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Il responsabile esteri della DC, Bruno Orsini, nel dibattito relativo al semestre di presidenza della Comunità europea, aveva sostenuto che l’Europa avvertisse di essere direttamente investita,

“della grande stagione costituente dell’ordine internazionale che stiamo attraversando, e constata, non solo a livello di governi e parlamenti ma forse per la prima volta in misura crescente anche sul piano del comune sentire, che è proprio la costruzione comunitaria sin qui realizzata, con quel tanto o quel poco di sopranazionalità affidato alle organizzazioni comunitarie dal 1957 ad oggi, a costituire nell’attuale fase il suo principale punto di forza, di credibilità, di garanzia. Essa consente all’Europa di affrontare gli eventi, che si susseguono a ritmi sempre più rapidamente scanditi in una posizione di relativa significatività nell’ambito dello scacchiere mondiale”134.

In effetti, a partire dalla crisi di Suez del 1956, le vicende internazionali erano state un terreno sul quale, per una questione di rapporti di forza, potevano avere voce in capitolo

132 On. G. Russo Spena, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 3 luglio 1990, pp. 62831-6282. 133

Secondo il deputato missino, l’unione federale avrebbe cancellato il valore aggiunto delle varie nazioni, “le quali, con la loro storia e la loro realtà, possono contribuire alla costruzione vera, effettiva e reale di un’Europa che non solo abbia un passato, ma che sia anche capace di avere un presente e soprattutto un avvenire”, On. R. Valensise, Ibidem, p. 62841.

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solo le due superpotenze: con la caduta del Muro, anche la CEE e i suoi stati membri davano l’impressione di voler ambire a svolgere un ruolo più attivo e da protagonista nella vita politica europea e planetaria135. La grande euforia, il senso di attesa e di speranza che avevano accompagnato i due vertici di Dublino e l’avvio del semestre italiano erano destinati però a durare ben poco. Nell’agosto del 1990 l’Iraq guidato da Saddam Hussein invase il Kuwait.

Al di là dei risvolti che l’iniziativa irachena assumeva nell’ambito delle relazioni internazionali – e che per gran parte esulano dagli obiettivi di questa ricerca - la CEE sembrò nuovamente incapace di esprimersi come tale, in termini politici e militari, al di fuori dei propri confini, tanto da non potersi più permettere, evidenziavano in molti, di aspettare il fatidico 1993136: come notò Antonio Giolitti, “non possiamo procedere al ritmo a cui pensavamo tempo fa per il consolidamento e lo sviluppo della Comunità europea”137. Ad inizio ottobre, a meno di un anno dalla caduta del Muro di Berlino, le due repubbliche tedesche tornavano a formare un unico e solido stato unitario: ricordando la valenza storica dell’evento, Sergio Andreis, dei Verdi, sottolineava come fosse da temere “che la grande attenzione portata agli eventi nel Golfo porti ad una

135 Sul legame tra la CEE e le possibilità d’azione dei singoli membri, scriveva Franco Venturini sulle

colonne del “Corriere della Sera”: “Quel che la Thatcher non capì in tempo è che l’unione rappresenta per i soci europei non una perdita ma una potenziale riconquista di sovranità, un pedaggio di realismo e non una fuga in avanti. E la questione che si pone ora è di far intendere il medesimo concetto anche a chi come gli italiani ha sempre riflettuto troppo poco sul proprio europeismo, considerando la Cee alla stregua di una generosa quanto scontata polizza di assicurazione”, F. Venturini, L’Europa dei doveri, in “Corriere della Sera”, 13 dicembre 1990.

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“Ci troviamo in un punto nel quale o siamo disposti a cambiare le regole del gioco, o rischiamo di farne un uso inadeguato alla realtà nella quale siamo collocati”, R. Bindi, ALeg, CADE, X Leg., BC, Comm. speciale per le politiche comunitarie, 6 novembre 1990, p. 12.

137

Sen. A. Giolitti, ALeg, SERE, X Leg., Assemblea, 430a seduta, 22 agosto 1990, p. 73. Il senatore Strik Lievers, durante il dibattito richiesto con urgenza per discutere sulla situazione irachena presentava una mozione, non accolta dal Governo dove si sosteneva: “la decisione dell’invio da parte dei paesi della Comunità europea di contingenti militari sotto le esclusive responsabilità nazionali (…) è rivelatrice di una sostanziale impotenza politica che di fatto continua a delegare agli Stati Uniti tutte le responsabilità di direzione (…) L’attuale situazione”, proseguiva il testo della mozione, “impone dunque l’accelerazione del processo d’integrazione politica comunitaria (…) in questo quadro, ove l’Italia, presidente di turno della Comunità, non prendesse immediatamente le urgenti iniziative possibili sulla base dei trattati, si assumerebbe la gravissima responsabilità di far perdere all’Europa un’occasione irripetibile”, Sen. L. Strik Lievers, Ibidem, p. 32. Anche Giorgio Napolitano, in un dibattito relativo alla situazione nel Golfo Persico e al relativo dibattito che si era sviluppato nell’assemblea generale dell’ONU, optava per un’iniziativa italiana volta a far sviluppare una risposta della CEE alla crisi irachena: “qui vedo un ruolo per l’Italia”, affermava Napolitano, “voglio chiarire subito che sono per un ruolo dell’Italia sulla base, però, di una stretta coesione in sede di Comunità europea. Mi pare che siamo in una fase talmente delicata che specialmente quando si tratta di rapporti con un paese aggressore, non ci si può concedere il lusso di iniziative di singoli membri della Comunità europea”, On. G. Napolitano, ALeg, CADE, X Leg., BC, Comm. speciale per le politiche comunitarie, 4 ottobre 1990, p. 21.

sottovalutazione degli avvenimenti che riguardano il nostro continente, tra i quali la riunificazione tedesca ha una rilevanza enorme”138.

Ad ottobre, Roma divenne il centro politico della CEE: l’1 e 2 ottobre era infatti prevista la riunione preparatoria degli organismi parlamentari nazionali specializzati negli affari comunitari, per la conferenza dei parlamenti della CEE – parlamenti nazionali e PE – prevista a novembre, mentre alla fine del mese si sarebbe tenuto il primo Consiglio europeo del semestre italiano. Il governo e il parlamento di Roma avevano fortemente voluto che le assise si tenessero nella capitale italiana, anche per sottolineare simbolicamente il favore con il quale l’Italia guardava al ruolo delle assemblee democratiche nel progettare le tappe future del processo d’integrazione139.

La conferenza dei parlamenti, secondo l’indirizzo dato da una risoluzione del PE del 12 luglio 1990, avrebbe dovuto porsi come obiettivi: “a) ridurre il deficit democratico della Comunità (…); b) preparare lo sviluppo nella Comunità di un potere costituente conforme ai principi negati dalle attuali procedure che escludono il Parlamento europeo da ogni riforma della Comunità”140. La riunione preparatoria delle assise parlamentari aveva deciso di strutturare i lavori intorno ai seguenti punti: 1) nuovi obiettivi della Comunità, in particolare UEM e unione politica; 2) rafforzamento della legittimità democratica; 3) ripartizione delle competenze; 4) relazioni esterne. Alla luce di queste quattro aree, la commissione speciale per le politiche comunitarie della Camera dei Deputati approvò alcune linee guida per delineare la strategia che i membri del parlamento italiano partecipanti alla conferenza avrebbero dovuto seguire. Per quanto riguarda i nuovi obiettivi della CEE, la commissione speciale auspicò che, nel quadro della futura UE, l’UEM e la banca centrale europea dovevano essere sottoposte al controllo democratico; inoltre, era necessario battersi per l’attuazione della carta sociale e per una politica estera e di sicurezza comune, stimolando così un ruolo

138 On. S. Andreis, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 3 ottobre 1990, p. 70024. Per un

commento da parte della stampa italiana sulla riunificazione tedesca, si veda, B. Spinelli, 60 anni da dimenticare, in “la Stampa”, 3 ottobre 1990.

139 Lo stesso parlamento europeo, nell’approvare la risoluzione d’indirizzo sui lavori della conferenza dei

parlamenti CEE, sottolineava come le Assise, “debbano tenersi prima dell’apertura della Conferenza intergovernativa (…) in modo che quest’ultima sia informata dell’espressione della volontà popolare manifestata nei parlamenti degli Stati membri e nel Parlamento europeo”, Risoluzione del Parlamento europeo, 12 luglio 1990, ALeg, CADE, X Leg., Documenti, Doc. XII, n. 219, p. 2.

140 Ibidem. Su questo tema, il documento conclusivo del congresso del PPE di novembre, così si

esprimeva: “È nuovamente necessario impegnarsi per conferire finalmente alla Comunità Europea un’effettiva e fondamentale legittimità democratica. La fedeltà agli ideali democratici propria di tutti gli Stati membri – e che si esige dai candidati all’adesione – deve essere integralmente applicata all’interno del sistema comunitario in generale e del suo processo decisionale in particolare”, PPE, Il Documento del Congresso di Dublino, in “il Popolo”, 21 novembre 1990.

crescente della CEE nell’ONU. La commissione speciale ritenne positivo l’avvento del mercato unico, ma si manifestò consapevole che questo richiedesse “un’effettiva coesione economica e sociale che garantisca il superamento degli squilibri territoriali e lo sviluppo armonioso delle economie regionali”141. Quanto al rafforzamento della legittimità democratica, la commissione si esprimeva in senso favorevole alla “trasformazione della Comunità in un’Unione su base federale (…) secondo un progetto elaborato dal Parlamento europeo in conformità ad un mandato ad esso attribuito dai Governi ed ispirandosi al progetto di Trattato del 14 febbraio 1984”142. L’architettura istituzionale della nuova CEE si sarebbe dovuta basare sui principi del federalismo e della sussidiarietà, assegnando il potere legislativo al PE – per il quale si rivendicava, ancora una volta, una procedura elettorale uniforme - in coabitazione con un organismo rappresentativo degli stati. Anche in tema di ripartizione delle competenze si sottolineò l’esigenza di ricorrere al principio della sussidiarietà: la commissione speciale riteneva quindi che si dovesse approfondire e migliorare la “partecipazione delle Regioni alla realizzazione degli obiettivi fondamentali ed alla vita istituzionale dell’Unione”143. Infine, sul tema delle relazioni esterne, si chiedeva una sostanziale riduzione del debito dei paesi in via di sviluppo, una decisa accentuazione della cooperazione con i membri dell’EFTA e con i paesi dell’Europa centrale e orientale, al fine di un “graduale allargamento della Comunità”144.

All’interno degli stati membri, e anche tra le forze politiche italiane – ad opera del MSI e della DC per lo più - con finalità diverse se non divergenti, si stava alimentando da tempo un dibattito relativo al ruolo che i parlamenti nazionali avrebbero dovuto assumere nella futura configurazione istituzionale della CEE: Strik Lievers stigmatizzò “talune linee di tendenza attualmente in atto in taluni paesi della Comunità, volte ad esaltare il ruolo istituzionale dei Parlamenti nazionali all’interno e nei confronti del processo decisionale comunitario, a scapito del ruolo che legittimamente spetta al Parlamento europeo”145. Il continuo accento posto sulla prospettiva federale sembrò

141 Relazione della commissione speciale per le politiche comunitarie sulla conferenza dei parlamenti

della Comunità Europea, ALeg, CADE, X Leg., Documenti, Doc. XVI, n. 1, p. 6.

142

Ibidem.

143

Ibidem, p. 7.

144 Ibidem.

145 Sen. L. Strik Lievers, ALeg, SERE, X Leg., BC, Giunta Affari Europei, 38a seduta, 17 ottobre 1990,

pp. 84-85. Su questo punto, Diego Novelli, membro della commissione speciale per le politiche comunitarie, sosteneva che “una commissione come la nostra, un Parlamento nazionale, può svolgere un ruolo importante se fonda tutta la sua azione sul piano del federalismo e della democrazia. Guai se ci restringessimo ai rapporti intergovernativi, saremmo battuti in partenza”, On. D. Novelli, ALeg, CADE, X Leg., BC, Comm. speciale per le politiche comunitarie, 6 novembre 1990, p. 9.

anche rispondere alla preoccupazione italiana di veder diminuire il proprio potere nazionale comunitario a causa della nascita del nuovo stato unitario tedesco, in una situazione che già vedeva l’Italia in condizioni di inferiorità nei rapporti bilaterali. In contrapposizione a questa generale idea di debolezza, non era raro che da parte di alcuni partiti come da singoli loro esponenti, si cercasse proprio di rilanciare la prospettiva intergovernativa, per dare maggior lustro e peso all’attività diplomatica italiana. A non condividere questo approccio all’integrazione comunitaria, minoritario tra le forze politiche italiane, fu, tra gli altri, Galderisi che osservò:

“Può forse rispondere all’interesse dei paesi più forti, come la Germania ridurre tutto nell’ambito intergovernativo perché in quella sede potrebbero avere maggiore gioco, ma è interesse dei paesi più deboli far sì che chi dispone di maggior potenza si debba confrontare con istituzioni democratiche e debba farlo in sedi istituzionali piene, dotate di effettivi poteri. Ciò vale per la Germania, come ho già detto, per la Gran Bretagna e per la Francia (…) ma l’interesse italiano in questa impostazione non riesco davvero a vederlo”146.