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La formazione e il dialogo

Comunicare per formarsi: aver cura di sé

1. La formazione e il dialogo

La domanda da farsi, a un certo punto della vita, è esattamen- te quella che Calvino si pone al termine delle Lezioni Americane (1988), nelle battute fi nali, affermando:

Sono giunto al termine di questa mia apologia del romanzo come grande rete. Qualcuno potrà obiettare che più l’operazione tende alla moltiplicazione dei possibili più s’allontana da quell’unicum che è il

self di chi scrive, la sincerità interiore, la verità. Al contrario, rispon-

do, chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un cam- pionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili. (Ivi, p. 120)

Potremmo obiettare che la sommatoria di esperienze, di infor- mazioni, di letture, di immaginazioni potrebbe rappresentare l’e- lenco delle azioni della nostra vita, raccolte ‘alla rinfusa’ senza or- dine, sconnesse dal contesto generale degli avvenimenti. Una vita, senza ordine, alla continua ricerca del meglio, del bene sommo, del piacere più intrigante. Una vita, come si usa dire, vissuta al mas- simo, a un certo punto della quale non rimane nulla da scoprire. Ogni vuoto è stato riempito, il silenzio è stato sostituito dal fra- stuono vociante del rumore, sempre più elevato, e il senso è stato dirottato verso il fare compulsivo.

Cosa ha a che vedere la vita, la vita vera, con questa pseudo parabola dell’esistenza? Moltissimo, potremmo rispondere, come

bravi amministratori dell’orientamento occidentale. Infatti, sono tante, non quantifi cabili, ma certo troppe, le vite vissute secondo queste direttive. Proprie o autoimposte. Allora il problema è quel- lo, innanzitutto, di accorgersi che la vita vera sta da un’altra parte, in luoghi ‘altri’ rispetto a quelli che frequentiamo con soddisfatta contemplazione di noi stessi, vive in un tempo ‘altro’ rispetto a quello percepito solo superfi cialmente. Il luogo e il tempo dell’esi- stenza dovrebbero essere anche il luogo e il tempo dell’essere, dello stare, del divenire e del maturare, dovrebbero essere gli spazi e i secondi dell’esser-ci “qui e ora”.

Come afferma Daniel Stern (2004, trad. it. 2005), la vita do- vrebbe essere vissuta nella profondità del momento presente. Do- vremmo iniziare a percepire fortemente proprio i momenti presenti della nostra esistenza e dovremmo riuscire a sentire che la nostra vita è composta da una serie interminabile di questi attimi intensi di tracce vissute. Perché ogni tempo che viviamo, ogni luogo che abitiamo, non siano determinati dal caso, perché non ci sia qual- cuno che scelga per noi ciò che dobbiamo o non dobbiamo vivere. Daniel Siegel scrive che dovremmo, come uomini e donne, raggiungere la pienezza della vita attraverso la dimensione della

mindfulness (Siegel, 2007, trad. it. 2009). Che cosa è la mindful- ness? Proprio la pienezza dell’attimo fuggente, la consapevolezza

del “qui e ora”, la percezione che gli attimi più evanescenti della nostra vita sono anche quelli che ci connnotano, che ci defi niscono, che parlano di noi e del nostro modo di essere. Al contempo, però, sono anche gli attimi in cui la giornata si scandisce, nelle routine della quotidianità, come anche negli eventi dell’eccezionalità.

La consapevolezza mindful della nostra mente e delle nostre azioni infl uenza il modo di essere e di vivere, ci rende partecipi, pienamente, delle esperienze del mondo interno e ci permette di immergersi nei dettagli della vita. Il modo, in cui porgiamo atten- zione al momento presente, può infl uenzare direttamente il funzio- namento del corpo, della mente, della vita psichica, con i suoi sen- timenti e suoi pensieri, può soprattutto incidere, con un apporto benefi co, sulle relazioni interpersonali (Ivi, p. 11). La mindfulness è, però, qualcosa di più di una consapevolezza profonda della vita, la sua applicazione impegna ad una rifl essione più incisiva dell’at- teggiamento metacognitivo nei confronti delle azioni compiute nella quotidianità, la mindfulness implica la possibilità di divenire consapevoli degli aspetti della mente (Ivi, p. 13). “Anziché vivere in

modo automatico e superfi ciale (mindless), la mindfulness ci rende consapevoli, e rifl ettendo sulla mente abbiamo la possibilità di fare delle scelte, ragion per cui diventa possibile cambiare” (Ibidem).

Dal punto di vista pedagogico è il cambiamento che ci interes- sa, sono le trasformazioni e le metamorfosi delle persone, lungo le età della vita, quelle di cui dobbiamo occuparci come educatori e formatori, a tutti i livelli, in quanto il processo di formazione dell’uomo ha come fi ne il raggiungimento di modifi cazioni inte- riori per costruire un modo nuovo di ‘essere’. Tuttavia, non è mai da soli che cambiamo e che è possibile modifi carci, è sempre con l’altro, con l’interlocutore, con il diverso, con il prossimo, che pos- siamo raggiungere un nuovo stato. Se la mindfulness è una dimen- sione del soggetto/uomo, che da individuo si fa persona umana, possiamo ritenere che solamente nel legame dialogico il singolo si possa aprire al processo della costruzione del sé. La direzione, poi, che tale processo formativo imboccherà, dipenderà, in larga parte, dalle esperienze e dalle relazioni interpersonali che per tutto l’arco della vita saranno intercorse con gli altri. Se, nell’infanzia, è possibile pensare di non essere in grado di decidere, il processo di formazione umana del soggetto avviene proprio in rapporto al doppio registro della consapevolezza personale, che deve accre- scersi, e degli apprendimenti dei saperi esterni che dipendono dagli ambienti frequentati. In tal senso, la mindfulness può essere inse- gnata, ma deve anche essere appresa. Se per insegnarla è necessario un percorso educativo che si snodi dalla famiglia, alla scuola, agli ambienti dell’extra scuola, alle dimensioni sociali, alle professioni e ai contesti lavorativi, per impararla è importante l’azione sul sé del soggetto adulto. Dunque, è necessario un dialogo interpersonale che si possa intrecciare fra il soggetto e l’ambiente, nelle sue multi- formi declinazioni. Il dialogo interpersonale e intrapersonale muta il soggetto nel suo cammino vitale. La dinamicità è la caratteristica del processo formativo di ogni uomo e questo processo deve essere guidato dal soggetto medesimo, deve farsene carico, nessuno al di là dell’uomo adulto può raccogliere il testimone della formazione che viene consegnato da famiglia, scuola, società.

La mindfulness è opera del singolo, ma è dagli altri signifi cativi che ogni soggetto prende l’abbrivio, è dagli altri, come punti di riferimento, che ognuno si affranca, dagli altri, come basi sicure (Bowlby, 1988, tra. it. 1989) che ognuno viene educato, dagli altri come briccole (Trisciuzzi, 1995) che ogni persona diviene consa-

pevole della capacità di rifl ettere su di sé e sulle proprie azioni. Dunque, la mindfulness ha una valenza soggettiva che, però, deriva la propria effi cacia dal rapporto con l’altro, sia il sé interiore, sia l’altro-da-sé, attraverso il dialogo continuo, biunivoco e circolare che ciascuno intrattiene con sé e con il proprio mondo. Come af- ferma Siegel: “Le relazioni interpersonali promuovono la longevità emotiva e ci aiutano a raggiungere stati di benessere e salute dal punto di vista medico […]. Sto proponendo che la consapevolez- za mindful sia una forma di relazione con se stessi, una forma di sintonizzazione, che crea stati di salute simili” (Siegel, 2007, trad. it. 2009, p. 23). Approfondendo la circolarità della comunicazio- ne, all’interno delle relazioni interpersonali, però, si deduce che formarsi a questa tipologia di consapevolezza signifi ca dare forma alla parte più profonda della soggettività, cosa che non avviene mai nella singolarità dell’azione, come già affermato, ma nello scambio reciproco e nel dialogo interpersonale.

Da una parte, la mindfulness può essere defi nita come consape- volezza rifl essiva delle azioni compiute nel qui e nell’ora, in tal sen- so, è analogamente similare a quel processo di costruzione del lega- me con l’altro che Peter Fonagy e Mary Target hanno individuato con il nome di mentalizzazione. Sappiamo che la mentalizzazione non si correla solamente con la capacità dell’individuo di leggere la mente dell’altro, nel senso di essere in grado di approfondire una abilità metacognitiva, ma è ampiamente coordinata dalla capacità di modulazione degli stati affettivi. La mentalizzazione, infatti, rap- presenta la declinazione pratico-esperienziale della Funzione Rifl es-

siva che presiede alle regolazioni emotive. Tuttavia, Siegel afferma

che la mindfulness è diversa anche dalla introspezione, intesa come conoscenza intrapsichica del sé, a sua volta diversifi cata, però, dalla capacità di dare signifi cato al comportamento, regolandolo (Siegel, 2007, trad. it 2009, pp. 107-109).

“[...] Sembra evidente la differenza sia della Funzione Rifl es-

siva sia della introspezione dalla mindfulness, la quale da un lato

si avvicina all’introspezione (intesa come conoscenza intrapsichica di sé), ma la travalica in quanto intende connettersi a una “intel- ligenza emotiva” radicata nella totalità dell’insieme corpo/mente, e dall’altro si orienta alla capacità di conoscenza implicita delle mente (Funzione Rifl essiva) considerandola parte dell’attitudine a preservare uno stato di piena consapevolezza, mentre si attraversa il fl uttuante succedersi di momenti di esperienze sensoriali, relazio-

nali e non” (Ivi, p. 108). In pratica la consapevolezza non è ancora la consapevolezza mindfulness, avendo quest’ultima alcune qualità che travalicano la dimensione metacognitiva, come anche quella regolativo-emozionale; le qualità proprie della mindfulness sono la curiosità, l’apertura, l’accettazione e l’amore (Ivi, p. 22).

Ellen Langer (1989) ha coniato, anche, un nuovo aggettivo per il particolare tipo di apprendimento che attraverso la mindfulness può essere attuato. L’“apprendimento mindful” è un approccio che suggerisce l’apertura alle novità, un atteggiamento comunicativo e facilitante, una attenzione alle differenze, una sensibilità per con- testi diversifi cati, una consapevolezza implicita ed esplicita delle prospettive di formazione che si prefi gurano nelle diverse situazio- ni esperienziali. Dal punto di vista di un docente, l’apprendimento, così defi nito, sostiene l’uso del condizionale, del “può” al posto del “deve”, incoraggia l’idea di una possibilità, in luogo di una certezza defi nitiva. Lo stato fl essibile della mente, infatti, permette di rag- giungere punti di vista diversi, permette di dislocarsi dai propri de- fi nitivi stati mentali, aprendosi al ‘nuovo’ e all’‘oltre’. La rifl essività che presiede al raggiungimento della consapevolezza mindful può essere insegnata e praticata, è possibile apprenderla ed esercitarla. Le tre dimensioni della 1) Recettività, della 2) Auto-osservazione, della 3) Rifl essività (Siegel, 2008, trad. it. 2009, p. 243) sono, pro- prio, le declinazioni attraverso cui è possibile apprendere un nuovo modo di entrare in comunicazione con gli altri a partire da una for- mazione personale, senza la quale viene meno il senso della crescita e del divenire della persona umana.