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I Consigli europei di Dublino e l’avvio del semestre di presidenza italiano

Il dibattito italiano si svolgeva in uno scenario europeo che dall’inizio di aprile era profondamente cambiato: in seguito alle libere elezioni nella Germania dell’Est, il presidente francese aveva dovuto di fatto desistere dal compiere ulteriori tentativi per rinviare al medio termine l’unificazione tedesca. Tuttavia, Mitterrand riuscì ad ottenere dal cancelliere Kohl un rinnovato impegno sulla strada dell’accelerazione del processo d’integrazione: nella seconda decade di aprile i due leader politici inviarono una lettera ai capi di stato e di governo degli altri membri CEE, proponendo che dal 1 gennaio 1993, insieme al mercato unico, partisse anche l’unificazione politica dei Dodici100. La

98 Sen. F. Tagliamonte, ALeg, SERE, X Leg., Assemblea, 409a seduta, 4 luglio 1990, p. 14. 99

On. P. L. Romita, ALeg. SERE, X Leg., Assemblea, 410a seduta, 5 luglio 1990, p. 10.

100

Più precisamente, Mitterrand e Kohl scrivevano: “Alla luce dei profondi mutamenti in atto in Europa e in vista del compimento del mercato unico e dell’attuazione dell’unione monetaria ed economica, riteniamo necessario accelerare la costruzione politica dell’Europa dei dodici” di conseguenza, proseguivano i due leader, il Consiglio europeo “dovrebbe avviare i preparativi per una conferenza intergovernativa sull’unione politica. In particolare l’obiettivo è quello di – rafforzare la legittimazione democratica dell’unione; - renderne più efficienti le istituzioni; - assicurare unità e compattezza all’azione politica, economica e monetaria; - definire una comune politica estera e di difesa”, F. Mitterrand, H. Kohl, Un rilancio a sorpresa firmato Kohl e Mitterrand, in “il Sole 24 ore.Europa”, 28 giugno 1990.

novità della proposta e lo spessore politico del tandem che la lanciava costrinsero la presidenza di turno irlandese a stravolgere i temi all’ordine del giorno del vertice straordinario del Consiglio europeo per inserirvi la proposta franco-tedesca.

4.1 I Consigli europei di Dublino dell’aprile e del giugno 1990

La stretta vicinanza tra l’iniziativa Mitterrand-Kohl e la data di svolgimento del vertice faceva sì che le incognite sull’esito del Consiglio europeo fossero numerose. In un pregevole editoriale apparso sul quotidiano di via Solferino, Franco Venturini evidenziò gli interrogativi che accompagnavano il vertice, suscitati da “questa Europa che vuole accelerare prima di aver acceso i fari”101: in ogni caso, proseguiva,

“questa Europa che sembra decisa a gettare comunque il dato, non è soltanto l’Europa delle paure: è un’Europa finalmente lucida e cosciente delle sue possibilità, decisa a cavalcare la storia e non soltanto ad inseguirla (…) Ed è un’Europa, anche, che ritrova all’improvviso il suo fascino, il suo gusto del rischio, la sua grandezza che si riteneva smarrita tra montagne di burro e sfide all’ultima sovvenzione”102.

Il Consiglio europeo di Dublino ottenne un duplice successo: i Dodici davano il via libera alla riunificazione tedesca, approvando il piano economico e politico presentato da Kohl103, e assumevano importanti decisioni in materia di unione politica. Nelle conclusioni della presidenza, infatti, dichiararono:

i) un examen détaillé sera entrepris immédiatement sur la necessité d'apporter d'éventuelles modifications au traité en vue de renforcer la légitimité démocratique de l'Union, de permettre à la Communauté et à ses Institutions de répondre efficacement et de manière effective aux exigences de la nouvelle situation (...) ii) les ministres des Affaires étrangères entreprendront cet examen et cette analyse et

101 F. Venturini, Paura e forza dell’Europa, in “Corriere della Sera”, 28 aprile 1990. Anche Duverger era

piuttosto scettico nei confronti dell’iniziativa franco-tedesca: “La sua ambiguità e la sua imprecisione saltano agli occhi di fronte alla chiarezza del piano destinato alla rapida nascita di una grande Germania”, M. Duverger, L’Europa dei contrappesi, in “Corriere della Sera”, 26 giugno 1990.

102 Ibidem. Anche la giornalista de “il Sole 24 ore” Adriana Cerretelli, condivideva il nuovo spirito che

sembrava pervadere i leader europei, dopo la grande paura che aveva accompagnato le vicende relative alla riunificazione tedesca: “La storia sul continente corre, la campana suona per i Dodici, la Cee non può più permettersi il lusso di disertare e di disertarsi. Anche se per ora nessuno sa come riuscirà a fare l’impossibile. Mitterrand e Kohl sembrano avere voglia di impossibile. E questo sembra un ottimo inizio”, A. Cerretelli, La sfida tedesca sveglia i Dodici, in “il Sole 24 ore”, 28 aprile 1990.

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Sulla riunificazione tedesca, così si esprimevano i Dodici: “Nous nous rejouissons que l’unification allemande soit en tren de se faire sous l’égide de l’Europe. La Communauté veillera à che que l’intègration du territoire de la République dèmocratique allemande dans la Communauté se passe sans heurt et d’une manière harmonieuse”, Consiglio europeo, Reunion speciale du Conseil Européen – Dublin, 28 avril 1990 : Conclusions de la Presidence, Dublino, 28 aprile 1990.

élaboreront des propositions qui seront discutées lors du Conseil européen de juin en vue de parvenir à une décision sur la tenue d'une seconde conférence intergouvernementale”104.

L’assenza di obiettivi o contenuti specifici mise tutti i capi di stato e di governo nelle condizioni di potersi dichiarare soddisfatti e di aver ottenuto ciò che volevano: la tanto temuta battaglia contro Margaret Thatcher era stata rimandata, visto che solo al vertice di giugno si sarebbe esaminato il lavoro compiuto dai ministri degli esteri. Sulla stampa italiana, Arturo Guatelli annotava che “è assai problematico dire dove porta l’iniziativa presa a Dublino”: tuttavia, “dal Consiglio europeo è stata però riconosciuta l’opportunità di fare dell’Europa comunitaria un soggetto politico che sia il punto di riferimento dei futuri equilibri europei”105. Anche Giorgio Napolitano, in un editoriale pubblicato su “l’Unità”, commentava:

“Il vertice non ha deluso le attese, nel senso che si è finalmente risposto agli sviluppi imprevedibili e incalzanti della situazione del nostro continente (…) Si è trattato di una decisione di massima, i cui effettivi contenuti restano controversi e dovranno essere in qualche modo chiariti nel prossimo incontro di fine giugno (…) Chi come noi si è mosso in questi anni nel solco delle battaglie e delle proposte di Altiero Spinelli non può che salutare come un successo questa svolta significativa anche se non ancora risolutiva verso l’unione politica”106.

In vista del secondo vertice di Dublino, le forze politiche italiane riuscirono ad approvare una mozione d’indirizzo unitaria che impegnava l’azione del governo italiano:

“1) a finalizzare la propria opera al perseguimento degli obiettivi indicati dal popolo e dal Parlamento italiani; 2) ad assegnare, in quest’ambito, valore rigorosamente prioritario all’impegno perché il Parlamento europeo venga associato nelle forme indicate dalla stessa consultazione referendaria all’elaborazione del progetto di Costituzione dell’unione europea; 3) a promuovere soluzione che non contraddicano e non compromettano la prospettiva di un’unione europea su base federale; 4) ad operare in ogni sede perché siano accettati i principi ispiratori del

progetto di Trattato approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984”107.

104

Ibidem.

105 A. Guatelli, Dietro l’eurottimismo, in “Corriere della Sera”, 30 aprile 1990. 106 G. Napolitano, Europa veloce Italia lenta, in l’Unità, 30 aprile 1990. 107

“Risoluzione Sarti e altri, 7-00359”, ALeg, CADE, X Leg., BC, III Comm., 21 giugno 1990, p. 13. Nella discussione che riguardava l’approvazione della risoluzione, il DC Bruno Orsini ammoniva a non dimenticare che nel processo che avrebbe portato alla convocazione della CIG, “il rapporto dei singoli governi, del nostro in particolare, con i Parlamenti dovrà evidentemente essere serrato, al fine di pervenire a conclusioni democraticamente maturate prima nell’ambito dei singoli paesi. Sarebbe infatti abbastanza

Il sostegno ad un documento unitario non impedì però al PCI di criticare duramente le modalità con le quali l’esecutivo italiano si stava preparando a prendere il timone della Comunità. Sergio Segre, osservando le questioni politiche che sarebbero state trattate al secondo Consiglio europeo di Dublino, evidenziò come al vertice irlandese si sarebbe potuto stilare solo il calendario, ma non il contenuto; quest’ultimo, sarebbe ricaduto interamente sotto le responsabilità della presidenza italiana:

“A noi pare, ed è un rilievo critico abbastanza diffuso, che governo e diplomazia italiana si siano preparati a questo appuntamento con un atteggiamento troppo sotto tono, insistendo più su una volontà di mediazione ad ogni costo che sul richiamo a quei grandi principi di democrazia europea ai quali pure sono vincolati dal referendum del giugno 1989 e da ripetute prese di posizione da parte del Parlamento”108.

Come previsto da Segre, il secondo vertice di Dublino non poté compiere significativi passi in avanti: il rapporto elaborato dai ministri degli esteri fu approvato all’unanimità, quindi anche dalla Gran Bretagna della Thatcher109 e, per usare le parole del giornalista Pietro Sormani, “ciò basta a spiegarne lo scarso impegno innovativo”110. Il Consiglio europeo si preoccupò soprattutto di fissare le linee guida entro le quali si dovesse sviluppare il dibattito sull’unione politica e, di conseguenza, i lavori della conferenza intergovernativa che, anche in questo caso, era compito della presidenza italiana convocare. L’unione politica, che si doveva raggiungere rispettando le identità nazionali e attraverso la sussidiarietà,

“devra renforcer d'une manière globale et équilibrée la capacité de la Communauté

et de ses Etats membres d'agir dans les domaines où ils ont des intérêts communs.

comico pensare ad un’attenuazione del deficit democratico europeo, creando dei deficit democratici nazionali”, Ibidem, p. 15. Il pensiero di Orsini era anche espressione di un certo malumore che affiorava in alcune aree della DC verso il ministro degli esteri, il socialista Gianni De Michelis. Infatti, in una riunione del comitato direttivo del partito alla Camera dei Deputati, Sarti rilevava come fosse stato “leggero il momento della composizione del Ministero. È stato un errore appaltare tutto al PSI i dicasteri internazionali. Il confronto con i socialisti è su questi temi. Su questo avviene uno scontro forte”, Comitato direttivo, 6 febbraio 1990, verbale n. 59, ASLS, Fondo Gruppo DC alla Camera dei Deputati, serie 2, Comitato direttivo, sottoserie 2, busta 23, fascicolo 28, sottofascicolo 2.

108 S. Segre, Quanta incertezza l’Italia porta al vertice europeo, in “l’Unità”, 25 giugno 1990.

109 Per spiegare le posizioni inglesi sull’Europa in vista della presidenza italiana, il ministro degli esteri

britannico, più accomodante circa i temi europeistici rispetto alla lady di ferro, scriveva un lungo editoriale per il quale si veda, D. Hurd, Nuovo test per l’Europa, in “il Sole 24 ore”, 23 giugno 1990. L’articolo di Duglas Hurd fu brillantemente analizzato e criticato in S. Silvestri, Europa: a Londra qualche equivoco di troppo, in “il Sole 24 ore”, 24 giugno 1990.

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L'unité et la cohérence des politiques et des actions devraient être garanties par des institutions fortes et démocratiques”111.

Quanto alla legittimità democratica, che di per se è tema strettamente connesso alla stessa unione politica, il Consiglio europeo proponeva che si sviluppasse su tre binari principali : 1) un rafforzamento dei poteri del PE in materia di norme comunitarie e nel campo delle relazioni esterne della CEE, attraverso, eventualmente, un potere di codecisione ; 2) un ruolo più attivo del PE nel designare il presidente e i membri della Commissione ; 3) un maggiore coinvolgimento dei parlamenti nazionali soprattutto per quelle competenze che sarebbero state trasferite a livello comunitario.

4.2 L’avvio della presidenza di turno italiana della CEE

Da Dublino uscivano amplificate le attese verso la presidenza di turno italiana: al di là delle comuni critiche al sistema politico, l’Italia si era spesso comportata in modo positivo durante lo svolgimento dei propri turni di presidenza, “in linea con il nostro carattere nazionale”, rifletteva il direttore dell’Istituto Affari Internazionali – IAI – Gianni Bonvicini, “di essere tanto efficaci nelle situazioni ‘eccezionali’, quanto disorganizzati e in ritardo nella partecipazione ordinaria alle attività della Ce”112. Ad introdurre i temi e le linee che l’Italia avrebbe seguito nella seconda parte del 1990, fu una lunga intervista rilasciata dal ministro degli Affari Esteri, Gianni De Michelis, al giornalista de “il Sole 24 ore” Salvatore Carruba. Dopo aver ricordato l’importanza del legame tra gli sviluppi dell’integrazione comunitaria e le vicende dell’Est europeo113, il

111 Consiglio europeo, Conseil Européen de Dublin (25-26 giugno 1990) – Conclusions de la Presidence,

Dublino, 26 giugno 1990.

112 G. Bonvicini, Dietro le Quinte del Concerto, in “il Sole 24 ore.Europa”, 28 giugno 1990. Sulle pagine

di “Critica Sociale”, Luigi Vertemati vedeva il vicino semestre italiano in chiave maggiormente positiva: A livello comunitario siamo più rispettati di quanto noi pensiamo (…) occorre un impegno diffuso del sistema Italia. Non solo del Governo e dei Ministri. È necessario l’impegno reale delle forze politiche, delle forze sociali (…) di coloro che credono sul serio alla necessità di introdurre un’accelerazione del processo di unità dell’Europa”, L. Vertemati, L’Europa vista da Strasburgo, in “Critica Sociale”, a. IC, n. 7/90, p. 15. Sandro Viola riteneva invece che della politica estera italiana bisognasse temere “certi ‘tic’ e tendenze, certe inutili baldanze, certe deplorevoli verbosità (per non parlare di parecchie idee confuse), che potrebbero finire col dare alla nostra presidenza della Cee un’impronta negativa”, S. Viola, E l’Italia guiderà il “grande balzo”, in “la Repubblica”, 26 giugno 1990.

113 “Il grande errore, l’unico vero disastro per la Comunità , ma anche per l’intera Europa e forse per il

mondo, sarebbe se la Cee si arenasse in pur legittime discussioni, in divergenze di opinioni e di orientamento per perdere il ritmo degli avvenimenti (…) Rispetto ad un’Europa che cambia così rapidamente, la Comunità ha un obbligo politico e morale di tenere il passo anche perchè essa deve essere fonte d’integrazione non solo per se stessa, ma per il resto d’Europa”, S. Carrubba, intervista a G. De Michelis, Un dovere per la Cee mantenere lo slancio, in “il Sole 24 ore”, 28 giugno 1990.

ministro socialista sembrava mettere apertamente in discussione l’obiettivo dell’unione federale e la supremazia, o comunque l’importanza, in vista dell’unione politica, del PE:

“L’Italia si impegnerà, nel corso della presidenza, a far sì che prevalga il più possibile, già nei lavori preparatori, un’impostazione sovranazionale. L’Europa federale resta un punto d’arrivo ma il modello comunitario è qualcosa sui generis e anche la politologia deve tenerne conto nell’evocare modelli che non possono essere, quando si parla dell’Europa, troppo schematici (…) Naturalmente, dopo queste modifiche occorrerà poter contare su un elemento politico unificante, che io non vedo che nella definizione del ruolo del Consiglio Europeo. La decisione politica, infatti, non può essere assunta se non dalla somma di coloro che democraticamente rappresentano i soci fondatori, gli elementi costituenti”114.

Per De Michelis, tali rappresentanti non dovevano essere gli eurodeputati, direttamente eletti dai cittadini al fine di occuparsi delle questioni comunitarie: se la prima affermazione poteva essere comprensibile, nell’ottica di non suscitare la reazione, ad esempio da parte di Londra, prima di avviare i negoziati115, l’inciso sul Consiglio europeo come unico soggetto politico unificante democratico mal si conciliava, oltre che con il referendum d’indirizzo, con la più recente mozione che tutti i partiti italiani, anche il PSI, avevano approvato in vista del secondo vertice di Dublino.

L’intervista di De Michelis era così destinata ad accendere il dibattito politico sul semestre di presidenza. Infatti, già Margherita Boniver, socialista, interveniva nel dibattito alla Camera ricordando che l’unione politica doveva essere volta “alla creazione di una struttura federativa con sempre maggiori poteri al Parlamento europeo”116: ciò avrebbe suscitato dubbi e ferree opposizioni da parte di alcuni membri, ammoniva la deputata PSI, ma non doveva generarne in Italia, “dovendosi sempre ricordare che questo Parlamento ha approvato una serie di risoluzioni, successivamente solennemente sancite da un referendum popolare”117. Più esplicito era Bruno Orsini che, ricordando il ripetersi dell’antica polemica tra minimalisti e massimalisti, ribadiva:

114

Ibidem.

115

Anche il ministro Romita, sostenne: “È più che giusto che il Parlamento si spinga avanti sulle ali dell’entusiasmo e sulle ali della precisa interpretazione politico-ideologica o politico-ideale degli obiettivi che l’Europa persegue; il Parlamento opera e agisce a livello nazionale, è sovrano ovviamente delle sue scelte e delle sue decisioni; il Governo, nella misura in cui deve assumere, nel prossimo semestre, il ruolo della presidenza del Consiglio dei ministri non è padrone delle sue decisioni e delle sue valutazioni”. On. P. L. Romita, ALeg, SERE, X Leg., Assemblea, 410a seduta, 5 luglio 1990, p. 7.

116 On. M. Boniver, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 2 luglio 1990, p. 62694. 117

“Nessuno ignora che il paese che ha la Presidenza della Comunità deve esercitare un ruolo di sintesi perché ha la responsabilità dei risultati, non solo quella delle enunciazioni. Ma è altrettanto vero che ciò non esclude affatto l’esercizio del diritto-dovere di far valere i propri orientamenti, specie se sono confortati da indicazioni costanti del proprio Parlamento nazionale e persino da specifici voti popolari (…) Quelli che lavorano per limitare il processo di integrazione ci sono già e non è il caso di rafforzare il fronte dei minimalisti!”118.

Germano Marri, del PCI, chiamava direttamente in causa De Michelis: “Il nostro Governo è tenuto ad uniformare il suo specifico punto di vista a quelle che sono le indicazioni del Parlamento italiano (…) Abbiamo potuto constatare, anche nelle recenti dichiarazioni del ministro De Michelis (…) una linea riduttiva.”119. Anche il DC Luigi Granelli, pur non rifiutando l’approccio gradualistico verso l’integrazione europea, ricordava:

“anche i passi graduali vanno fatti nella direzione giusta, perché se i piccoli passi noi li facciamo tornando indietro, verso un modello confederale di Europa, essi non servono nemmeno alla casa di un approccio gradualistico dell’unione europea. Dobbiamo quindi esercitare il massimo della pressione perché l’iniziativa del Governo italiano vada invece nella direzione dell’affermazione di una concezione federale, comunitaria, sopranazionale della costruzione europea”120.

Ancor più severe furono le parole usate da Roberto Cicciomessere che, dopo aver stigmatizzato la scarsa presenza dei deputati e dei membri del governo al dibattito sul

118 On. B. Orsini, Ibidem, p. 62700. Il responsabile del dipartimento esteri della DC, ripeteva tale concetto

in sede di conclusione d’intervento: “Noi apparteniamo (…) ad un partito federato al partito popolare europeo il quale nel suo manifesto per le elezioni europee del 1989 ha esplicitamente dichiarato di volere ‘gli Stati Uniti d’Europa’. Certo, li vogliamo con realismo, con gradualità, con misura, ma continuiamo a coltivare questa prospettiva che i fatti rendono ogni giorno meno utopica e meno lontana”, Ibidem, p. 62702. Sempre dall’area DC si levava la critica del vice presidente al PE, Roberto Formigoni, che in un’intervista affermava: “L’unione politica europea non può certo nascere da una visione minimalista delle cose. Bisognerebbe ricordargli (a De Michelis), per esempio, che tutti gli 81 eurodeputati italiani e lo stesso Governo nel suo complesso, oltreché gli italiani che hanno approvato nel giugno del 1989 il referendum popolare per l’accelerazione dell’unione politica europea, sono d’accordo per una battaglia europeista convinta”, R. Di Giovan Paolo, intervista a R. Formigoni, Formigoni: all’avanguardia dell’Europa, in “la Discussione”, a. XXXVIII, n. 27, 7 luglio 1990. Anche Giuseppe Calderisi, molto sensibile alle tematiche europeistiche, ricordava a De Michelis: “L’unione politica è diventata un’assoluta necessità, molto più di cinque anni fa. Il ‘trattato Spinelli’ e le posizioni federaliste hanno una validità dieci volte maggiore di cinque anni fa. Altro che perdita di attualità, altro che concezioni ottocentesche (non so bene perché), come dice il ministro degli esteri”, On. G. Calderisi, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 2 luglio 1990, p. 62708.

119 Proseguiva Marri; “La strada che si vorrebbe seguire, noi temiamo, non è quella maestra del

rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo in collegamento con i parlamenti nazionali, secondo il principio della doppia legittimità, ma quella di un accentramento dei poteri sul Consiglio dei ministri e un prevalere della dimensione intergovernativa con il rischio assai concreto che prevalgano, con il peso specifico dei singoli governi, gli egoismi nazionali e il loro ruolo di interdizione. Si tratterebbe di un grave passo indietro”, On. G. Marri, Ibidem, p. 62703.

120

semestre di presidenza121, concluse: “La politica del ministro De Michelis, per quanto riguarda i temi trattati in questa sede, si può definire abbandono del progetto federalista”122. L’attacco da parte della Lega Nord venne dai banchi del PE, dove il 12 luglio 1990 Andreotti e De Michelis esposero gli obiettivi della presidenza di turno:

“L’accentuazione della cittadinanza di chi si trova rotativamente a presiedere il Consiglio non è certo indice di spirito comunitario e federalista. Peraltro non ci si