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Il costo del lavoro è il motivo principale per cui gli imprenditori agricoli decidono di impiegare manodopera straniera. Naturalmente, non solo gli stranieri sono interessati da fenomeni di sfruttamento ma noi, considerato l’argomento del lavoro, parleremo esclusivamente di questa categoria.

Gli stranieri rispondono alle esigenze degli imprenditori agricoli per diverse ragioni148:

• innanzitutto, un lavoratore straniero è alla ricerca di un salario che gli permetta di vivere e di inviare qualcosa alla sua famiglia nel paese d’origine. Egli accetta facilmente un salario inferiore al salario minimo legale a condizione che la paga gli consenta di prolungare la sua permanenza. Per questo motivo il lavoratore straniero è molto più flessibile del lavoratore autoctono: per lui il salario minimo è in realtà il salario massimo.

• I decreti flussi cercano di rispondere con cadenza annuale alle esigenze di flessibilità e stagionalità dei datori di lavoro e tuttavia, l’immigrazione illegale e il ricorso alle varie categorie di stranieri di cui abbiamo parlato giocano un ruolo complementare rispetto all’immigrazione regolare. In questo modo l’imprenditore dispone di un eccesso di manodopera, ossia di un numero aggiuntivo di lavoratori che possono essere “assunti e licenziati” a seconda delle necessità del momento. I lavoratori stranieri stagionali regolari godono in linea di principio di alcuni diritti che limitano la loro flessibilità:

147Avallone G. “Sotenibilità, agricoltura e migrazioni. Il caso dei lavoratori immigrati

nell’agricoltura del sud d’Italia” pp.112-115 in CULTURE DELLA SOSTENIBILITÀ. Vol. 2°

Semestre 2011. Pag.107-118.

148 Berlan J.P. “Agriculture et migrations” pp.17-18, in Revue europeénne des migrations

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Berlan a tal proposito più che di flessibilità parla di “fluidità”. L’immigrazione irregolare è indispensabile perché è caratterizzata da una “superfluidità”.

• Berlan parla inoltre di un problema che probabilmente non si adatta ai contesti da noi studiati. Egli spiega come un eccesso di manodopera non costituisca necessariamente un vantaggio per i datori di lavoro: salari troppo bassi possono infatti scoraggiare l’immigrazione. “Sì all’immigrazione irregolare, ma controllata! In breve: sì alla superfluidità, no alla superfluidezza”. Eppure, questo discorso non può applicarsi a territori in cui il bacino di manodopera a basso costo risulta illimitato perché, per esempio, vicini a Centri di Accoglienza in cui gli immigrati sono costretti a rimanere per mesi: i datori di lavoro possono continuare a giocare al ribasso perché sicuri di poter fare affidamento a canali di reclutamento pressoché infiniti. Per esempio, nel caso di Rosarno per anni la presenza di braccianti stranieri è stata di molto superiore alle reali esigenze: in un contesto di particolare sfruttamento, i datori di lavoro hanno potuto esercitare una pressione sui salari ancora maggiore anche attraverso meccanismi di sostituzione etnica. • L’intermediazione illecita è ottima per le caratteristiche che hanno assunto

oggigiorno le aziende agricole in quanto consente all’imprenditore di un’azienda, specie se di grandi dimensioni, di potersi interfacciare con un unico interlocutore. Soprattutto in determinati periodi dell’anno, come ad esempio quello della raccolta, per l’imprenditore può essere problematico doversi occupare dell’assunzione di un grande numero di lavoratori ed è per lui più semplice fare affidamento ad intermediari piuttosto che ad agenzie interinali.

Da queste premesse sembra che lo sfruttamento della manodopera straniera sia inevitabile e quasi “voluto” dagli stessi lavoratori in un’ottica deterministica delle traiettorie migratorie, le quali vanno ad inserirsi in contesti caratterizzati da una particolare struttura delle aziende agricole e da un grado molto alto di specializzazione delle colture.

Alcuni studiosi hanno per esempio ipotizzato che la disponibilità a lavorare in pessime condizioni sia il frutto di un’auto-rappresentazione che i migranti hanno di

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sé stessi: Perrotta149 fa l’esempio dei lavoratori romeni, i quali accettano di lavorare

per tutta la settimana, anche la domenica e con turni di 10 o 12 ore. A tal proposito egli parla di disposizione auto-predatoria, che li porta a massimizzare l’esperienza migratoria: alla continuità presso uno stesso datore di lavoro essi preferirebbero la convenienza delle nuove offerte di lavoro che li spinge a spostarsi continuamente in zone diverse e per mansioni diverse.

La propensione all’auto-sfruttamento sarebbe anche il motivo per cui solo raramente si generano delle proteste fra i lavoratori: per esempio, nella Piana di Gioia Tauro fino al 2008 i lavoratori non sono riusciti ad organizzare proteste significative, neppure con l’aiuto dei sindacati.

Di fatto, l’azione congiunta dei datori di lavoro e delle politiche pubbliche ha prodotto una gerarchizzazione dei lavoratori che ha poi influito sulle possibilità di riuscita delle proteste. Il datore di lavoro non deve neppure preoccuparsi di evitarle: esse sorgono raramente e sono ostacolate dalla concorrenza tra i lavoratori e dalla discontinuità della loro presenza sul territorio150.

Altri autori, per spiegare la disposizione all’auto-sfruttamento hanno fatto riferimento al contesto culturale di partenza degli immigrati, in cui spesso non esiste una distinzione precisa tra lavoro e vivere quotidiano. In questi luoghi, soprattutto in Africa, il concetto tradizionale di lavoro salariato non è sufficiente a spiegare la variabilità delle attività produttive (che si basano principalmente sul lavoro comunitario e tradizionale), e l’inserimento nel mercato del lavoro che è determinato dalla posizione sociale. Questi elementi aiuterebbero a capire il perché della propensione dei migranti africani ad accettare situazioni lavorative di profondo disagio151. Ma sarebbe comunque una spiegazione parziale.

Infatti, come abbiamo già accennato, diversi fattori incidono in maniera negativa sulla capacità dei lavoratori stranieri di organizzare delle forme di resistenza allo sfruttamento. Innanzitutto il loro status giuridico che li pone nella maggior parte dei casi in una condizione di vulnerabilità: per esempio, il rischio del rimpatrio riesce a limitare la capacità d’azione del migrante nel caso in cui egli possieda un permesso di soggiorno ma rischi di perderlo a seguito della perdita del lavoro, ma anche qualora sia un irregolare e quindi facilmente ricattabile. Questa condizione, definita

149Perrotta D. “Vite in cantiere. Migrazioni e lavoro dei rumeni in Italia” Il Mulino, Bologna 2011. 150Sivini G. (2005), op. già citata p.169.

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da De Genova152 di “deportabilità” determina un rischio che condiziona le scelte del

migrante.

Un altro aspetto che abbiamo sottolineato più volte si ricollega alla composizione della presenza straniera in Italia, sempre più interessata da flussi di migranti forzati. Ciò ha generato una “refugeeization”153 di segmenti specifici della manodopera.

Molti lavoratori preferiscono mantenere il permesso di soggiorno per protezione internazionale piuttosto che convertirlo in un altro per motivi di lavoro. Questa scelta è inoltre determinata dalle difficoltà a rispettare i requisiti per mantenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Un altro elemento di cui abbiamo già parlato è la sproporzione tra la domanda e l’offerta di lavoro: la concorrenza fra i lavoratori che, nella quasi totalità dei casi, sono in numero maggiore rispetto all’offerta genera una situazione in cui il datore di lavoro può avviare una corsa al ribasso dei salari senza per questo rischiare di restare senza manodopera a sufficienza.

Inoltre, la stagionalità obbliga i lavoratori a rimanere sullo stesso territorio solo per alcune settimane, di fatto azzerando le possibilità che si creino rapporti stabili per avviare eventuali proteste.

3.5 La pratica del contoterzismo in agricoltura: un altro modo di sfruttare