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Mentre nelle capitali si stavano ancora discutendo i risvolti politici del voto europeo, i dodici capi di stato e di governo della CEE si riunirono a Madrid per una sessione del Consiglio europeo che si preannunciava importante: come stabilito ad Hannover, il comitato Delors avrebbe infatti presentato le modalità che riteneva più opportune per procedere verso l’unione economica e monetaria. Il comitato, profondamente stimolato e animato dal suo presidente, aveva lavorato piuttosto intensamente, così da presentare ai Dodici un vero e proprio calendario di attuazione dell’UEM e non soltanto delle proposte generiche. Il Consiglio europeo si trovò quindi nella situazione, in altre parole, di decidere se iniziare seriamente il viaggio della CEE verso i lidi della moneta unica: questo non poteva non comportare un duro e spigoloso confronto a tutto campo con la Thatcher e la sua idea di Europa175.

più elevata all’insediamento elettorale leghista”, P. Natale, Lega Lombarda e insediamento territoriale: un’analisi ecologica, in R. Mannheimer, (a cura di), La Lega Lombarda, cit., p. 108.

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“Il fenomeno Lega Lombarda non è più folklore politico, ma forza nuova, in crescita, alternativa ai partiti e allo stato centralizzato (…) Una cosa seria, non un effimero movimento autonomista e xenofobo”, così si esprimeva Giorgio Bocca, in G. Bocca, intervista a U. Bossi, Quei lombardi in guerra con Roma, in “la Repubblica”, 22 giugno 1989.

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Ibidem.

175 Nel famoso discorso tenuto in occasione dell’apertura del College d’Europe di Bruges, la Thatcher

aveva attaccato direttamente Delors sostenendo che, “Lavorare maggiormente insieme non impone una centralizzazione del potere a Bruxelles o la presa di decisioni da parte di una burocrazia ‘nominata’. È anzi ironico che, proprio mentre paesi come l’Unione Sovietica, che avevano cercato di digerire tutto a

Il rapporto Delors aveva cercato di rispondere a due interrogativi: il primo legato al rapporto tra unione economica e unione monetaria, ovvero, “quale grado e tipo di unione economica è necessario perché un’unione monetaria sia possibile”; la seconda questione riguardava “come applicare un metodo gradualistico”176 alla realizzazione dell’UEM. Secondo Padoa-Schioppa, autorevole membro del comitato, un’unione monetaria deve avere due momenti: nel primo si crea la struttura e nel secondo vengono ad essa trasferite le competenze. Il rapporto Delors rifletteva questa impostazione, proponendo una UEM basata su tre fasi:

“nella prima non c’è un trattato, ma vengono approfondite le procedure esistenti; nella seconda fase viene adottato un trattato e posta in essere la struttura legale, il contenitore; nella terza fase, in cui le parità saranno irrevocabilmente bloccate, la responsabilità della politica monetaria sarà effettivamente trasferita”177.

Infatti, nel rapporto Delors, si proponeva di sfruttare il mercato unico per approfondire le politiche regionali e strutturali, auspicando una convergenza delle politiche nazionali di bilancio; successivamente, mediante un nuovo trattato, sarebbe stata istituita l’autorità comune per passare, dopo un adeguato periodo transitorio, alla terza fase di sostituzione delle monete nazionali con quella unica europea178.

Il Consiglio europeo, accettò integralmente le proposte del comitato: dopo aver rilevato che “le rapport du Comité présidé par Jacques Delors (…) répond pleinement au mandat donné à Hanovre”, stabiliva che “la première étape de la réalisation de l'Union économique et monétaire commencera le 1er juillet 1990”179. Nello stesso tempo, il Consiglio dava mandato a varie istituzioni, tra le quali l’ECOFIN e la Commissione, di istruire i lavori preparatori in vista di una futura conferenza intergovernativa – CIG – che si occupasse delle modalità e dei contenuti delle fasi successive. Anche gli eurodeputati approvarono la scelta del Consiglio europeo: nella risoluzione sul vertice di Madrid, si affermava che il PE,

partire dal centro, stiano ora imparando che il successo dipende dalla dispersione del potere e da decisioni prese lontano dal centro, nella Comunità ci sia chi sembra voler muoversi nella direzione opposta. Noi non siamo riusciti a far retrocedere le frontiere dello Stato, in Gran Bretagna, per vederle poi riproposte a livello comunitario con un super-Stato europeo che esercita un nuovo dominio a partire da Bruxelles”, “Europe. Agence internationale”, 12/10/1988. n. 1527, riprodotto in L. Levi, U. Morelli, L’unificazione europea. Cinquant’anni di storia, cit., p. 318.

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T. Padoa-Schioppa, L’Europa verso l’unione monetaria. Dallo SME al Trattato di Maastricht, cit., p. 172.

177 Ibidem, p. 173.

178 Su questo punto si veda anche, T. Padoa-Schioppa, La lunga via per l’euro, cit., pp. 135-149. 179

“sostiene gli obiettivi del rapporto Delors sulla creazione dell’Unione economica e monetaria (…) si compiace di conseguenza della decisione del Vertice di avviare la prima tappa e di convocare una Conferenza intergovernativa e invita il Consiglio ad accelerare i suoi lavori”180.

Madrid segnò dunque un punto importante, ancorché non decisivo, in favore di Delors oppure, più correttamente, a sfavore della Thatcher: il premier inglese riusciva tuttavia a far rimandare l’approvazione della carta sociale, che avrebbe dovuto costituire, secondo il presidente della Commissione, uno dei vari contrappesi a tutela di cittadini e lavoratori, nei confronti del mercato unico. Sul quotidiano del PCI, il nuovo rinvio fu accolto con disappunto181; Paolo Soldini, giornalista che per “l’Unità” si occupava delle vicende europee, scriveva che quella sulla carta sociale era stata

“una battaglia che le forze più democratiche ed europeiste forse hanno perso senza neppure combatterla (…) sacrificata sull’altare della ricerca di un compromesso in materia monetaria con la signora Thatcher: la dama di ferro accetta di discutere sulla prospettiva dell’unione monetaria, ma per favore le tolgano dal tavolo quell’‘obbrobbrio-socialista-dirigista-burocratico’”182.

Anche Silvano Moffa, sull’organo del MSI, stigmatizzò l’accelerazione avvenuta a Madrid sui temi monetari a discapito di quelli sociali:

“addossare però alla Thatcher tutte le colpe di un eventuale fallimento del piano di integrazione europea ci pare fuorviante. Il fatto è che l’Europa che si sta costruendo e che sembra aver preso a marciare è quella degli affari e dei capitali. È, insomma, l’Europa delle liberaldemocrazie occidentali opulente e grasse”183.

Le reazioni alle conclusioni del vertice di Madrid da parte delle forze politiche italiane furono piuttosto esigue: l’attenzione del mondo politico era assorbita dalla persistente crisi di governo, la cui soluzione, per effetto del voto europeo e della sconfitta del PSI, risultò essere più complicata. Ancora una volta, l’Italia si presentava ad un importante appuntamento internazionale in una posizione debole, sulla difensiva,

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Risoluzione del Parlamento europeo, 27 luglio 1989, in, ALeg, CADE, X Leg., Documenti, Doc. XII, n. 143, p. 3.

181 Il senatore Andriani, in un editoriale su “l’Unità” sostenne persino che proprio la mancata discussione

sulla Carta sociale aveva fatto si che a Madrid la vera vincitrice fosse proprio il premier inglese, si veda, S. Andriani, Io sono convinto che a Madrid ha vinto Thatcher, in “l’Unità”, 29 giugno 1989.

182 P. Soldini, La Carta dei diritti sociali fatta a pezzi dalla Thatcher?, in “l’Unità”, 27 giugno 1989. Si

veda anche, F. Galvano, Londra boccia la Carta sociale, in “la Stampa”, 28 giugno 1989.

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a causa dell’instabilità politica interna: come già successo ad Hannover, anche a Madrid il presidente del consiglio aveva visto ridurre in maniera significativa il suo peso e il suo prestigio politico, non sapendo per quanti giorni o mesi, difficilmente anni, sarebbe rimasto in carica184. Dopo che l’ipotesi di un “De Mita II” naufragò per la ferma opposizione del PSI verso l’ex segretario DC, nella seconda metà di luglio l’incarico fu conferito per la sesta volta, a Giulio Andreotti185, che indicava nell’Europa del 1992 il principale obiettivo da conseguire per il suo governo e per l’intero sistema-Italia186.

Nella consapevolezza che il futuro politico era nelle mani più dei segretari di partito che del parlamento, il dibattito sulle dichiarazioni programmatiche apparì secondario e rituale187. Come rilevava il DC Antonino Zaniboni, i programmi dei governi De Mita e di quello che si apprestava a ricevere la fiducia, erano sostanzialmente uguali, incentrati sullo stretto legame tra il mercato unico e il rinnovamento istituzionale italiano188. Intervenendo in aula, Craxi rilevava che

184 Il direttivo del gruppo della DC alla Camera dei Deputati, discutendo sulla composizione del governo

Andreotti, sottolineava con Adolfo Sarti, quanto fosse necessario “non lasciarci sfuggire il Ministero degli Esteri in vista dei delicati appuntamenti internazionali”, “ASLS”, Fondo Gruppo Camera dei Deputati, Sottoserie 2, busta 23, fascicolo 28, sottofascicolo 1, verbale 44, riunione del 20 luglio 1989.

185 Il che scatenò durissimi attacchi da parte di PCI, MSI e Lega; anche ad alcuni settori della DC, ad

esempio da parte del gruppo alla Camera che avrebbe preferito Martinazzoli, la soluzione della crisi non risultava soddisfacente.

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Nel dibattito sulla fiducia al governo Andreotti, Forlani sostenne che “è importante constatare oggi che è maturata una consapevolezza nuova e cioè quella dello stretto legame che esiste fra la strada che ci avvicina all’Europa e quella che conduce al superamento delle difficoltà interne del nostro Paese”, On. A. Forlani, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 28 luglio 1989, p. 36126. In sede di direzione nazionale, Dario Antoniozzi, capogruppo DC uscente al PE, ricordava che “è importante che questo governo nasca con un ampio respiro europeo”, Direzione nazionale 10 luglio 1989, ASLS, Fondo DC, Direzione nazionale, scatola 52, fascicolo 748. Al consiglio nazionale del partito che si tenne alla fine di agosto, Mariano Rumor sottolineava che “la linea programmatica del governo di Andreotti mi pare chiara e convincente proprio perché si propone una prospettiva ben precisa: garantire all’Italia un approdo non traumatico all’appuntamento europeo del 1992. Essa, in coerenza col voto referendario per un’Europa politica che ha raccolto un massiccio consenso, non si limita soltanto a perseguire un assetto finanziario, economico, giuridico, istituzionale, complessivo adeguato agli impegni assunti ma proietta l’adesione del nostro Paese su uno schermo di impegni globali così che l’Italia possa omologarsi appieno in un’Europa politicamente e civilmente omogenea”, Consiglio nazionale DC 29-31 agosto 1989, cit.

187 Il deputato leghista Giuseppe Leoni, sottolineava infatti: “È la quarta volta, nella mia breve esperienza

parlamentare, che mi accingo ad intervenire per dichiarazioni di voto sulla formazione di un nuovo governo. È chiaro che queste disfatte governative sono frutto di formule politiche ormai superate e pericolose, formule però che lei, signor Presidente, si accinge a ripresentare a questo Parlamento”, On. G. Leoni, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 30 luglio 1989, p. 36396. Anche Bassanini ricordava che “continua infatti a restare senza risposta una domanda, la domanda fondamentale: che cosa propone questo Governo al paese, per fare che cosa chiede la fiducia al Parlamento; su quali basi si ricostituisce una maggioranza che in dieci anni non è riuscita a risolvere alcuno dei grandi problemi del paese”, On. F. Bassanini, Ibidem, p. 36415. Sulla stessa linea d’onda era il duro attacco di Alfredo Pazzaglia per il MSI: “questo governo ha pochissime differenze rispetto a quelli che lo hanno preceduto, contro i quali abbiamo votato, ed il cui fallimento è registrato negli atti delle numerose crisi, sia per la formula politica del pentapartito, sia in larga parte per i suoi componenti, sia per i programmi e la capacità di realizzarli”, On. A. Pazzaglia, Ibidem, p. 36421.

188 “Nella illustrazione che l’onorevole Andreotti ci ha proposto del programma del Governo due

“l’accento posto sui nostri ritardi, sulle sfide che ci attendono, sulle trasformazioni che sono urgenti e necessarie in vista delle scadenze del mercato unico è certamente di per sé salutare. Bisogna ora evitare il rischio che il richiamo al ‘92 divenga una giaculatoria di rito, fatta di un elenco di buoni propositi destinati a rimanere a mezz’aria in attesa di bruschi risvegli”189.

Fu certamente curioso, come notarono parte del PCI e del gruppo della Sinistra indipendente, che a pronunciare queste parole fosse uno dei principali responsabili della crisi politica che aveva paralizzato il paese per ben due mesi senza però giungere a significative discontinuità nel programma di governo: Franco Bassanini non mancò infatti di ironizzare sulla “coerenza” del segretario PSI nel pronunciare quelle parole annunciando nello stesso tempo la fiducia da parte dei socialisti. Quella al governo Andreotti si caratterizzava, sin dalla nascita, come una fiducia a tempo determinato190.