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Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto

Bruno Bettelheim ha scritto il più signifi cativo volume sulla ge- nitorialità di tutto il Novecento. Infatti, A Good Enough Parent, pubblicato a New York nel 1987 e subito tradotto in Italia con il famoso titolo Un genitore quasi perfetto, è il più sublime poema pedagogico sulla maternità e sulla paternità che la cultura dell’in- fanzia abbia prodotto. Poiché l’idea di infanzia e di genitorialità si è venuta consolidando solamente nel Novecento, è possibile af- fermare che questo volume riassuma in un unico affresco, dipinto per mano di Bettelheim, una categoria, un concetto, un’idea che si sono venute consolidando in un passato relativamente molto recente. La centralità del bambino per la vita della famiglia e la centralità della famiglia per la vita del bambino sono due versioni della medesima ricerca: come rendere ragione della trasformazio- ne della felicità, dall’infanzia all’adultità, attraverso l’esplorazione dei legami affettivi che determinano le comunicazioni dell’uomo con il mondo e la sua possibilità di essere e di darsi all’esistenza. Bettelheim nasce agli inizi del secolo scorso, nel 1903, nella Vienna ancora centro della cultura mitteleuropea, brulicante di passaggi scientifi ci e letterari, cuore della psicoanalisi che proprio in quegli anni vedeva una contaminazione sempre più profonda con gli am- bienti letterari europei. Bettelheim non ha avuto una formazione medica, ma psicoanalitica. L’esperienza che segnò la sua vita fu l’in- ternamento, avvenuto nel 1938, nel campo di concentramento di Dachau, da cui uscì nel 1939, anno della sua emigrazione negli Sta- ti Uniti d’America. La prigionia gli permise di comprendere la con- dizione estrema di chi vive ai margini della sofferenza ambientale e psichica. Capì il signifi cato di ‘ritiro dal mondo’ che i prigionieri operavano su se stessi, scomparendo dal loro medesimo orizzonte esistenziale, avviandosi, così, a una morte certa. Capì, per questo, il signifi cato dell’interruzione di comunicazione che veniva agito come estremo tentativo di difesa. L’abbandono era l’ultima difesa che i musulmaner mettevano in atto contro i propri aguzzini. La resistenza poteva agire solamente in coloro che avevano una spe- ranza dettata dalla fede immanente o trascendente, ma fede in un ‘oltre’ che proviene dal credere a un estremo atto di salvezza.

2 Bettelheim B., Un genitore quasi perfetto, (1987), trad. it., Milano, Feltrinelli, 1987, pp. 170-177.

Fin dagli anni Quaranta del Novecento, per circa trent’anni, ha diretto la Sonia Shankman Orthogenic School dell’Università di Chicago, un istituto per bambini disadattati, con disagi psichici o fi sici che, sostanzialmente, le famiglie non erano in grado di accu- dire. Qui si dedicò, con particolare interesse, alla cura di bambini autistici, elaborando una delle teorie più diffuse sull’autismo.

Nel 1967 pubblicò l’avvincente volume Una fortezza vuota proprio su tre casi di autismo. Si è dedicato con raffi nata attenzione all’analisi delle fi abe e ha pubblicato nel 1976 il volume Il mondo

incantato consegnando a tutti gli educatori un testo prezioso per la

lettura psicoanalitica, ma proprio per questo universale, degli ar- chetipi profondi che le fi abe rappresentano per ogni bambino, ma anche per ogni adulto. Ha indicato la forza primordiale che il mito esercita sulle culture attraverso le fi abe e come, attraverso queste, si comunichi ad ogni bambino la trama vergine della vita stessa.

X — W

Esplorare la nostra infanzia da adulti

Tra le esperienze più preziose, anche se meno considerate, che la condizione di genitori ci offre è la possibilità di analizzare, rivivere e risolvere nel contesto del rapporto con i fi gli i problemi della nostra infanzia. […] Solo ripercorrendo sempre di nuovo tutti i passaggi che ci hanno portato a essere noi stessi è possibile

conoscere veramente le nostre esperienze infantili e scoprirne il

signifi cato. La conoscenza così raggiunta modifi cherà l’infl usso stesso di quegli eventi sulla nostra personalità. Si modifi cherà il nostro atteggiamento verso le nostre esperienze, e con esso an- che l’atteggiamento verso le analoghe esperienze dei nostri fi gli. L’aumentata conoscenza di noi stessi ci porterà inevitabilmente a una maggiore comprensione dei nostri fi gli, soprattutto, quando tali nuovi squarci di consapevolezza vengono raggiunti grazie al rapporto con loro.

Purtroppo quasi tutte le nostre primissime esperienze sono perdute per la memoria cosciente, perché sono avvenute troppo presto per lasciare altro che una traccia molto vaga nella nostra mente. Ma se non le possiamo rivivere, possiamo almeno esplo- rarne con l’immaginazione alcuni aspetti, osservando come nostro

fi glio risponde nei primi mesi di vita ai propri processi interiori, a noi, a tutto il mondo.

Per esempio, se ci rendiamo conto di come il mondo di veglia del lattante consista esclusivamente di due opposte esperienze, feli- cità e benessere fi sico da un lato, e infelicità e dolore fi sico dall’al- tro, potremo capire meglio l’origine e la natura ambivalente di tut- te le emozioni di grande intensità, poiché di norma è il genitore che, allattandolo o cambiandolo […], modifi ca la sua condizione di infelicità trasformandola in uno stato di benessere, il lattante vive il genitore come un essere onnipotente, come la fonte di tutta la felicità e infelicità, come colui che può dare tutto o tutto negare. In tal modo l’ambivalenza viene per così dire incorporata nell’incon- scio, specialmente in relazione ai genitori. Anche in seguito, i loro surrogati, i maestri e gli educatori più importanti, continueranno a dispensare piacere e dolore, per esempio lodandoci oppure biasi- mandoci o causandoci delle frustrazioni. In tal modo, gli originari sentimenti di ambivalenza, così profondamente radicati nel nostro inconscio, continuano a essere alimentati dalle innumerevoli espe- rienze della nostra vita quotidiana.

Comprendere l’origine infantile della nostra ambivalenza, so- prattutto nei confronti dei genitori, ci può aiutare a capire meglio i nostri fi gli quando ci troviamo di fronte alle loro manifestazioni di ambivalenza nei nostri confronti. Quanto più noi riusciremo ad accettare i loro sentimenti ambivalenti verso di noi, meno diffi cile sarà per loro, crescendo, neutralizzare e mantenere sotto controllo la propria ambivalenza, anziché essere trascinati da un polo all’al- tro. Accettando il fatto che anche l’aspetto negativo dell’ambiva- lenza deve di tanto in tanto trovare il modo di esprimersi, riducia- mo infatti nei nostri fi gli il bisogno di rimuovere tali sentimenti; e meno questi vengono rimossi, più rimangono accessibili all’esame della ragione e pertanto diventano suscettibili di essere modifi cati.

Anche noi da bambini, eravamo lacerati da emozioni ambi- valenti. E quando ne manifestavamo gli aspetti negativi, la disap- provazione dei nostri genitori era così forte che eravamo costretti a rimuoverli; ma nell’inconscio i sentimenti rimossi mantengono tutta la loro carica. E ora, quando nel nostro ruolo di genitori ci troviamo di fronte a sentimenti analoghi dei nostri fi gli, questa esperienza tende a riattivare parte del materiale rimosso. Finché il comportamento dei nostri fi gli non risveglia in noi sentimenti che vorremmo mantenere rimossi, riusciamo abbastanza facilmente ad

accettare che dei bambini posseggano scarse capacità di autocon- trollo; ma quando vengono mobilitate le nostre rimozioni, ecco che non riusciamo a trattare con equanimità e realismo il compor- tamento negativo dei nostri fi gli.

Che si rimuovano gli aspetti negativi dei sentimenti verso i nostri genitori è facilmente comprensibile: dopo tutto, abbiamo bisogno di loro e non vogliamo offenderli o alienarceli mostrando apertamente la nostra ostilità. Più diffi cile da capire è perché si sia dovuto rimuovere anche l’identifi cazione con quegli aspetti dei nostri genitori che, ai nostri occhi di bambini, apparivano negativi. Quasi tutti noi ci rendiamo conto di avere fatto nostre molte del- le qualità che ci piacciono dei nostri genitori, mentre non siamo consapevoli di avere interiorizzato anche gli aspetti negativi del loro atteggiamento verso di noi, di esserci cioè identifi cati anche con quegli aspetti. Ce ne accorgiamo, di solito con un senso di sconfortato stupore, quando ci sorprendiamo a sgridare i nostri fi gli esattamente con lo stesso tono di voce, le stesse parole persino, che avevano usato con noi i nostri genitori. E questo nonostante avessimo giurato a noi stessi di non comportarci mai in quel modo con i nostri fi gli.

La cosa curiosa è che, invece, quando parliamo loro amorevol- mente, non ci sentiamo affatto indotti a usare le stesse espressioni impiegate dai nostri genitori. Cioè, nelle nostre manifestazioni po- sitive siamo pienamente noi stessi, parliamo con la nostra voce. La spiegazione di questo fenomeno è che, non essendovi ragione di rimuovere le identifi cazioni positive con i nostri genitori, esse non sono state incapsulate nell’inconscio, ma sono rimaste suscettibili di modifi cazioni, si sono modifi cate con noi via via che la nostra personalità si sviluppava. Le identifi cazioni negative, invece, sono state rimosse, e perciò sono rimaste immutate.

Molto spesso le relazioni tra genitori e fi gli del medesimo sesso sono caratterizzate dall’ambivalenza in misura maggiore di quelle tra genitori e fi gli di sesso diverso. Questo perché, nel porci in relazione con il fi glio dello stesso sesso, tendiamo a rivivere alcuni aspetti problematici del nostro rapporto infantile con il genitore del medesimo sesso. È più facile, cioè, che una donna si sorprenda a parlare come faceva sua madre quando sta sgridando sua fi glia, mentre un padre si scoprirà a riprodurre con il fi glio maschio le interazioni negative da lui stesso avute con il proprio padre.

Questo è solo un esempio della tendenza a proiettare sui fi gli i confl itti irrisolti. Ma se approfi ttiamo dell’occasione che queste situazioni ci offrono per analizzare che cosa ci induce a compor- tarci in questo modo, forse avremo la possibilità di risolvere ora quei confl itti infantili che non abbiamo risolto in passato. Un tale atteggiamento di disponibilità ci permetterà inoltre di capire come, paradossalmente, siano l’enorme importanza che rivestiamo per i nostri fi gli e il loro amore per noi a provocare la loro occasionale ostilità. Ci apparirà chiaro che quando l’ostilità si manifesta, siamo soltanto di fronte al rovescio della medaglia dell’amore. Questa scoperta trasformerà la nostra irritazione o peggio, in un atteggia- mento di comprensiva accettazione delle forze emotive sottostanti, anche se in pratica dovremo reprimere comunque il comporta- mento aggressivo. E forse potrebbe anche farci capire come, repri- mendolo, non facciamo che riprodurre la condotta dei genitori in circostanze analoghe. Alla luce di queste considerazioni, ogni cosa ritrova il posto che le spetta, e la nostra irritazione verso nostro fi glio non verrà alimentata ed esasperata dal fatto di essere collegati con tutti i sentimenti di ostilità che da bambini abbiamo rimosso nel nostro inconscio. E soprattutto, ci renderemo conto che, nono- stante tutte le tendenze aggressive che avevamo da bambini, siamo pur diventati adulti non violenti […].

[…] L’assurda convinzione che solo i nostri fi gli, per la loro im- maturità e mancanza di autocontrollo, possano nutrire occasional- mente sentimenti negativi, mentre noi ne saremmo esenti, è quanto di più nocivo possa esistere per i nostri rapporti reciproci.

[…] Quanto si è detto a proposito dell’origine dell’ambivalenza nei confronti dei genitori vale per tutte le esperienze infantili. Le primissime esperienze sono perlopiù inconsce, e dunque inaccessi- bili alla memoria; tuttavia, in fasi successive dello sviluppo dei no- stri fi gli possiamo vedere riprodotte alcune nostre esperienze che non furono necessariamente rimosse nell’inconscio, o comunque non così in profondità. È dunque possibile richiamarle alla memo- ria, sia pure con considerevole sforzo.

[…] L’angoscia del primo giorno di scuola è ben presente a molti di noi; al punto che molte persone continuano per tutta la vita a dover dimostrare, a se stesse più che agli altri, quanto fossero infondate le loro paure infantili dell’insuccesso sociale e scolastico. Appunto per il fatto che tali ansie fanno parte dei nostri ricor- di coscienti, tendiamo a essere molto comprensivi per le angosce

di nostro fi glio all’idea di affrontare per la prima volta la scuola. Purtroppo, nel caso di molti genitori, la compassione si esaurisce quando a soffrire di fobia della scuola, per ragioni analoghe, è un fi glio un poco più grandicello. (Invece, è in questa occasione che riuscirebbe particolarmente utile una comprensione basata sull’e- sperienza personale).

[…] Lo sforzo di capire il ruolo svolto nello sviluppo della no- stra personalità da esperienze analoghe a quelle dei nostri fi gli, in quanto ci dà nuova chiarezza su di noi, produce dei cambiamenti positivi. Allora possiamo comprendere più a fondo che cosa hanno signifi cato certe esperienze per la nostra vita e per il nostro rap- porto con i genitori, e quindi anche come essi diano ora la loro impronta al nostro modo di atteggiarci di fronte ai sentimenti e alle manifestazioni di nostro fi glio in circostanze analoghe. Tale com- prensione di noi stessi ci consente di trattare con empatia le moti- vazioni di nostro fi glio, il che aggiunge profondità e signifi cato al nostro rapporto con lui, facendone un’esperienza più ricca di gioia per entrambi. Grazie all’empatia che scaturisce dall’aver compreso più a fondo il signifi cato che hanno avuto per noi da bambini espe- rienze analoghe, ecco che non solo infl uiamo sugli atteggiamenti di nostro fi glio, ma modifi chiamo anche i nostri.

I bambini avvertono subito le ragioni per cui i genitori fanno qualcosa con loro, per loro. Lo fanno per dovere, o gli piace vera- mente? Perché la mamma mi legge una storia? Perché vuole che mi addormenti tranquillo? Perché sa che mi piace, quando mi legge le storie? Perché prevede che questa storia mi piacerà? O perché pensa che sia suo dovere farlo? I bambini si pongono di queste domande, e naturalmente sono più felici se avvertono nel genitore il desiderio di dare loro piacere.

Quando leggiamo una storia a nostro fi glio, pur svolgendo un’attività in comune, la sua esperienza e la nostra sono sostan- zialmente diverse; tuttavia, se ci poniamo anche noi in relazione con la storia che leggiamo, e vi rispondiamo in maniera persona- le, allora possiamo dire di condividere realmente con nostro fi glio quell’esperienza. E forse quella storia ci indurrà a ricordare episodi importanti della nostra infanzia. Mi è stato riferito che, leggendo il mio libro sulle fi abe, Il mondo incantato, alcune persone hanno improvvisamente capito come mai una certa fi aba era stata parti- colarmente importante per loro da bambini. Sapevano che li affa- scinava in modo particolare, che suscitava angoscia o piacere, o

entrambe le cose, ma solo allora avevano capito il perché, avevano capito a quali esperienze o problemi personali si riallacciasse, così da assumere un signifi cato tanto particolare per loro.

[…] Esplorare da adulti le proprie esperienze infantili può por- tare a scoperte e intuizioni molto importanti. Quando ciò accade, quello che genitore e fi glio stanno facendo insieme diventa per en- trambi di un’esperienza profondamente signifi cativa; pur parteci- pandovi da due mondi diversi, le differenze contano meno del fatto che ciascuno è grato all’altro per la nuova consapevolezza raggiun- ta, per essere stato il tramite di una nuova crescita. L’elemento di parità insito in tale esperienza realmente in comune è particolar- mente importante per il bambino, che si trova in questo caso a dare oltre che a ricevere.

Nel processo di sviluppo della personalità molte esperienze in- fantili sono dovute di necessità affondare nell’inconscio. Quando la personalità adulta è pienamente e saldamente formata, non sa- rebbe più necessario prendere le distanze dall’infanzia, ma a quel punto tale distacco è divenuto per molte persone parte integrante della loro personalità. La scissione dalla propria infanzia, benché momentaneamente necessaria, se diventa permanente ci depriva di esperienze interiori che potrebbero mantenerci giovani di spirito e inoltre consentirci una maggiore e più profonda intimità con i nostri fi gli.