoratezza – si sente egli stesso moralizzatore e si erge a garante della società civile”137. Anche Russo Spena deplorava l’atteggiamento tenuto dal governo e dalla maggioranza, accusandoli di essere “i veri antieuropeisti, perché in nome della finanza, della valorizzazione del capitale, dell’intreccio tra profitti e rendite finanziarie state distruggendo l’idea forte dell’Europa solidale, dell’Europa dell’autodeterminazione dei popoli”138. La convinzione, espressa dalle parole di Migone, era che
“la ricostruzione che noi auspichiamo e che riteniamo sempre più drammaticamente urgente non può essere che compiuta con nuove regole, nuovi poteri, nuovi consensi, nuovi uomini che solo una nuova maggioranza politica, non compromessa dalle scelte del passato, può essere in grado di esprimere”139.
Le critiche ampie e veementi verso la maggioranza, accusata anche di aver tradito l’europeismo di De Gasperi e Spinelli140, suscitarono la replica da parte di alcuni suoi eminenti esponenti: Fanfani pronunciò un discorso, a lungo applaudito, nel quale ripercorse il difficile cammino compiuto dall’integrazione europea sottolineando l’importanza di Maastricht rispetto all’obiettivo finale dell’unione federale. Da questo punto di vista, Zecchino disapprovava il clima “di convinzione generale che si è determinato nel paese secondo cui il Trattato di Maastricht è in fondo quasi una
136 Ibidem, p. 1499.
137 Sen. A. Sartori, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 44aseduta, 17 settembre 1992, p. 99. 138
On. G. Russo Spena, ALeg, CADE, XI Leg., Assemblea, Discussioni, 27 ottobre 1992, p. 5151.
139
Sen. G.G. Migone, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 43a seduta, 16 settembre 1992, p. 6.
140 “Molti di voi”, affermava Severino Galante di RC, “si richiamano a Spinelli proprio nel momento
stesso in cui praticamente se lo dimenticano”, On. S. Galante, ALeg, CADE, XI Leg., Assemblea, Discussioni, 28 ottobre 1992, p. 5224. Anche al Senato, Galdelli attaccava il richiamo fatto da esponenti della DC a Spinelli: “Il richiamo fatto ieri in quest’Aula dal senatore a vita Andreotti sul federalismo di Altiero Spinelli è fuori luogo; l’Europa che viene delineata in questo Trattato è in netto contrasto con l’europeismo sociale e democratico nel cui spirito si è svolto anche il referendum propositivo”, Sen. P. Galdelli, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 44a seduta, 17 settembre 1992, p. 66.
sconfitta per le forze europeiste e rappresentata una sorta di tradimento del voto referendario che tre anni fa è stato celebrato qui in Italia”141.
Dopo aver rilevato con soddisfazione come nessun partito si fosse dichiarato contrario all’idea stessa di unità europea il relatore alla Camera dei Deputati, Antonio Cariglia, ricordava la sfida che con la ratifica del Trattato si apriva per la classe politica italiana e per l’intero sistema sociale ed economico del paese:
“Per la prima volta noi italiani ci adeguiamo ad un sano pragmatismo per affrontare un compito che, secondo la nostra tradizione, avremmo voluto assolvere ricorrendo alla retorica. Perciò, anche per noi inizia oggi una rivoluzione, quella del costume di una nazione che deve scoprire il senso morale della politica, i principi di responsabilità, il realismo ed ogni altro comportamento che abbia come fine quello di servire gli interessi della gente, ascoltare le sue esigenze, avanzare con essa per
avere domani un’unica grande patria europea”142.
Il dibattito, nonostante le parole pronunciate da Cariglia sull’assenza di posizioni contrarie all’unificazione europea, avvenne in un clima piuttosto irreale nel quale la quasi totalità degli oratori intervenuti smontavano pezzo per pezzo il Trattato, dichiarandosi insoddisfatti o fortemente critici, salvo poi esprimere parere favorevole alla ratifica. Il Senato approvò il Trattato con 176 voti favorevoli, 16 contrari e 1 astenuto. Nella votazione finale alla Camera dei Deputati, il diverso clima politico interno e l’esito del referendum francese, portarono il MSI ad optare per il voto contrario e non per l’abbandono dell’aula143: anche l’assemblea di Montecitorio dava il via libera alla ratifica del Trattato con 403 sì, 46 no e 18 astenuti. Nell’ordine del giorno firmato dai partiti che si erano schierati in favore del Trattato, si ribadiva la necessità di rilanciare “l’impegno in favore di una Unione europea fondata su una Costituzione federale e dotata di poteri definiti e reali”144.
141 Sen. O. Zecchino, ALeg, SERE, XI Leg., Assemblea, 43a seduta, 16 settembre 1992, p. 46. Tuttavia, lo
stesso ministro Colombo, secondo il verbale redatto ad una riunione del comitato direttivo del gruppo DC alla Camera, esprimeva l’opinione che “se dovesse giudicare sulla base degli obiettivi che pensava si dovessero conseguire e che si sono conseguiti modificherebbe il Trattato almeno del 50%. Però qualunque possa essere il giudizio sulle singole norme è sempre un passo avanti sulla via europea”, ASLS, Fondo Gruppo Parlamentare DC alla Camera dei Deputati, serie 2, Comitato direttivo, Busta 24, Fascicolo 35, Comitato direttivo 13 ottobre 1992.
142
On. A. Cariglia, ALeg, CADE, XI Leg., Assemblea, Discussioni, 29 ottobre 1992, p. 5309.
143 I senatori missini avevano infatti deciso di abbandonare l’aula e non di votare contro la legge di
ratifica, con la motivazione che non volevano che il loro “No” finisse per essere messo sullo stesso piano di quello espresso da RC, giudicato come antieuropeista.
144
Il confronto parlamentare al Senato, già sacrificato dai tempi imposti dal governo, si concluse senza le tradizionali dichiarazioni di voto – ad eccezione di RC e MSI – emblema di una discussione poco approfondita ed affrettata, come denunciò lo stesso presidente del movimento giovanile della DC, Enrico Letta:
“Il Parlamento italiano ha approvato e ratificato il Trattato di Maastricht. Il fatto è passato praticamente inosservato; vi sono stati gravi problemi di presenza dei parlamentari, in commissione e in aula, nei momenti decisivi, che addirittura hanno visto il Ministro degli Ester Emilio Colombo, costretto a rincorrere i deputati evidentemente in altre faccende affaccendati. Ma anche la grande stampa si è distinta per la scarsa, quando non inesistente, attenzione a questo passaggio politico e parlamentare. Infine le forze politiche hanno anch’esse interpretato l’approvazione come un atto formale, sul quale il dibattito è stato quasi nullo”145.
Era la stessa commissione speciale per le politiche comunitarie ad ammettere la superficialità con la quale il parlamento aveva approvato Maastricht. Nel documento che concluse l’indagine conoscitiva sull’impatto del nuovo Trattato nella realtà interna, si affermava che i motivi che l’avevano resa necessaria erano da attribuirsi
“in primo luogo alla constatazione che alla vigilia della ratifica parlamentare del Trattato non risultava essere stata condotta a livello governativo una puntuale analisi dell’impatto applicativo del Trattato (…) né una tale analisi si prevedeva di condurre in sede parlamentare (…) visti i tempi accelerati con cui si intendeva pervenire alla sua approvazione definitiva. Veniva giustamente privilegiata l’esigenza di confermare, con la decisione parlamentare, la convinta adesione dell’Italia al processo di costruzione dell’Unione economica e monetaria a fronte delle incertezze e delle resistenze che andavano emergendo in alcuni importanti Paesi europei (…) Questa giusta esigenza politica, di fatto portava a sacrificare una analisi dei contenuti che desse ai soggetti istituzionali e politici piena consapevolezza delle caratteristiche del cambiamento che l’attuazione del Trattato avrebbe avviato nell’Europa comunitaria e all’interno dei singoli Stati”146.
In effetti, la sensazione che si poteva trarre dalle modalità con le quali era stata condotta in porto la ratifica del Trattato e dagli argomenti addotti, era che, ancora una
145 E. Letta, Che fine farai, caro trattato di Maastricht, in “la Discussione”, a. XL, n. 41, 7 novembre
1992. Sul quotidiano del partito, Arturo Pellegrini si lanciava invece in un duro attacco diretto ai mass- media e a chi aveva votato no: “si sono opposti solo i vecchi e tradizionali nemici dell’Europa democratica, i vetero-comunisti e i fascisti (…) È probabile che il voto espresso ieri dal Parlamento (…) venga minimizzato e svuotato di significato da un’informazione che irresponsabilmente preferisce anteporre la critica distruttiva ai reali interessi della nazionale: ma la storia ha tempi, e tribunali, diversi dalle contingenti necessità della cronaca”, A. Pellegrini, Dall’Italia il rilancio dell’unità, in “il Popolo”, 30 ottobre 1992.
146 ALeg, CADE, XI Leg., Documenti, Indagini conoscitive e documentazioni legislative, n. 4,
volta, fosse mancato un punto di vista italiano sul processo d’integrazione147. Se altri stati avevano avuto piuttosto chiaro, a prescindere dai governi in carica, che cosa volevano dalle negoziazioni di Maastricht e più in generale dal processo di unificazione148, l’azione dell’Italia non sembrava essere il frutto del perseguimento di determinati e condivisi interessi nazionali149. Maurizio Gasparri, riteneva, ad esempio, che fosse ormai indispensabile “porre in termini problematici la riflessione sul ruolo della Comunità europea, difendendo i nostri interessi nazionali e quello della nostra realtà produttiva”150. Adriana Ceci, eurodeputata del PDS, sottolineava addirittura la mancanza di un disegno “che può anche essere chiamato nazionalistico, ma ben vengano i nazionalismi quando esprimono un progetto! Sento fortemente l’assenza di un progetto politico nazionale rispetto alla costruzione dell’Europa”151. Tra l’opinione pubblica risultavano poco chiare le motivazioni che avevano portato la classe politica a spingere così decisamente per il Trattato di Maastricht se, come gli stessi leader politici dichiaravano, per l’Italia non ne sarebbero derivati significativi vantaggi152, se non