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Se i partiti italiani non sembrarono aver colto le implicazioni che il vertice di Hannover avrebbe avuto in materia di UEM, compresero però chiaramente che non erano stati compiuti passi significativi sulla strada dell’unità politica e della democratizzazione della CEE: ad ottobre il PCI presentò alla commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera una risoluzione, accolta dall’esecutivo come raccomandazione, nella quale si invitava il governo “ad esprimere e sostenere con coerenza e continuità la linea dell’unità politica democratica e della coesione economico-sociale dell’Europa comunitaria”, chiedendo, concludeva il documento, “l’indizione di un referendum sull’unione politica dell’Europa e sul mandato costituente al Parlamento europeo in concomitanza con la sua rielezione”46. Il PCI, come altre forze, con questa risoluzione intese ribadire la necessità di dedicarsi prioritariamente alle questioni istituzionali e di controllo politico-democratico, anche per risvegliare la coscienza europea dei politici italiani in quanto, sottolineava il sen. Maffioletti, “è sotto l’occhio di tutti l’impegno insufficiente con cui la classe politica guarda alle cose europee”47. In tale contesto tornò a rafforzarsi il legame tra alcuni partiti e il Movimento Federalista Europeo – MFE – che avrebbe portato molte forze politiche ad approvare avanzati provvedimenti legislativi, con l’obiettivo di ribadire la vocazione europeistica della rispettiva parte politica e del paese in generale, alla vigilia delle elezioni europee.

4.1La legge del 18/01/1989, n.9

L’elezione dei rappresentanti al PE, decisa con l’Atto giuridico del Consiglio dei Ministri della CEE del 20 settembre 197648, si svolgeva mediante sistemi elettorali

46 “Risoluzione 0/3197/tab. 6/5/3”, ALeg, CADE, X Leg., BC, III Comm., 19 ottobre 1988, p. 65.

47 Il senatore comunista proseguiva affermando come vi fosse “una inadeguatezza culturale, specie in

campo istituzionale, confermata dall’attuale dibattito sulla riforma delle istituzioni in cui è totalmente assente la prospettiva europea”, Sen. R. Maffioletti, ALeg, SERE, X Leg., BC, Giunta per gli Affari delle Comunità Europee, 6a seduta, 20 luglio 1988, p. 75.

48 Si veda, Consiglio dei Ministri, Atto relativo all'elezione dei rappresentanti nell'Assemblea a suffragio

diversi49, nonostante che il Trattato CEE auspicasse una legge elettorale uniforme50. In Italia l’elezione degli eurodeputati era regolata dalla legge del 24 gennaio 1979, n. 1851. Già nel 1984 erano state introdotte alcune modifiche52, tuttavia una nuova proposta fu avanzata alla fine del 1988; questa volta la novità era davvero rilevante53: quasi tutti i gruppi parlamentari avevano co-firmato una proposta di legge, primo firmatario il DC Mino Martinazzoli, per attribuire l’elettorato passivo ai cittadini comunitari anche se non residenti nel paese54.

In sede di commissione Affari costituzionali alla Camera, la questione spinosa che emerse riguardava lo strumento più corretto da utilizzare: il PSI ed il MSI-dn, come d’altronde lo stesso governo, ritenevano si dovesse procedere ad una modifica di carattere costituzionale, che prevedesse il diritto di elettorato passivo anche per i cittadini non italiani, e successivamente approvare la legge ordinaria che lo implementasse. D’altro canto, replicò chi non era favorevole alla modifica costituzionale, la fattispecie di un’elezione transnazionale non era prevista dalla Costituzione italiana, pertanto era sufficiente una legge ordinaria. Il dissidio giuridico nascondeva in realtà una questione politica: richiedere la modifica costituzionale e poi il provvedimento ordinario significava di fatto, dati i tempi ristretti, la volontà politica di non approvare la legge in tempo utile per le europee55. In commissione si giunse ad una

49 Varie tipologie di proporzionale con l’eccezione della Gran Bretagna che usò il maggioritario fino al

1999.

50

“L'assemblea elaborerà progetti intesi a permettere l'elezione a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri”, Trattato Cee, art. 138.3. Su questo aspetto si veda, I. Cosciaro, L’elezione del Parlamento europeo: i dodici sistemi elettorali attuali e i progetti per un sistema elettorale uniforme, in “Quaderni dell’Osservatorio elettorale”, n. 24/90.

51

Per il dibattito sulla legge 18/1979 , si vedano, G. Zagrebelsky, I meccanismi elettorali per l'elezione del Parlamento europeo e le loro implicazioni politiche, in AA.VV., Parlamento europeo, forze politiche e diritti dei cittadini, Milano, Angeli, 1979, M. Cotta, Italy. How a quick start became a late arrival, in AA.VV., The legislation of direct elections to the European Parliament, Farnborough, Gower, 1980 e, L.V. Majocchi, La lotta per l'elezione diretta del Parlamento Europeo, in A. Landuyt, D. Preda, (a cura di), I movimenti per l'unità europea (1970-1986), Bologna, il Mulino, 2000.

52 La legge del 9 aprile 1984, n. 61 variava alcuni meccanismi di attribuzione dei seggi – introducendo il

metodo dei resti più alti.

53

Già il Consiglio italiano del Movimento Europeo, in una lettera del presidente Mario Zagari del 7 luglio 1988, aveva proposto ai parlamentari di intervenire nuovamente sulla legge che regolava l’elezione della delegazione italiana al PE: Zagari auspicava che fossero introdotte delle circoscrizioni elettorali più ristrette, un collegio elettorale unico a livello nazionale ed una notevole estensione delle aree di incompatibilità e di ineleggibilità. Per il testo del progetto di legge si veda la copia in Archivio Storico Luigi Sturzo (ASLS), Fondo Gruppo Parlamentare DC al Senato, Serie II, Atti dei Presidenti, Scatola 27, fascicolo 44.

54 Da questo punto di vista la norma italiana si rivelò più avanzata rispetto a quella che sarebbe stata

elaborata a Maastricht che prescriveva la residenza del cittadino comunitario nel paese membro dove si volesse candidare: si veda, A. De Guttry, I nuovi diritti in materia elettorale del cittadino dell’Unione europea, in “Quaderni dell’Osservatorio elettorale”, n. 33/95.

55 Questo in quanto una modifica costituzionale richiede una doppia lettura da parte di entrambi i rami del

posizione autonoma dei partiti di maggioranza rispetto al governo sulla quale si verificò la convergenza anche di quelle forze, socialisti e missini che, pur non condividendo lo strumento della legge ordinaria, non vollero dichiararsi contrari, per non rischiare di essere definiti “antieuropeisti”. Per il DC Adolfo Sarti, la proposta praticamente unanime, dava vita ad “un grande momento unitario e costruttivo”56 che bilanciava, seppur parzialmente, il mancato accordo sulle riforme interne, delle quali si stava discutendo da tempo senza però giungere a risultati concreti. A nome del gruppo comunista, Giovanni Ferrara dichiarò che la proposta in esame poteva costituire

“un passo in avanti sulla strada della realizzazione del popolo europeo, ma anche agevolare ed incentivare la realizzazione dell’unità politica ed istituzionale dell’Europa attraverso l’accomunazione in una sola ed eguale situazione giuridica soggettiva dei candidati”57.

Sarti andò oltre, auspicando una riforma elettorale europea che mirasse alla nascita di “circoscrizioni elettorali transnazionali: ad esempio per la Sardegna e la Corsica”58. La legge passava alla Camera con lo schiacciante risultato – 351 i presenti - di 350 voti a favore ed 1 contrario59.

Quando il disegno di legge fu trasmesso al Senato, esplose nuovamente la “questione costituzionale”: i senatori, stimolati al dibattito da una netta contrarietà alla legge ordinaria espressa a nome del governo dal ministro La Pergola, si soffermarono a lungo, oltre che sul tema della reciprocità60, sul dilemma tra legge ordinaria e legge costituzionale. In sede di discussione assembleare emerse un nuovo atteggiamento, rispetto a quello tenuto alla Camera, da parte del gruppo del PSI che si arroccò in difesa del provvedimento costituzionale, suscitando una viva contestazione da parte degli altri

56

On. A. Sarti, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 1 dicembre 1988, p. 24398.

57 On. G. Ferrara, Ibidem, p. 24397. Anche il gruppo di Democrazia Proletaria era a favore: Franco Russo

ricordava che “poiché in Europa avanzano potenze private che hanno ormai internazionalizzato le loro forze (…) diviene possibile opporre delle difese solo puntando ad un’Europa democratica dei cittadini (..) ed in cui possa soprattutto affermarsi una nuova idea di Stato, cioè quella dello Stato federale”, On. F. Russo, Ibidem, p. 24401.

58 On. A. Sarti, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 1 dicembre 1988, p. 24399.

59 La votazione si svolse con procedimento elettronico pertanto non è possibile risalire al nome del

deputato che espresse il voto contrario.

60 Il tema della reciprocità fu risolto inserendo un punto nell’ordine del giorno che accompagnava il

disegno di legge - presentato dalla I commissione - nel quale si impegnava il governo “ad assumere tutte le opportune iniziative in sede comunitaria per invitare gli altri paesi membri ad adottare analoghe misure legislative”, ALeg, SERE, X Leg., Assemblea, seduta 206a, 20 dicembre 1988, p. 4.

gruppi parlamentari61: i socialisti, per bocca di Fabbri, rimproveravano al governo di aver tenuto nell’occasione un atteggiamento troppo morbido, di essersi fatto “travolgere, sommergere dalla sua maggioranza”62, e pertanto decidevano di astenersi – che al Senato significava dichiararsi contrari. Nonostante la decisione del gruppo del PSI, il disegno di legge Martinazzoli fu approvato anche al Senato con 184 voti favorevoli, 20 astenuti ed 1 contrario – il sen. Antonino Murmura della DC.

4.2 Il referendum d’indirizzo

Si è già posto in evidenza che la seconda parte della risoluzione presentata dal PCI nell’ottobre del 1988, chiedeva anche l’indizione di un referendum sull’unione politica dell’Europa e per dare poteri costituenti al PE che sarebbe stato eletto nel giugno ‘89: in realtà lo spunto era stato preso da una campagna lanciata dal MFE e culminata in una proposta di legge d’iniziativa popolare. La proposta del MFE era stata fatta propria da diversi Consigli regionali, e il 23 giugno 1988 il gruppo comunista – primo firmatario Cervetti e tra gli altri Napolitano, Pajetta, Alessandro Natta - annunciò alla Camera la presentazione della proposta di legge costituzionale “C. n. 2905” che chiedeva di indire un referendum nel quale gli italiani si esprimessero sui seguenti quesiti: “a) ritenete voi che si debba procedere entro il 1992 alla realizzazione dell’unità politica dell’Europa (…)?; b) ritenete voi che per la realizzazione dell’unità politica dell’Europa il Parlamento europeo sia autorizzato ad assumere poteri costituenti?”63.

Come in occasione della legge sull’elettorato passivo ai cittadini comunitari, anche nel caso del disegno di legge sul referendum le maggiori divisioni che si registrarono in commissione Affari Costituzionali alla Camera, riguardavano lo strumento legislativo più idoneo per realizzare il referendum piuttosto che l’opportunità

61 Il senatore missino Alfredo Mantica affermava: “Non vorremmo che questa strada verso l’unità

d’Europa che è lastricata di buoni intenti, quando poi arriva alla verifica pratica, alla verifica di atti che comportano la modifica di comportamenti, faccia scattare una serie di preoccupazioni tipicamente italiche, per non dire molti provinciali (di campagna elettorale, di candidature, di risultati)”, Sen. A Mantica, Ibidem, p. 54.

62

Sen. F. Fabbri, Ibidem, p. 71.

63

Proposta di legge costituzionale C. n. 2905, art. 2. Nel documento che accompagnava la presentazione della proposta di legge, dopo aver rilevato che i maggiori problemi contemporanei erano risolvibili soltanto nel quadro europeo, si evidenziava la necessità di una svolta nella CEE: “questa svolta significa avviare senza ritardo l’unificazione politica dell’Europa. Questa esigenza trova crescente consenso tra le forze politiche e le singole personalità (..) il gruppo comunista intende, con l’acclusa proposta legislativa, dare un forte impulso alla svolta auspicata, che è stata propugnata con vigore da Altiero Spinelli e dal gruppo di cui faceva parte”, ALeg, CADE, X Leg., Disegni di legge, Proposta di legge costituzionale n. 2905, p. 1-2.

o meno di giungere ad una consultazione popolare. Su quest’ultimo punto si registrò una larga convergenza tra tutti i gruppi parlamentari, una convergenza unanime. Tuttavia, i socialisti decidevano di astenersi sul documento finale elaborato dalla commissione in quanto rimanevano favorevoli alla legge ordinaria64: solo il governo, rappresentato dal ministro Antonio Maccanico, si dichiarò contrario alla stessa consultazione popolare per motivi di “opportunità politica”: “c’è da chiedersi”, s’interrogava Maccanico, “se davvero questo elemento – il referendum – faciliti il processo unitario”65. Il parere negativo del governo fu ribadito in aula dal ministro degli esteri Andreotti. La commissione si esprimeva in favore, a maggioranza, della legge costituzionale, uno strumento ‘forte’, in quanto “avendo natura costituzionale, appare maggiormente fornito di legittimità di intervento rispetto ad un tema quale il referendum”66. La DC, inizialmente a favore della legge ordinaria, aveva in seguito cambiato idea, così insieme ai socialisti, l’unico gruppo che avanzò dei dubbi sullo strumento delle legge costituzionale e sui tempi di approvazione, fu il MSI-dn che, dopo aver ribadito la sua “fede europeista”, si domandava se “il tentativo – apprezzabilissimo – di voler dare un significato maggiore alle elezioni con l’indizione di un referendum possa risultare poco utile a causa della fretta con la quale stiamo esaminando il provvedimento”67.

Con la proposta del referendum, affermò il relatore Soddu, si prospettava, in sostanza l’obiettivo “di arrivare al traguardo dell’unione europea non attraverso il meccanismo fin qui adottato di rappresentanza, di sovranità in qualche misura delegata ai governi o ai parlamenti nazionali, ma restituendo la sovranità al popolo italiano”68.

64

Anche il MFE era favorevole alla legge ordinaria, al fine di accelerarne l’iter di approvazione: nella lettera del 3 luglio 1988, nella quale i federalisti chiedevano il sostegno verso la proposta di consultazione popolare, Mario Albertini, dopo aver affermato che “un referendum europeo è ormai maturo nella coscienza pubblica degli italiani”, ricordava che non era necessaria una legge costituzionale in quanto “non è un referendum come gli altri e non costituisce un precedente rispetto ad alcunché”, ASLS, Fondo Gruppo Parlamentare DC al Senato, Serie II, Atti dei Presidenti, scatola 27, fascicolo 44.

65 On. A. Meccanico, ALeg, CADE, X Leg., BC, I Comm., 30 novembre 1988, p. 11. Come Ferrara e

Massimo Teodori, anche Cervetti si dichiarava “stupito dall’insistenza del ministro sull’inopportunità politica, posto che tutte le forze parlamentari convengano sull’esigenza di mutare atteggiamento rispetto all’esperienza dell’Atto unico europeo”, Ibidem, p. 12.

66 On. P. Soddu, Relatore della proposta di legge, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 2

dicembre 1988, p. 24594.

67

Lo stesso Carlo Tassi aveva in precedenza sostenuto. “Noi crediamo nell’Europa, ci abbiamo sempre creduto (…) Filippo Anfuso addirittura teorizzò ‘l’Europa nazione’, intendendosi per nazione (…) quel complesso di persone che hanno comuni origini di civiltà. Ed io credo che l’Europa (…) abbia comuni origini di civiltà”, On. C. Tassi, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 14 dicembre 1988, pp. 25014-25015.

68 On. P. Soddu, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 2 dicembre 1988, p. 24594. La stessa

posizione era espressa da Renato Misserville al convegno organizzato dal MSI, “Costruiamo insieme l’Italia per l’Europa degli anni ‘90”. Nella sua relazione, l’esponente missino affermava che “l’atto

L’esigenza era anche quella di dare una risposta politica alla situazione di progressiva internazionalizzazione dei poteri decisionali, che rischiava di “far pagare un alto prezzo in termini di garanzie democratiche, se questi processi non [fossero] governati da istituzioni pienamente democratiche”69. Da questo punto di vista, un coinvolgimento popolare avrebbe rappresentato un dato politico pressoché unico, ponendo un freno alla supremazia che l’aspetto economico-finanziario stava assumendo nel processo d’integrazione: era questa l’idea sostenuta da Ferrara che, a nome del gruppo comunista, denunciò “il fallimento della procedura che per decenni ha limitato il processo di unificazione, restringendolo alla sola costituzione della zona di libero scambio”70. Su queste basi, Gaetano Arfè traeva le conclusioni per evidenziare la “linea di continuità”71 tra il referendum e l’ultima battaglia politica intrapresa da Spinelli.

Nel dibattito assembleare, in entrambi i rami del parlamento, emerse sovente la critica da parte delle forze di opposizione ai partiti di maggioranza, accusati di essere i responsabili dei ritardi e delle contraddizioni italiane verso la CEE. Il missino Mantica ricordò che oltre all’utopia inseguita col referendum, “di scarsa incisività nel reale”, erano necessari anche atti formali e concreti: “non esiste nel nostro ordinamento, nelle nostre assemblee, nei nostri atti”, spiegava, “questo continuo riferimento a questa Europa che dobbiamo costruire, questo tentativo di darci delle regole che siano sempre più vicine a quelle degli altri popoli europei”72. Ortensio Zecchino, a nome del gruppo della DC, rispondeva alle accuse affermando che non poteva essere messa in discussione “la nostra lealtà europeista; va invece discussa la nostra capacità di tutelare i nostri interessi soprattutto quando si fanno i giochi veri, in sede cioè di preparazione di

legislativo fondamentale della nuova Europa non proverrà più da accordi fra i governi e i parlamenti degli stati membri, ma troverà la sua giustificazione etica, giuridica e civile in una dichiarazione di volontà del Parlamento di Strasburgo”. La relazione è riportata in F. Storace, Un impegno di cultura e progresso per la sfida europea degli anni ‘90, in “il Secolo d’Italia”, 1 aprile 1989.

69 In sede di dichiarazioni di voto, lo stesso Bassanini ricordava che votando per il referendum si sarebbe

avviato un processo “perché l’Europa del popolo europeo sostituisca quella dei governi, per non dire (e sarebbe più vero e più giusto) quella dei mercanti, delle grandi imprese e della grande finanza”, On. F. Bassanini, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 14 dicembre 1988, p. 24501 e p. 25034.

70 On. G. Ferrara, Ibidem, p. 24606. Ferrara rivendicava per il PCI un ruolo di primo piano nella

costruzione della futura Europa comunitaria, evidenziando come fosse di altre forze politiche la responsabilità di aver fatto della CEE soprattutto un’area economica priva di controlli democratici. Lo stesso Ferrara affermava che “noi comunisti siamo particolarmente lieti di dare ulteriore prova e concreta dimostrazione di un impegno che abbiamo assunto e stiamo di nuovo per riaffermare con il prossimo congresso ponendo tra i nostri obiettivi di fondo, quello di costruire non una qualsiasi Europa, dominata da gruppi e poteri sottratti al controllo democratico, bensì un’Europa unita perché patrimonio dei suoi popoli posti in grado di esercitarvi realmente i loro sovrani diritti di autogoverno”, On. G. Ferrara, Ibidem, pp. 24608-24609.

71 Sen. G. Arfè, ALeg, SERE, X Leg., Assemblea, Seduta 206a, 20 dicembre 1988, p. 31. 72

regolamenti e di direttive. Abbiamo sempre avuto dell’Europa una concezione politica e non utilitaristica”73. Zecchino riteneva dunque che le contraddizioni e i ritardi nei quali cadeva l’europeismo di marca italiana, principalmente di maggioranza avendo queste responsabilità di governo, erano da attribuirsi a cause esterne al parlamento italiano e ad una concezione dell’Europa, si potrebbe dire, romantica piuttosto che pragmatica.

Durante la prima lettura alla Camera, il quesito da sottoporre agli elettori previsto dal progetto di legge n. 2905 riprese, in seguito agli emendamenti approvati, il testo proposto dal MFE74. Alla prima lettura la Camera approvò con 305 voti a favore, nessun astenuto e nessun voto contrario, quindi con più di 300 deputati assenti. Ad una votazione storica, come la definivano tutti le forze politiche, che si lamentavano per lo scarso risalto dato dalla stampa a questo provvedimento e a quello sull’elettorato passivo, erano presenti meno del 50% dei rappresentanti eletti - se non fosse stato per i 15 deputati in missione, quindi assenti ‘giustificati’ e risultanti come presenti. Il 20 dicembre il Senato approvò la legge costituzionale all’unanimità dei presenti (184): anche tra le fila dei senatori furono quindi numerosi gli assenti.

Fermo restando la convergenza tra le posizioni dei vari partiti, la seconda lettura assunse in entrambi i rami del parlamento le caratteristiche di atto puramente formale; alla Camera addirittura non ci fu un vero dibattito in aula e mancarono le tradizionali dichiarazioni di voto da parte dei gruppi parlamentari75: i deputati approvarono perciò la legge costituzionale in via definitiva, il 15 marzo 1989, con 485 sì e l’astensione del democristiano Gerardo Bianco76. Anche al Senato la seconda lettura fu più che altro rituale; perciò, dopo che il senatore Leopoldo Elia ebbe ricordato che anche il PE aveva approvato una risoluzione nella quale ribadiva la strategia costituente, e quindi l’Italia

73

Sen. O. Zecchino, Ibidem, p. 37.

74 “Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva

Unione, dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?”, Emendamenti 2.1. Bassanini, Russo Franco e 2.5. Teodori, Rutelli, Calderisi, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 14 dicembre 1988, p. 25022.

75 Solo il missino Tassi chiese di parlare per dichiarazione di voto: affermò, quindi, che, pur essendo a

favore, il MSI riteneva si trattasse di “una fuga in avanti: avremmo preferito, infatti che anche altri paesi avessero conferito un analogo mandato (…) ma l’avanguardia nelle cose buone a noi è sempre piaciuta e pertanto siamo favorevoli”, On. C. Tassi, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 15 marzo 1989, p. 29526. L’argomento portato da Tassi era per la verità sostenuto da molti, ed era tornato più volte nel