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L’indice di attrattività territoriale misurato dal Cnel può aiutarci nella valutazione del fenomeno immigrazione in Calabria. E’ un indice che misura la capacità di un territorio di attirare e mantenere al suo interno la presenza straniera.

Per calcolare l’indice complessivo sono stati tenuti in considerazione diversi indicatori: viene calcolato l’indicatore d’incidenza, ossia la percentuale dei residenti stranieri sulla popolazione complessiva; l’indicatore di ricettività migratoria interna, ossia il rapporto tra gli stranieri che, nel corso di un anno, hanno spostato la propria residenza da un Comune a quello preso in considerazione e viceversa; l’indicatore di stabilità, ossia la percentuale di minori stranieri; l’indicatore di natalità, ossia il numero di stranieri nati nel corso dell’anno; l’indicatore di incremento annuo.

La Calabria si colloca al quint’ultimo posto della classifica nazionale, con un punteggio di 18,1 su 100.

Quello che è considerato dal Cnel uno dei modi principali per valutare l’attrattività di un territorio è l’indicatore d’incidenza sulla popolazione residente. Questo indice sarà utile all’analisi dei nostri casi di studio anche nel quarto capitolo, quando vedremo come l’incidenza risulti centrale soprattutto nei comuni di piccole dimensioni, quali quelli da noi considerati.

Nella graduatoria delle regioni considerate per questo indicatore, la Calabria si colloca al 14° posto: tuttavia, dobbiamo considerare che, rispetto all’anno considerato dal Cnel per i dati, la popolazione calabrese è diminuita, scendendo sotto i 2 milioni di abitanti, mentre la popolazione straniera residente è aumentata costantemente, passando da 74mila a più di 100mila.

Per quanto riguarda la scala provinciale, ai primi due posti troviamo le province di Cosenza e Reggio Calabria, rispettivamente con un punteggio di 23,1 e 22,5. La provincia di Cosenza presenta una percentuale molto alta soprattutto nell’indicatore di ricettività migratoria interna (46,7).

A livello regionale questo stesso indicatore risulta bassissimo (28,1): la Calabria si colloca al penultimo posto dimostrando come, per lo meno per le presenze stabili, essa sia ancora una regione di “passaggio”.

104Le informazioni utilizzate per questo paragrafo sono reperibili in “Indici di integrazione degli

immigrati in Italia” IX Rapporto (2013) a cura del Consiglio Nazionale dell’Economia e del

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Il Cnel ha inoltre calcolato l’indice potenziale d’integrazione degli immigrati. Questo indice, che misura le possibilità occupazionali e di inserimento sociale, ha subito un notevole peggioramento in generale su tutto il territorio nazionale soprattutto a causa della crisi.

A conferma di ciò, i dati raggiunti dalle posizioni di vertice a livello nazionale, risultano notevolmente più basse rispetto agli anni precedenti: più in generale quindi, la crisi ha comportato l’indebolimento di quelle dimensioni che determinano materialmente l’integrazione dell’immigrato a livello locale.

Il Cnel sottolinea come vi sia un livello d’integrazione maggiore non nelle grandi realtà urbane ad alta complessità sociale e “caratterizzate da una forte concentrazione demografica, da una vita più frenetica e competitiva, da meccanismi selettivi (quando non escludenti), da strutture (e sovrastrutture) di mediazione che regolano i rapporti sociali rendendoli sempre più indiretti e anonimi, aumentando così il senso di estraneazione, di marginalizzazione, di non appartenenza105”, ma in contesti più piccoli.

A tal proposito, è significativo il fatto che due città come Roma e Milano (i due poli di concentrazione per eccellenza degli immigrati) abbiano visto ridurre il proprio potenziale d’integrazione andando così ad occupare la zona bassa della classifica su base provinciale.

La Calabria è all’ultimo posto della classifica nazionale con un punteggio di 36,8. A livello provinciale Catanzaro si trova al 78° posto mentre Crotone al 101° posto su un totale di 103 province. Fino al 2009 Reggio Calabria occupava il 65° posto della classifica nazionale, adesso è al 99°.

L’Indice di inserimento sociale misura l’accessibilità per gli immigrati ad alcuni beni fondamentali e al sistema di welfare, nonché il grado radicamento sociale attraverso la valutazione delle competenze linguistiche e il riconoscimento di alcuni status giuridici quali l’acquisizione di cittadinanza e le naturalizzazioni. Su scala nazionale la Calabria è terz’ultima, con un punteggio di 39,4.

Più nel dettaglio, la valutazione dei singoli indicatori può spiegare meglio la posizione della Calabria.

105Ivi, p.17.

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Con “beni fondamentali” s’intende per esempio la casa: la Calabria raggiunge un punteggio molto alto (96,7 su 100) per l’indicatore di accessibilità al mercato immobiliare, il quale tuttavia si calcola sul prezzo medio al mq degli affitti e quindi potrebbe risentire di una distorsione dovuta alle differenze tra grandi centri urbani e comuni di piccole dimensioni.

Punteggi altrettanto alti si registrano per l’indicatore di istruzione liceale (62,1) e di competenza linguistica (59,8): quest’ultimo è calcolato sulla percentuale di test di lingua superati per l’acquisizione di un permesso di soggiorno di lungo periodo. A conferma della posizione della regione quale “terra di transito” evidenziamo i punteggi ottenuti per gli indicatori che forniscono informazioni relative alla stabilità del soggiorno: 1,0 per il tasso di naturalizzazione e di soggiorno stabile (calcolato sul numero dei permessi di soggiorno di lungo periodo); 15,8 per l’indicatore di radicamento (calcolato sul numero di permessi di soggiorno per motivi familiari sul totale dei permessi di soggiorno di durata limitata).

L’ultimo indice considerato è quello d’inserimento occupazionale che vede anch’esso la Calabria in penultima posizione. In particolare, risultano bassissimi (1,0) il tasso d’impiego lavorativo degli immigrati e di tenuta occupazionale, a dimostrazione della forte precarietà del mercato del lavoro calabrese, caratterizzato perlopiù da contratti part-time e stagionali.

Di contro, la Calabria registra tassi molto alti per l’indice di lavoro in proprio (è al 4° posto con un tasso di 72,8) probabilmente dovuto al fatto che gli immigrati, per non perdere il permesso di soggiorno, decidano di avviare attività in proprio. Elemento ulteriormente confermato dal tasso d’imprenditorialità straniera che è del 7,6%.