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4.4 Riace, Badolato e la “Dorsale dell’Ospitalità”

4.4.2 La creazione di un nuovo modello di accoglienza

L’evento che ha cambiato il destino di Riace e di altri comuni limitrofi risale al 1997, quando sulla costa jonica calabrese in pochi mesi sbarcarono circa 1.500 migranti provenienti perlopiù dal Kurdistan iracheno e dal Pakistan: sulla spinta di quella che allora venne definita “emergenza”, i sindaci della zona si mobilitarono per dare accoglienza agli immigrati297.

Badolato.

Nonostante negli ultimi anni l’esperienza di Riace sia diventata nota a livello internazionale, è a Badolato che vengono gettate le basi per un’idea che nel corso dei successivi vent’anni si sarebbe evoluta fino a diventare un vero e proprio modello. Nel dicembre del ’97 sulla costa nei pressi di Badolato giunge la nave Ararat, con

296 Mmrtinelli F. & Sarlo A. (2016), op. già citata.

297 Dominijanni I. (2016), “La restituzione di Riace” consultabile al link

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circa 800 persone a bordo: l’allora sindaco di Badolato, Gerardo Mannello, decise di ospitare i migranti nelle case abbandonate del centro storico298.

Infatti, come già accennato sopra, a partire dal secondo dopoguerra questo Comune è stato segnato da un drastico calo demografico: per denunciare il fenomeno dello spopolamento che stava mettendo a rischio la sopravvivenza del Comune nel 1986, con una mossa provocatoria, Badolato venne messa “in vendita”. L’emigrazione, lo spopolamento e il trasferimento degli abitanti nella frazione costiera avevano quasi svuotato l’antico borgo che viveva una situazione di paralisi economica e bassissimi livelli occupazionali299. Per questi motivi, l’ospitalità e la solidarietà iniziali determinate dalla necessità di gestire l’emergenza si trasformarono ben presto in un progetto di accoglienza diffusa in grado di sfruttare l’inutilizzato capitale sociale, economico e immobiliare del Comune.

Stiamo parlando di un Comune di piccole dimensioni (poco più di 3mila abitanti), in cui il saldo naturale si è mantenuto negativo in maniera costante negli ultimi 15 anni. L’idea di base era quella di affiancare alle necessità strettamente umanitarie relative all’accoglienza un progetto di ripopolamento e rigenerazione urbana: erano anni in cui non si parlava di accoglienza diffusa (lo Sprar, nella forma in cui lo conosciamo oggi, sarebbe nato solo nel 2002) e in cui il modello principale di accoglienza era già quello dei grandi centri300.

Negli anni seguenti, grazie alla collaborazione con altri attori, il progetto è cresciuto: dapprima il CRIC- Centro Regionale di Intervento per la Cooperazione, poi il CIR- Consiglio Italiano Rifugiati e infine la cooperativa francese Longo Mai si sono uniti per collaborare alla riuscita del progetto. Il CRIC è stato fondamentale nella fase iniziale in quanto si è principalmente occupato di definire la strategia progettuale: grazie a questa collaborazione, il Comune di Badolato riuscì ad affittare per una cifra simbolica le case vuote del centro storico per destinarle all’accoglienza dei migranti. In una logica diversa da quella assistenzialista, i migranti vennero incoraggiati ad avviare attività commerciali mentre altri trovarono impiego nell’agricoltura e nell’edilizia. L’interazione tra attori locali, nazionali e internazionali e la crescita del progetto contribuirono a mobilitare il supporto pubblico: con l’aiuto dei Ministero per le Politiche Sociali alcune case abbandonate del centro storiche vennero

298 Comune di Badolato “I primi passi verso l’accoglienza” consultabile al link

http://www.comune.badolato.cz.it/index.php?action=index&p=497

299 Ibidem.

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ristrutturate, il Cir divenne il referente del progetto e la cooperativa Longo Mai iniziò una campagna di promozione per il turismo a Badolato: l’idea era quella di creare un “albergo diffuso” in grado di rivitalizzare il centro storico301. Inoltre, il Cir aprì qui

una propria sede, attiva ancora oggi.

Tuttavia negli anni seguenti le divergenze tra alcuni di questi attori hanno contribuito a ridurre la visibilità di questa esperienza: il CRIC abbondonò il progetto a causa delle differenze di vedute per la gestione dei fondi ministeriali e avviò un’iniziativa simile nella vicina Riace. Nonostante questo Badolato da “paese in vendita” si è trasformato in un punto di riferimento per i progetti di accoglienza diffusa, in cui gli immigrati sono diventati l’incipit e il mezzo per cercare di arginare fenomeni quali lo spopolamento e l’abbandono302.

Riace.

Riace ha attraversato un percorso simile: nel 1998 circa 300 migranti sbarcarono sulle coste nei pressi del comune. Le dinamiche demografiche di Riace sono del tutto uguali a quelle vissute da Badolato: fino ad allora, il Comune aveva visto diminuire progressivamente la propria popolazione e gli unici flussi migratori di cui era stata protagonista erano stati quelli in uscita. Lo stato di abbandono del paese era accentuato dallo spostamento delle famiglie nelle zona costiera: a tal proposito il Sindaco di Riace, Domenico Lucano, parla di un “destino di rassegnazione” interrotto dall’improvviso arrivo del barcone carico di migranti303.

Così come a Badolato, i migranti vennero accolti negli stabili abbandonati della parte antica situata sulla collina e in cui vivevano circa 600 persone, per lo più anziane. A seguito di quello sbarco, alcuni volontari si riunirono nell’associazione “Città Futura” “con l’intento di trasformare Riace in una città dell’accoglienza304”: a partire

dal ’99 l’associazione riuscì ad ottenere l’assegnazione di alcune case abbandonate del borgo antico per avviare la creazione di quello che sarebbe diventato “Riace

301 Comune di Badolato “I primi passi verso l’accoglienza” consultabile al link

http://www.comune.badolato.cz.it/index.php?action=index&p=497

302 Martinelli F. & Sarlo A. (2016), op. già citata pp. 18-19.

303 Elia A. “Forme di Radicamento e strategie di stigmatizzazione all’arrivo dei rifugiati nel Sud

Italia” in Fantozzi P. et al. “Le sfide del multiculturalismo” (a cura di), Rubettino Editore, Soveria

Mannelli 2015, p. 143.

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Village”, ossia un sistema di ospitalità diffusa destinato a richiedenti asilo e turisti solidali305.

L’Associazione nel tempo è riuscita a definire i punti di una strategia chiara e quindi non solo il recupero degli stabili abbandonati, ma un progetto più ampio che mettesse al centro la rigenerazione dello spazio urbano e della sua economia306.

Nello specifico: la creazione di nuovi spazi pubblici; il recupero di attività artigianali tradizionali; la valorizzazione del progetto al di fuori del contesto locale. Venne quindi restaurato l’antico palazzo Pinnarò, da allora utilizzato per incontri culturali e in cui è stato inoltre installata un’esposizione sulla memoria locale; per facilitare l’interazione tra popolazione autoctona e rifugiati sono state avviate diverse attività per il recupero dei saperi tradizionali, quali l’utilizzo del telaio e la lavorazione della ceramica; grazie al coinvolgimento di attori nazionali e internazionali (anche qui ha giocato un ruolo determinante la cooperativa francese Longo Mai) il progetto “Riace Village” è riuscito ad acquistare visibilità ed anche risorse economiche307.

Nel 2000, Domenico Lucano, che era uno dei fondatori dell’Associazione venne eletto nel consiglio comunale di Riace.