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I problemi della filiera agricola nella Piana di Gioia Tauro

3.13 Il caso di Rosarno

3.13.4 I problemi della filiera agricola nella Piana di Gioia Tauro

Nei paragrafi precedenti abbiamo sottolineato come sul prezzo finale dei prodotti agricoli incidano diversi fattori: l’eccessivo numero di passaggi e mediatori e le infiltrazioni della criminalità organizzata che è riuscita a impossessarsi di tutti i passaggi intermedi.

Per esempio, sul settore del trasporto su gomma la criminalità organizzata mantiene una sorta di monopolio e riesce a farlo anche attraverso accordi che hanno superato la scala regionale: un’inchiesta della DDA di Napoli ha portato alla luce l’esistenza di un asse che collegava Cosa Nostra al clan dei casalesi per gestire il trasporto su gomma al sud e che si fondava anche sul consenso di alcuni clan calabresi. I piccoli trasportatori, pur di lavorare, avevano dovuto accettare le condizioni dei casalesi. Ma le infiltrazioni della criminalità non si limitano al trasporto su gomma: essi riescono a imporre un racket “indiretto” attraverso la fornitura alle aziende agricole di cassette da frutta, attraverso la gestione di distributori di benzina, il commercio all’ingrosso e addirittura attraverso la creazione di vere e proprie cooperative di conferimento frutta e di OP che si occupavano di gestire le truffe per ottenere i contributi europei.

Col tempo, la mafia è riuscita ad eliminare la concorrenza e ad imporre i suoi prezzi. Nonostante questo, per le organizzazioni di produttori e piccoli agricoltori GDO e multinazionali continuano ad essere le principali responsabili dell’abbassamento dei prezzi. Infatti, il rapporto di dipendenza tra aziende agricole e industrie di trasformazione a cui abbiamo precedentemente accennato è stato favorito anche dal

201Camilli A. (2016) “La filiera sporca delle arance italiane comincia a Rosarno” consultabile al link

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tipo di agrumi coltivato nella Piana: il biondo di Calabria, una varietà perfetta per succhi di frutta e aranciate.

Tuttavia, le multinazionali non acquistano gli agrumi, ma i succhi già spremuti dalle aziende della zona202. Fino a qualche anno fa in zona erano presenti molti spremitori, tutti storici e di piccole dimensioni e che soffrivano di un limite principale: avere come unico sbocco della produzione la vendita alle multinazionali. E’ proprio all’interno degli spremitori che sono sopravvissuti alla crisi che si è consumata l’ennesima truffa.

Per ogni litro di aranciata infatti è necessario il 12% di succo d’arancia: il problema del biondo calabrese è l’eccessiva amarezza che per le multinazionali non deve superare la soglia del 13%. Alcuni spremitori hanno risolto il problema attraverso l’importazione illecita di succo d’arancia proveniente dal Brasile che poi viene mescolato al succo calabrese: una pratica illegale, in quanto il succo proveniente dall’estero è soggetto a minori controlli e viene mischiato all’anidride solforosa per aumentarne la conservazione.

Il succo riesce ad arrivare nella Piana attraverso il passaggio in porti in cui i controlli sono più deboli: una volta giunto al Porto di Gioia Tauro è sufficiente modificare la bolla di trasporto per trasformare tonnellate di succo d’arancia estero in italiano. E’ lo stesso succo utilizzato da Coca Cola, che per anni si è rifornita nella Piana di Gioia Tauro ma che dopo le accuse per il ricorso ad aziende che sfruttavano la manodopera, ha deciso di abbandonare la zona e rifornirsi presso altre aziende siciliane. Sicuramente, la decisione di Coca Cola, presa in concomitanza alle vicende di Rosarno, più che a una condanna ai fenomeni di sfruttamento risponde a un processo di internazionalizzazione dei sistemi di approvvigionamento che determinano una maggiore convenienza del succo brasiliano203.

E’ assurdo pensare che in una terra ricca di agrumi, una grossa percentuale venga importata: eppure per gli spremitori, spesso in crisi, il ricorso a un succo proveniente dall’estero è divenuto uno dei modi per riuscire a sopravvivere in un mercato globale in cui pagare 7 centesimi per un chilo di arance è ancora troppo. Il prezzo del succo viene praticamente deciso a livello internazionale: aziende brasiliane riescono ad imporsi sul mercato attraverso prezzi bassissimi e riescono a farlo soprattutto perché detengono una sorta di oligopolio sulla produzione. Sono aziende di dimensioni

202Ibidem.

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enormi (alcune raggiungono i 100mila ettari di estensione) e che coprono il 70% della produzione mondiale204.

Una soluzione a questo problema potrebbe essere favorita da una ristrutturazione del tessuto aziendale della zona: le aziende potrebbero rafforzare e consolidare la loro presenza sul mercato evitando di concentrarsi esclusivamente sulla spremitura e sulla vendita alle multinazionali. Bisognerebbe cercare di favorire le attività delle industrie locali le quali non si limitano a vendere la spremitura, ma confezionano e commercializzano il prodotto con marchi propri.

Il mercato della trasformazione riesce ad assicurare redditi maggiori rispetto al mercato del fresco che, in quanto tale, è soggetto a limiti quali la stagionalità, il deperimento del prodotto nonché la bassissima percentuale di succo necessario per produrre un litro di aranciata. Esse potrebbero costituire un’alternativa alle multinazionali.

Un’altra soluzione potrebbe essere costituita dalla differenziazione dei prodotti nonché dagli investimenti in colture di qualità che non possano essere importate dall’estero. L’arancia rossa costituisce un esempio di questa strategia in quanto è un tipo di agrume con provenienza totalmente italiana. Naturalmente il ricorso a colture non sostituibili non costituirebbe una soluzione definitiva, soprattutto in quei luoghi in cui lo sfruttamento dei lavoratori è generalizzato, ma potrebbe gettare le basi per la nascita di un mercato dotato di una redditività maggiore e, di conseguenza, con maggiori probabilità di ridistribuire in maniera equa i redditi lungo la filiera205.

3.13.5 Caratteristiche della manodopera straniera nella Piana di Gioia Tauro.