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4.2 Problemi nella definizione dell’unità analitica

4.2.1 I piccoli comuni

Aree interne, aree fragili, aree marginali: un lessico molto vario e molto ampio, utilizzato di volta in volta per indicare luoghi che vivono il fenomeno dello spopolamento, con servizi scarsi e alti livelli di disoccupazione. A queste zone se ne affiancano altre, i piccoli e piccolissimi comuni, (ossia quelli con una popolazione inferiore ai 5mila abitanti) realtà variegate e molto diffuse nel contesto italiano: essi

mobilità geografica. Memorie della Società Geografica Italiana” (a cura di) Società Geografica

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rappresentano il 69,9% dei comuni italiani (5.627 su un totale di 8.047)262. Come già

anticipato, una grossa percentuale di stranieri decide di insediarsi in questi luoghi: sugli oltre 5 milioni di stranieri residenti in Italia, più di 600mila risiedono in comuni di piccole e piccolissime dimensioni263.

In media, la presenza straniera in Italia si caratterizza per essere abbastanza diffusa e distribuita tra città e campagna: questo elemento si riflette anche nel tasso di crescita della presenza straniera che è simile nelle due zone. Tuttavia, nella classifica dei comuni con una percentuale di residenti stranieri superiore al 20% i primi cento posti sono occupati da comuni di piccole e medie dimensione: moltissimi hanno una popolazione inferiore ai mille abitanti264. Questo è dovuto anche alle caratteristiche della distribuzione della popolazione italiana su scala comunale: infatti, quasi la metà degli italiani vive in centri di dimensioni ridotte, al di sotto dei 20mila abitanti. Il carattere diffusivo dei centri abitati spiega anche la conformazione del comparto industriale che in Italia si fonda sulla piccola e media impresa: come accennato nel primo capitolo, a partire dagli anni ’80 le imprese italiane hanno potuto puntare sulla manodopera straniera, generalmente a basso costo, e soprattutto nei periodi di crisi. Dunque, se teniamo in considerazione questi elementi non stupiscono le modalità di insediamento della popolazione straniera. Tuttavia, il caso dei piccoli comuni è interessante soprattutto alla luce dei modelli di integrazione che si sono costituiti nel corso degli anni: in generale, lo studio della presenza straniera in queste realtà può meglio mettere in luce i pro e i contro delle politiche attivate da questi enti e il cui universo si presenta come estremamente variegato ed eterogeneo265, ma anche dell’efficacia delle politiche avviate su scala nazionale e che dispiegano i loro effetti a livello locale.

Inoltre, rispetto alle grandi città i piccoli comuni rappresentano un’unità d’analisi interessante anche per il livello di complessità istituzionale, che risulta minore in questi ultimi: infatti, nei piccoli comuni interagirebbero un numero minore di attori (ci sarebbe un livello più basso di reticolarità) e questo consentirebbe di studiare meglio il fenomeno e di gestire in maniera più immediata eventuali conflitti266.

262 A.N.C.I. “Atlante dei piccoli comuni 2015”, p.10. 263 Ivi, p.34.

264Comuniverso. Il motore di ricerca dei comuni italiani, consultabile al link

http://www.comuniverso.it/index.cfm?Comuni_con_piu_cittadini_stranieri_percent&menu=506

265 Balbo M. “Migrazioni e piccoli comuni” Franco Angeli, Milano 2015, pp. 7-8. 266 Ivi, p.11.

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La varietà delle politiche di inclusione messe in atto (o mai messe in atto) dai comuni, soprattutto negli ultimi 20 anni, è dipesa innanzitutto dalle categorie di immigrati che hanno deciso (o che non hanno deciso) di risiedere stabilmente in questi luoghi: naturalmente il riferimento alle diverse categorie di stranieri è imprescindibile e ne capiremo meglio l’importanza più avanti, quando parleremo di alcuni piccoli comuni e dello sviluppo delle loro politiche per l’immigrazione. Se per esempio facciamo riferimento alla categoria dei rifugiati e dei richiedenti asilo, non possiamo non notare come lo spontaneismo di alcuni progetti d’accoglienza nati nel corso degli anni ’90 abbia costituito l’input di programmi che si sono evoluti nel corso degli anni, che tuttora esistono e che sono considerati esempi da seguire. Nonostante ciò, costituendo “esperienze” isolate e minoritarie non possiamo riferirci ad esse come ad un “modello”. In questo senso, anche il sistema Sprar si fonda sulla scelta volontaria degli enti locali di costituire progetti di accoglienza e questo ne ha per lungo tempo limitato la portata.

Un altro problema relativo all’individuazione dell’unità analitica di base risiede nella mancata esistenza di una definizione precisa della categoria dei piccoli comuni. Innanzitutto, bisogna sottolineare come, laddove non esista una definizione specifica, per indicare la categoria dei piccoli comuni si faccia riferimento alla soglia dei 5mila abitanti. All’interno di questa categoria rientrano poi i “piccolissimi” comuni, ossia quelli con una popolazione inferiore ai mille abitanti: in totale, nei piccoli comuni vive solo il 17% della popolazione ma, in generale, circa metà degli italiani vive in comuni con meno di 20mila abitanti. Tuttavia, la dimensione della popolazione residente diviene riduttiva se non consideriamo anche altri fattori: la collocazione geografica del comune (sulla costa, in pianura, in montagna); la distanza dai poli urbani più grandi; il far parte di conurbazioni metropolitane; l’essere inseriti all’interno di distretti industriali dinamici267.

Dunque, se non per la dimensione demografica, risulta quindi impossibile ricorrere alla nozione di “piccoli comuni” come ad una categoria in quanto essi fanno riferimento a contesti spaziali, economici e sociali estremamente differenti: abbiamo comuni costieri che si sono sviluppati soprattutto grazie al mercato della seconda casa negli anni ’70 e ‘80; comuni delle aree rurali e alpine a rischio spopolamento;

267 Ivi, pp7-8.

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comuni che sono stati inglobati in conurbazioni più grandi a causa dell’espansione di alcune metropoli.

Proprio su quest’ultimo punto si fonda un altro elemento che contribuisce a differenziare i piccoli comuni: è chiaro come la forza di attrazione esercitata da alcune grandi realtà urbane limitrofe contribuisca a rendere più appetibile la permanenza nei piccoli comuni di queste aree, elemento che però in generale non riscontriamo in alcuni “sistemi deboli” in Calabria e in cui tuttavia si registrano alti tassi di presenza straniera. In questo capitolo citeremo alcuni casi relativi proprio a quest’ultima categoria.

Sulle motivazioni che comportano la decisione dello straniero di vivere in comuni di piccole dimensioni sembra incidere la “bassa complessità sociale” a cui faceva riferimento anche il Cnel per il calcolo dell’indice di attrattività territoriale: questa caratteristica favorirebbe l’inserimento del migrante, che potrebbe contare su un accesso più facile non solo ai servizi, ma anche alle relazioni personali e alle istituzioni268.

In quest’ottica i piccoli comuni costituirebbero spazi meno “impermeabili e resistenti269” in quanto avvantaggiati da una dimensione demografica ridotta.

Tuttavia, alcuni autori si sono chiesti se, soprattutto in una prima fase, l’insediamento dei migranti avvenga perlopiù negli spazi “interstiziali”, di cui i piccoli comuni costituiscono una rappresentazione, e se questo non contribuisca a rendere la loro presenza ancora più “invisibile”. Da un lato, il fatto di essere parte di una minoranza (gli stranieri) e, nell’ambito di questa minoranza, di fare riferimento a diversi gruppi etnici contribuisce a trasferire un’immagine frammentata e distorta della popolazione straniera. Dall’altro, a questo elemento corrisponde la difficoltà per gli stranieri di costituire una massa critica che riesca ad interloquire con le istituzioni, anche in realtà dalle dimensioni ridotte come i piccoli comuni270.

Abbiamo già fatto riferimento al carattere diffuso che assume la distribuzione della presenza straniera in Italia e che va a sfumare la dicotomia esistente tra grandi città e piccoli comuni: questo ci fa capire come la presenza degli stranieri nei piccoli centri non costituisca un fenomeno marginale o una scelta di ripiego ma faccia parte di progetti migratori mirati. Sulla decisione di andare a vivere in piccoli comuni

268 Ibidem.

269 Papotti D. (2001), op. già citata p. 313. 270 Ibidem.

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influiscono il costo delle abitazioni ma anche la congiuntura economica favorevole o sfavorevole: infatti, è stato osservato come sia soprattutto nei momenti di crisi economica che la destinazione principale dei flussi migratori diventi la grande città, luogo in cui generalmente è più facile trovare lavoro o in cui esistono comunità etniche radicate.

I piccoli comuni sono la destinazione di chi decide di investire in progetti migratori più stabili, soprattutto nei momenti di prosperità economica.

Per confermare tale andamento possiamo fare riferimento alla distribuzione per età degli stranieri residenti: nei piccoli comuni interessati da una percentuale significativa di stranieri, la percentuale di minori stranieri fino ai 14 è superiore alla stessa percentuale calcolata per i minori di 14 anni italiani. I piccoli comuni sarebbero maggiormente interessati da flussi di tipo “familiare”, cosa che avviene meno nelle grandi città, meta di uomini giovani e soli che “tentano la sorte”271.

Le diverse scelte in merito alla destinazione finale sembrano inoltre dipendere dall’elemento della nazionalità che si lega a quello della specializzazione in alcune attività lavorative: la propensione per alcune nazionalità ad insediarsi nei centri minori deriverebbe dallo specifico tessuto economico che caratterizza questi luoghi, così come dall’esistenza di reti migratorie consolidate. Per esempio, nei piccoli comuni si registra una percentuale alta di indiani (impiegati nel settore agricolo), macedoni (specializzati nell’edilizia), senegalesi (legati all’ambulantato) ma anche marocchini, albanesi e tunisini ossia comunità di più antica immigrazione.

Al contrario, cittadini provenienti da paesi come Ecuador, Filippine o Bangladesh preferiscono insediarsi nei grandi centri urbani, dove possono contare sull’appoggio di più grandi e radicate comunità e dove la loro presenza è tradizionalmente legata ad attività nel settore dei servizi, della cura alla persona e della ristorazione272.