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Comunicazione e conversazioni familiar

tra solitudini esistenziali e ricerca del sé

2. Comunicazione e conversazioni familiar

Come attesta la ricerca psicologica (Pontecorvo, Arcidiacono, 2007), e non solo, la conversazione è lo strumento della comunica- zione attraverso il quale i soggetti costruiscono le proprie identità all’interno della famiglia. Un pluriennale studio italiano, condotto da Clotilde Pontecorvo, fi n dagli inizi degli anni Novanta, sulla scorta di un analogo lavoro statunitense (Ochs, 2006), documen- tato nell’interessante volume di Pontecorvo e Arcidiacono Famiglie

all’italiana, attesta ciò che già da molti anni sociologi come Sacks,

Schlegloff e Jefferson (1974) oppure Goffman (1997) o ancora le

Lectures on Conversations di Sacks, pubblicate postume nel 1992,

avevano scoperto.

La conversazione, il parlare congiunto gli uni di fronte agli altri, lo scambio della parola fra pari, sinonimi del con-versus ovvero del convergere insieme, hanno regole che vengono sempre rispettate e che permettono il passaggio dei modelli educativi. La conversazio- ne familiare, a tavola o fra le mura di casa, è il veicolo dei modelli formativi. La conversazione familiare trattiene i modelli formativi dei soggetti che la esprimono. Poiché, però, è all’interno delle re- lazioni familiari che i modelli di formazione umana si tratteggiano, prendono forma, si modifi cano, è negli interstizi dello scambio re- lazionale che le tipologie di formazione si manifestano, allora la conversazione, ciò tramite cui tali modelli passano, diviene il luogo della formazione nella relazione familiare, per la relazione fami- liare, con il legame parentale. Potrebbe essere espressa una sorta di equazione comunicativa: conversare fra soggetti è formar-si in comunità, la conversazione è un modello di formazione specifi co della famiglia, da sempre.

Attualmente, le ricerche in ambito conversazionale guidano la rifl essione sulle modalità comunicative che si attivano nelle fami- glie e permettono di affermare interessanti traguardi dal punto di vista educativo. Attraverso il parlare-in-interazione (Pontecorvo, Arcidiacono, 2007, p. 3), durante le routine quotidiane, i bambini imparano a comprendere precocemente la partecipazione al dialo-

go collettivo e la gestione dei turni di conversazione nell’alternanza della cessione e della ripresa della parola (Ibidem). Questo per- mette loro di entrare nei meccanismi della socializzazione, di farli propri, assimilandoli, in un contesto esperienziale naturale. Poiché, tuttavia, i turni conversazionali sono anche, e soprattutto, defi niti dalla collaborazione fra i soggetti che partecipano alle “interazioni dialoganti”, allora la conversazione medesima struttura la sintassi per costruire il parlato, le azioni e l’intersoggettività (Goodwin, 2003, p. 226). Dunque, parlare in famiglia, imparare a parlare dai genitori, non solo, dona al bambino la chiave per accedere al pro- prio pensiero (Vygotskij, 1934, trad. it. 1992), ma anche al model- lo del com-portarsi, del rapportar-si, dell’essere-con. Se questi atti sono defi niti, in primo luogo, attraverso l’attaccamento materno, forma primaria di comunicazione e modello fondante della relazio- ne, la mentalizzazione dei soggetti in età infantile avviene proprio attraverso le conversazioni familiari, con la madre prima e, succes- sivamente, con tutti gli altri membri del contesto familiare.

Sappiamo, oggi, che la lettura della mente dell’altro è un’attivi- tà determinante per la costruzione dell’identità e della soggettività, avviene in rapporto alla presenza dei neuroni specchio (Fonagy, Target, 2001). La parola scambiata e mutuamente restituita riveste una parte fondamentale per insegnare a leggere il pensiero altrui e, così facendo, ri-leggere e costruire il proprio, in uno scambio con- tinuo, incessante, interminabile di rifl essi congiunti, dalle parole, alle azioni, alle persone.

I bambini apprendono le regole del linguaggio e dell’intera- zione discorsiva, ma molto di più, formano e modellano i propri modi comportamentali, quelli del gruppo a cui appartengono e anche quelli preferiti personalmente. Questo passaggio permette l’inculturazione del bambino nella propria comunità di appar- tenenza, permette che il piccolo possa entrare a far parte della propria famiglia identifi candosi con essa. Non solo il bambino inizia il proprio percorso di identifi cazione identitaria attraverso la comunicazione e la conversazione familiare, ma impara anche a modellarsi sulla propria comunità di appartenenza, ne condivide le regole e i percorsi educativi (Pontecorvo, Arcidiacono, 2007, p. 7; Cambi, 2006). Il bambino, membro della comunità, appartiene ad essa per la condivisione delle regole, delle norme, dell’educa- zione che la costituisce, ma si integra anche in tale comunità ne-

cioè di parola (Pontecorvo, Arcidiacono, 2007, p. 8). Tale impegno soggettivo, che risiede negli atti del comunicare e del conversare, conduce il soggetto ad una sorta di cooperazione continua e mai interrotta, pena la sopravvivenza stessa del soggetto (Grice, 1975, trad. it. 1993). Il processo educativo e formativo dura per tutto l’arco della vita: ha una valenza sociale e personale e, in questo processo interminabile, il punto di vista dell’altro agisce come ca- talizzatore di azioni. Allora, è necessario imparare a discernere, a divenire critici, ad essere equilibratamente responsabili della pro- pria intersoggettività.

La parola è forma di vita, anzi la parola dà forma alla vita, in un continuo gioco di linguaggi verbali, segnici, non verbali, formali e informali, affettivi o monotamente distanti che continuamente gli esseri umani si scambiano durante le conversazioni fuggevoli e quelle, invece, difese, agite e vitalmente comunicate che in famiglia vengono scambiate.

La parola e le parole sono anche il veicolo del ben-comportar- si, nell’attenzione all’altro e nell’accoglienza dell’altro. Se i primi modelli di parola non trattengono naturalmente, quasi intuitiva- mente, il senso dell’altro arduo diventerà per i genitori insegnare il rispetto e la congruenza. Nella comunicazione familiare sono soprattutto due gli aspetti importanti, come affermano Siegel e Hartzell: la contingenza e la congruenza (Siegel, Hartzell, 2003, trad. it. 2005, pp. 78-79). Creare, come genitori, comunicazioni congruenti e contingenti signifi ca, in primo luogo, sapere che il “qui e ora” riveste un aspetto molto importante del comunicare. Non è possibile rimandare, è necessario agire con determinata congruenza nell’immediato ovvero con continuità e non contrad- dizione. La congruenza è la coerenza della storia che raccontiamo al bambino, è la correttezza logica degli eventi espressi, è la con- cessione di un riconoscimento biografi co non falsato da immagini distorte della realtà personale. “Una comunicazione è contingente quando la qualità, l’intensità e i tempi dei segnali altrui rifl ettono chiaramente i segnali che noi abbiamo inviato. Attraverso intera- zioni interpersonali contingenti, creiamo un senso di solidità e di sicurezza nell’ambito di una rete sociale di relazioni; relazioni di questo genere alimentano quindi una forte coerenza di sé” (Ibi-