• Non ci sono risultati.

Per il PE e per tutte le forze europeiste, le assise parlamentari di Roma erano l’occasione, non sottaciuta, per fare il punto della situazione in vista del Consiglio europeo di metà dicembre, che avrebbe avviato il lavoro delle CIG. L’appuntamento nella capitale italiana doveva dunque servire a rafforzare il “bastione europeista”, anche attraverso un’organica e condivisa raccolta delle varie proposte tese a ridurre il deficit democratico del processo d’integrazione. Da questo punto di vista, risultò significativo che il PPE decidesse di tenere il suo congresso proprio in vista della conferenza parlamentare di Roma; il documento conclusivo dei lavori tenutisi a Dublino165 ribadiva l’aspirazione dei popolari europei a fare della CEE una federazione:

“L’Europa federale alla quale i democratici cristiani lavorano sin dalla nascita dell’Europa comunitaria è più che mai un obiettivo politico necessario e reale. Necessario in quanto i profondi cambiamenti che trasformano il continente europeo devono avvenire all’interno di una struttura costituita, democratica e pacifica. Soltanto le istituzioni di tipo federale corrispondono alle aspirazioni e agli interessi degli Europei che vogliono condividere un comune destino. Reale in quanto la Storia accelera, e i popoli sono pronti ad una accelerazione del processo di unione”166.

La dialettica politica dell’incontro di Roma fu animata dal ministro De Michelis che, partecipando ad una riunione preparatoria del gruppo socialista, aveva ribadito di non condividere le richieste di maggiori poteri legislativi per il PE: nello specifico, il ministro aveva accusato il PE di essere “malato di irrealismo e di letteratura”, come i deputati che lo componevano, che “confondono i desideri con la realtà”167. L’esponente del PSI sosteneva anche che il PE cercava e alimentava uno scontro con i parlamenti nazionali ai quali voleva sottrarre il controllo politico della CEE e consistenti quote di

165 Il congresso era anche l’occasione per salutare il successo che i vari movimenti di ispirazione

democratico-cristiana avevano riscosso alle prime elezioni libere tenute nei vari paesi dell’Est. Rosy Bindi sottolineava la validità e l’attualità dell’ispirazione cristiana rispetto ad una paventata deriva conservatrice dello stesso PPE, affermando come “già si nota in qualche partito dell’Europa occidentale la pericolosa tendenza ad appiattirsi su un’acritica accettazione del modello capitalistico e consumistico, senza sviluppare le potenzialità insite nel nostro progetto politico. Sarebbe grave se questa tendenza si estendesse ad altri Paesi, e alla stessa Italia, coniugandosi magari con un certo conservatorismo e tradizionalismo, che finisce spesso per difendere solo a parole e non nei fatti i valori nei quali crediamo. Oggi c’è bisogno di un progetto politico e di una democrazia di ispirazione cristiana”, R. Bindi, Il nostro valore: l’ispirazione cristiana, cit.

166 PPE, Il Documento del Congresso di Dublino, cit.

167 Entrambe le espressioni sono riportate in L. Fabiani, Processo a De Michelis, in “la Repubblica”, 28

novembre 1990. Si veda anche, r.r., Conferenza dei Parlamenti. Strasburgo contro De Michelis, in “Corriere della Sera”, 28 novembre 1990.

sovranità. Le ruvide dichiarazioni di De Michelis, accolte con malcelato sarcasmo dal presidente del PE, il socialista Enrique Baron Crespo168, causarono un’immediata smentita da parte di Andreotti che, intervenendo davanti ai parlamentari convenuti, ribadiva: “gestire insieme porzioni di sovranità nazionale non significa affatto comprimerle ma, in un mondo sempre più interdipendente, vuol dire esattamente il contrario”169. In fin dei conti, proseguì Andreotti, “l’evoluzione che si realizzerà con l’Unione economico-monetaria già di per sé rappresenta il superamento implicito delle possibilità di regolare autonomamente questo fondamentale settore della vita civile”170. L’intervento di Andreotti scongiurava una “battaglia” tra i fautori di un’accelerazione del processo d’integrazione e quelli favorevoli alla logica dei piccoli passi171. Carlo Fracanzani ricordava come il momento della decisione tra la strategia tecnocratica e quella democratica, si stesse avvicinando rapidamente:

“C’è bisogno di un riequilibrio di poteri tra centrali economico-tecnocratiche e istituzioni democratiche e, all’interno di queste ultime, tra istituzioni intergovernative e Parlamento europeo, il cui giusto ruolo non costituisce un optional rispetto agli obiettivi della costruzione europea e agli interessi della generalità dei cittadini europei”172.

Il documento finale delle assise, votato a larga maggioranza sancì “l’alleanza” tra parlamenti nazionali e il PE in vista dell’apertura delle CIG173. Nel testo approvato, si

168 Che affermò: “Le raccomandazioni e gli appelli al realismo fino a oggi erano monopolio della signora

Thatcher. Sembra che ora siamo in presenza di una staffetta”. La dichiarazione è riportata in R. I., Per i Parlamenti CEE unione politica più vicina, in “il Sole 24 ore”, 28 novembre 1990. Giorgio Napolitano, ricordò come “le posizioni del ministro De Michelis si sono già caratterizzate, e ieri c’è stato un ulteriore passo in questo senso, per la loro sommarietà e grossolanità nei rapporti con il Parlamento europeo”, dichiarazione riportata in L. Fabiani, Processo a De Michelis, cit.

169

La dichiarazione è riportata in r.r., Linea De Michelis, è ancora sotto tiro, in “Corriere della Sera”, 29 novembre 1990.

170 La dichiarazione è riportata in C. Maniaci, L’Europa avanza, in “il Popolo”, 29 novembre 1990. 171 Su questo si veda, Appello al realismo degli eurosocialisti, in “Avanti!”, 28 novembre 1990. 172

La dichiarazione è riportata in C. Maniaci, Europa dei popoli. L’obiettivo unitario, in “il Popolo”, 30 novembre 1990.

173 Su questo punto era ampia la soddisfazione dichiarata da Biagio De Giovanni, eurodeputato del PCI:

“La conclusione delle Assise di Roma è stata positiva. Abbiamo assistito a un dialogo significativo, non a una tensione, a uno scontro fra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali”, On. B. De Giovanni, Discussioni al Parlamento europeo, 11 dicembre 1990, supplemento al Bollettino CEE, n. 3-397/103. Per una valutazione complessiva delle assise, la presidente della Camera dei Deputati, Nilde Iotti, concludeva: “Giudico positivamente l’esito di questa conferenza: per la prima volta si sono riunite, insieme, delegazioni dei Parlamenti nazionali e del parlamento europeo ed hanno espresso un documento, indirizzato ai governi, che indica in modo più concreto l’obbiettivo dell’unione politica (…) Dal dibattito, dalla partecipazione di eminenti personalità (…) è emersa la prospettiva dell’unione come occasione di crescita democratica e civile dei popoli europei. Perché questo accada le istituzioni che andiamo a costruire devono rispondere alle regole della democrazia. Un vero potere europeo non può certo nascere

chiedevano poteri esecutivi per la commissione in materia di accertamento della trasposizione delle direttive europee e un rafforzamento dei poteri di controllo dell’assemblea di Strasburgo. Infine, si proclamò che era giunto il momento di passare ad un’Unione europea, secondo “una proposta di Costituzione elaborata attraverso procedure alle quali partecipino il Parlamento europeo e quelli nazionali”174.

Pur essendo trascorsi solo quaranta giorni dal precedente Consiglio europeo, il secondo vertice di Roma si presentò ai nastri di partenza con una clamorosa novità: a guidare la Gran Bretagna sarebbe stato John Major al posto di Margaret Thatcher. La linea europea della Lady di ferro, non aveva portato ad altri risultati se non quello di coalizzare gli Undici ed isolare il Regno Unito175: dopo undici anni di dure ed aspre lotte, sembrava che i lavori del Consiglio europeo potessero svolgersi in un clima più sereno, anche perché il nuovo premier inglese aveva dichiarato di non voler assumere posizioni rigide176. La speranza che accompagnò il vertice era quella che i capi di stato e di governo, rompessero gli indugi, facendo compiere alla CEE “passi avanti decisivi per la costruzione dell’Europa unita”177. Il Consiglio europeo segnò un momento costruttivo nel confronto fra i Dodici: infatti, anche la Gran Bretagna decideva di non ostacolare i

solo dalla cooperazione intergovernativa”, S. Trevisani, intervista a N. Iotti, Il grande bisogno d’Europa nel mondo, in “l’Unità”, 3 dicembre 1990.

174 Riportata in C. Maniaci, Una costituente per l’Europa, in “il Popolo”, 1 dicembre 1990. Il senatore

della DC Rosati, si dichiarava in favore di una “netta demarcazione tra il ruolo e le funzioni del Parlamento europeo e l’attività delle conferenze intergovernative” in quanto, proseguiva, “rischiarerebbero di alterare il rapporto tra le due istituzioni che deve restare dialettico al fine di distinguere nettamente quali siano i poteri e, dunque le responsabilità”. Non era dello stesso parere il collega di partito Diana che sosteneva l’esigenza di avere “un ruolo determinante del Parlamento europeo nell’attuazione della normativa comunitaria, nonché di tutti i poteri che gli spettano in quanto Assemblea democraticamente eletta”, Sen. Rosati e Diana, ALeg, SERE, X Leg., BC, Giunta Affari Europei, 39a seduta, 6 dicembre 1990, pp. 61 e 62.

175 Proprio dal vertice di ottobre, scriveva Aldo Rizzo, “prese l’avvio – l’avvio conclusivo – il declino

politico, anche e soprattutto in patria, di un grande personaggio, al quale l’Europa deve rispetto per tanti versi (…) ma che non aveva avuto il coraggio o la fantasia di proiettare i suoi ideali su scala europea: come, prima di lei, De Gaulle. Così questo è il primo vertice europeo senza ‘Maggie’, dal 1979. Mancherà qualcosa”, A. Rizzo, L’ultimo paradosso italiano, cit. Anche Pietro Sormani, sul “Corriere della Sera”, scriveva: “Per la prima volta da undici anni un vertice europeo non avrà più tra i suoi protagonisti la combattente ‘signora di ferro’: una circostanza che da sola ne riduce l’interesse, anche se garantisce un più tranquillo svolgimento dei lavori”, P. Sormani, Europa, il vertice della riconciliazione, in “Corriere della Sera”, 13 dicembre 1990. In un’intervista a “la Repubblica”, Jacques Delors riteneva che le posizioni sull’integrazione europea non avessero influito sul cambiamento a Downing Street: “è avvenuto per problemi interni britannici. Direi che la dimensione europea non ha avuto alcun ruolo”, P. Galimberti, F. Papitto, intervista a J. Delors, “È l’ora della verità per l’Europa unita”, in “la Repubblica”, 13 dicembre 1990.

176 “Per la Comunità europea non è il momento della politica dello scontro. Per quanto ci riguarda

intendiamo impegnarci nelle discussioni con spirito costruttivo. Spero naturalmente che i nostri partner faranno altrettanto”. La dichiarazione di Major è riportata in A. Cerretelli, A Roma l’Europa si ritrova in Dodici, in “il Sole 24 ore”, 15 dicembre 1990.

177 Così si esprimeva la DC nel documento che concludeva i lavori della direzione nazionale; Direzione

lavori, ribadendo però la contrarietà allo stesso progetto di moneta unica. Con lo humor sottile che gli era abituale, se Major dichiarava che “in questo vertice ci siamo limitati a preparare un menù dove ci sono i piatti preferiti di ciascuno”178, il presidente Andreotti ribatteva: “L’importante è che a tavola siamo seduti in Dodici”179. L’atmosfera “eccessivamente rilassata”180, costituì anche il segnale che i nodi politici erano stati semplicemente demandati al lavoro delle CIG181. Come voluto dal presidente della Commissione, il Consiglio decise che i lavori delle due CIG si svolgessero in parallelo182, in modo da assicurare un’unica filosofia istituzionale. Il treno si era messo in movimento e, per i tempi che avevano caratterizzato l’integrazione europea sin dal 1951, anche piuttosto rapidamente: ora sarebbe stato compito delle CIG rispondere al mandato ricevuto e alle più ampie attese che coinvolgevano le forze politiche, sociali e l’opinione pubblica. Il semestre si chiudeva dunque piuttosto positivamente dal punto di

178 La dichiarazione è riportata in A. Cerretelli, Comunque si è mossa, in “il Sole 24 ore”, 16 dicembre

1990.

179 Ibidem. Luigi Colajanni, stemperò i commenti positivi verso l’azione di Andreotti affermando:

“L’ironico commento del nuovo premier britannico (…) può anche soddisfare Andreotti come anfitrione ma non come costruttore del futuro dell’Unione europea”, L. Colajanni, Un passo avanti, in “l’Unità”, 29 dicembre 1990.

180 Franco Papitto, dalle colonne de “la Repubblica” descriveva con ironia la fine del vertice: “Andreotti

elogia Delors che ricambia con affetto; De Michelis elogia tutti e tutti elogiano De Michelis (…) Tutti elogiano tutti e c’è sicuramente qualcosa di eccessivo in questa atmosfera di giubilo”, F. Papitto, L’Europa del dopo Thatcher riparte a Dodici da Roma, in “la Repubblica”, 16 dicembre 1990.

181 Infatti, per quanto riguarda l’unione politica, il Consiglio dava mandato alla CIG di occuparsi dei

seguenti aspetti: 1) legittimità democratica; 2) politica estera e di sicurezza comune; 3) cittadinanza europea; 4) Estensione e rafforzamento dell’azione comunitaria; 5) efficacia dell’Unione; per il contenuto specifico dei vari punti si vedano, Conclusion du Conseil Européen de Rome, les 14 et 15 decémbre 1990, Roma, 15 dicembre 1990. Da ambienti del PCI, pur non mancando il plauso verso l’accordo raggiunto, si criticava con fermezza la mancanza di coraggio e visione politica che aveva contraddistinto il lavoro del Consiglio europeo: “Il confronto sarà ancora duro tra i fautori di un’Europa centralistica e i sostenitori di un’Europa a vocazione federale. Dall’esito di questa partita dipenderanno sostanza e prospettive della democrazia europea, e dunque un qualcosa che coinvolge e coinvolgerà, sul piano civile come su quello economico e sociale, ognuno di noi cittadini europei. Un qualcosa che non può perciò essere delegato in esclusiva ai diplomatici e alle burocrazie, e che richiede e richiederà invece, più di quanto si sia verificato sinora, un costante intervento in prima persona del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali (…) nonché di quell’insieme di forze politiche sociali e culturali, che vedono nell’Europa la realtà in cui collocare il futuro di ognuno dei nostri paesi”, S. Segre, La nuova Europa, in “l’Unità”, 16 dicembre 1989. Lo stesso PE, nella risoluzione sul semestre italiano rilevava “sottolineando il positivo contributo della presidenza italiana, che il Consiglio europeo si è limitato a definire le linee maestre e deplora l’ambiguità di talune formule scelte con specifico riguardo all’eliminazione del deficit democratico della Comunità (…) pone in risalto la necessità e l’urgenza di un sistema istituzionale equilibrato di tipo federale comprensivo di un esecutivo responsabile (la Commissione) e di una autorità legislativa all’insegna della codecisione fra Parlamento e Consiglio”, “Risoluzione del Parlamento europeo”, 24 gennaio 1991, ALeg, CADE, X Leg., Documenti, Doc. XII, n. 279, p. 2.

182

Jacques Delors era dell’opinione che “ci sarà un processo di aggiustamento dialettico tra le due Conferenze. Sarà impossibile concluderle con due filosofie istituzionali diverse: l’una fortemente integrazionista e l’altra di generica cooperazione tra i governi. Non può funzionare perché non avremmo risolto il problema”, P. Galimberti, F. Papitto, intervista a J. Delors, “È l’ora delle verità per l’Europa unita”, cit.

vista della gestione da parte dell’Italia183; tuttavia, notava Roberto Palmieri del PCI, lo stesso non si poteva dire per i risultati ottenuti dal paese:

“Mentre tutti i nostri partner europei – grandi e minori – partecipano al processo europeo conferendovi una sintesi ragionata dei propri interessi nazionali (…) l’Italia sembra incapace di uscire dalla logica dell’ ‘ancoraggio’ adottata fin dai primi anni Cinquanta. L’integrazione europea è un bene in sé, basterà perseguirla per ricavarne vantaggi e regole di condotta”184.